Ancora vent’anni e il cuore dell’Europa tecnocratica sarà definitivamente trasformato in un suq arabo. Stimati fra i 250mila e i 300mila, i musulmani rappresentano già un quarto della popolazione di Bruxelles. Per la maggior parte sono marocchini (70%) e turchi (20%), con un residuo misto di albanesi, egiziani, pachistani e nordafricani, giunti in Belgio a partire dagli anni Sessanta con un permesso di lavoro. Avevano sostituito i minatori italiani emigrati, insomma, i quali erano rimpatriati volentieri non appena se n’era presentata l’oc - casione. Per i musulmani, non è stato così. Hanno utilizzato le leggi che favorivano la riunificazione familiare, portando al seguito mogli (al plurale) e figli. Per quanto riguarda i celibi, oltre il 60% dei giovani marocchini e turchi si sposano esclusivamente con persone del loro stesso Paese d’origine. Nessun contatto con gli “infedeli”. Sebbene siano una minoranza coloro che si dichiarano praticanti e frequentano luoghi di culto islamici, il paesaggio della capitale belga sta rapidamente e visibilmente mutando. Si moltiplicano i minareti e le moschee sono proliferate fino a raggiungere il record di 77, mentre le donne che indossano il velo, il burqa o il niqab sono sempre più numerose. Ma piuttosto che le aride cifre sui ritmi di crescita demografica, a indicare lo scenario prossimo futuro è il nome più diffuso fra i neonati, già dal 2008: Mohammed. Naturale, visto che le comunità marocchina e turca in Belgio sono composte per il 35% da giovani minori di 18 anni, mentre fra gli autoctoni la percentuale scende al 18 per cento. Per chi pretende dati scientifici, comunque, Felice Dassetto, sociologo emerito dell’Universi - tà cattolica di Lovanio, ha appena pubblicato una ricerca dal titolo L’iris e la mezzaluna, dove la previsione di una maggioranza islamica appare come un’evolu - zione più che certa. Il titolo dell’opera fa riferimento al giaggiolo, fiore simbolo della regione brussellese, la mezzaluna ovviamente allude all’islam. Se il primo sfiorisce, la seconda è in fase decisamente crescente. Il numero dei musulmani militanti oscilla fra i 120mila e i 150mila (ossia il 10-15% dell’intera popolazione), divisi in circa 200 organizzazioni, tra le quali prevalgono le sigle degli ultrafondamentalisti salafiti. Non manca un loro partito di riferimento, che proprio nella capitale, nel 2003, aveva ottenuto oltre 8mila voti fra l’elettorato marocchino. Ora tuttavia hanno scelto la strategia dell’islamizzazione dal basso, come del resto in molte altre città europee, e il simbolo del gruppo Sharia4Belgium è una bandiera nera del jihad che sventola sopra il Parlamento di Bruxelles. Fanno proselitismo con filmati che esaltano le virtù del martirio, cioè degli attentati suicidi. E, sia a chi aderisce al loro credo sia agli “infedeli”, propongono di rivolgersi al tribunale sharaitico di Anversa, che si occupa di diritto familiare, ma intende espandere il proprio raggio d’azione anche alle cause civili e penali. Per ora, le autorità di polizia locali hanno imposto la chiusura del sito internet del gruppo, ma non hanno potuto impedire che, ormai, l’islam si sia affermato come una realtà organizzata, seconda per rilevanza sociale soltanto allo sport del calcio. Ha superato da tempo la capacità di inquadramento e di mobilitazione della Chiesa cattolica o delle logge massoniche, tradizionalmente influenti e potenti nel Paese. Non c’è ambito sociale ed economico dove l’islam non abbia messo radici, sostiene il professor Dassetto, che peraltro propone un compromesso. La sua formula consiste nel «costruire una co-inclusione reciproca sul piano degli individui, delle organizzazioni e dei territori». In pratica, significa una resa tanto incondizionata quanto prevedibile, sin dal momento in cui si è deciso di concedere la cittadinanza a tutti, indiscriminatamente. Cioè senza criterio.
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