Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 25/11/2011, a pag. 18, l'articolo di Alberto Stabile dal titolo " 'Gay, venite in vacanza in Israele'. Ma è bufera sulla pubblicità di Stato ".
A Tel Aviv, A Teheran Sarah Schulman
Il pezzo di Alberto Stabile riporta le accuse di Sarah Schulman, giornalista del New York Times, la quale sostiene che "I diritti degli omosessuali possono essere usati, e di fatto lo sono, come maquillage per ripulire e vendere proposte politiche reazionarie altrimenti inaccettabili, oppure, come nel caso d´Israele, per nascondere la sistematica violazione dei diritti dei palestinesi dietro allo slogan, a metà strada tra l´offerta turistica e il manifesto propagandistico, che descrive Tel Aviv come la meta ideale del popolo gay.". Che cosa c'entra il turismo con le presunte violazioni dei diritti dei palestinesi, è un mistero.
Tel Aviv è meta di turismo per gli omosessuali perchè, contrariamente a quanto succede in tutti gli altri Paesi del Medio Oriente, lì hanno tutti i diritti, come tutti gli altri cittadini. Gli omosessuali fanno parte della società e non vengono discriminati, massacrati, torturati, impiccati come succede nei Paesi islamici.
Nè Sarah Schulman nè Alberto Stabile specificano la situazione atroce degli omosessuali palestinesi che scappano dalla Cisgiordania e da Gaza per rifugiarsi in Israele, come mai?
E quale sarebbe il nesso tra una pubblicità di turismo gay-friendly a Tel Aviv e i palestinesi?
Schulman sostiene che " I rabbini depositari dell´ortodossia li hanno sempre considerati il massimo della perversione ". Già, ma i rabbini ultraortodossi non sono la maggioranza e non rappresentano la società israeliana. Descrivere le ali più estremiste e fanatiche come rappresentative del generale denota diffamazione e malafede. E la differenza sta nel fatto che in Israele si tratta di casi isolati, di una minoranza estremista. Nei Paesi islamici gli omosessuali vengono semplicemente assassinati per legge. Sara Schulman sa che cosa capita a un omosessuale se va in Iran in vacanza? Che se scoprono la sua omosessualità lo impiccano senza troppi complimenti alla prima gru disponibile. In Israele succede altrettanto?
Sarah Schulman scrive : " quella del governo israeliano è una strategia per nascondere la continua violazione dei diritti dei palestinesi dietro ad un paravento di modernità rappresentato dalla vita dei gay in Israele. ". Perciò, alla fine, Israele è uno Stato opprimente che sfrutta gli omosessuali per nascondere i propri crimini. Magari Schulman poteva scrivere che i Paesi islamici limitrofi sono democratici? Non stupisce che un articolo simile sia stato pubblicato sul New York Times non nuovo a questo genere di propaganda contro Israele.
Alberto Stabile non spende una parola per contraddire Schulman, evidentemente ne condivide le tesi assurde.
Ecco il pezzo:
BEIRUT - I diritti degli omosessuali possono essere usati, e di fatto lo sono, come maquillage per ripulire e vendere proposte politiche reazionarie altrimenti inaccettabili, oppure, come nel caso d´Israele, per nascondere la sistematica violazione dei diritti dei palestinesi dietro allo slogan, a metà strada tra l´offerta turistica e il manifesto propagandistico, che descrive Tel Aviv come la meta ideale del popolo gay. Questo è, in sintesi, il contenuto di un editoriale apparso sul New York Times in cui Sarah Schulman, docente di materie umanistiche, descrive il fenomeno chiamato "pinkwashing".
In realtà, più che di una moda culturale si tratta di una tattica diffusa in quei settori dell´estrema destra europea che non celano la loro avversione verso gli immigrati e i musulmani e che sono tuttavia riusciti a cooptare tra le loro fila anche persone gay, lesbiche o transgender, facendo leva sulla loro paura nei confronti di immigrati e musulmani generalmente descritti come omofobi e fanatici persecutori degli omosessuali. Senza ovviamente menzionare il ruolo condizionante nel sollecitare queste paure che esercitano i cristiani fondamentalisti, le gerarchie cattoliche e molte correnti dell´ebraismo ultra-ortodosso.
Adesso, però, afferma Sarah Schulman, questo fenomeno, il "pinkwashing", appunto, ha travalicato i confini dell´Europa xenofoba occidentale per diventare una delle armi impiegate dalla propaganda israeliana nel conflitto senza fine coi palestinesi.
Non sono passati molti anni da quando ai gay israeliani che osavano presentarsi al memoriale dell´Olocausto per commemorare l´eccidio degli omosessuali e degli zingari, assieme allo sterminio degli ebrei per mano dei nazisti, veniva impedito l´accesso. I rabbini depositari dell´ortodossia li hanno sempre considerati il massimo della perversione.
I gay-pride parade hanno sempre rappresentato un problema di ordine pubblico, a Gerusalemme, con i cortei supersorvegliati costretti a percorrere soltanto poche centinaia di metri, circondati dalla polizia, tra due ali di folla ostile. Ma a Tel Aviv, una sorta di riserva indiana per una minoranza liberale sempre più ristretta, l´atmosfera è sempre stata di accettazione e tolleranza.
Dalla metà dello scorso decennio, per dirla con Aeyal Gross dell´Università di Tel Aviv, «i diritti degli omosessuali sono diventati uno strumento di pubbliche relazioni anche se politici conservatori e specialmente religiosi sono rimasti fieramente omofobici». Ma non, apparentemente, il governo, che ha promosso una campagna per vendere il "brand Israel", Stato aperto e moderno, destinata a un pubblico maschile dai 18 ai 34 anni, ed un´altra è stata lanciata dall´Ufficio del Turismo (90 milioni di dollari) per promuovere Tel Aviv come "international gay vacation destination".
Tutto questo, secondo Sarah Schuman ha indotto alcune persone di buona volontà a considerare erroneamente che il grado di avanzamento di un paese dipenda da come risponde al problema dell´omosessualità. In realtà, conclude, quella del governo israeliano è una strategia per nascondere la continua violazione dei diritti dei palestinesi dietro ad un paravento di modernità rappresentato dalla vita dei gay in Israele.
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