lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
22.11.2011 La Turchia pronta a un intervento militare contro Bashar al Assad
Erdogan appoggiato dai Fratelli Musulmani siriani. Tra gli oppositori Russia e Francia

Testata: Il Foglio
Data: 22 novembre 2011
Pagina: 3
Autore: Redazione del Foglio
Titolo: «Cosa ci fanno i miliziani sadristi in marcia contro la Turchia?»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 22/11/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo "Cosa ci fanno i miliziani sadristi in marcia contro la Turchia?".


Recep Erdogan, Riad Shakfa, leader dei Fratelli Musulmani siriani

Roma. Nel giro di poche ore, la Russia ha accusato la Turchia di alimentare la crisi siriana e Doku Umarov, il capo dei ribelli islamici caucasici che combattono il governo di Mosca, ha minacciato il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, e il presidente, Abdullah Gül, accusandoli di complicità negli assassini di sette leader ceceni in esilio a Istanbul da parte dei servizi segreti russi: “Se non siete in grado di fare qualcosa, allora lo faremo noi, con l’aiuto di Allah, e su questo non ci sono dubbi”. La minaccia non velata di attentati e ritorsioni è la dimostrazione che la Turchia (accusata di complicità coi servizi russi) è sempre più al centro delle crisi dell’area: negli ultimi mesi Ankara si è sì contraddistinta per attivismo “di potenza”, ma ha anche dovuto prendere atto del fatto che tutta la sua politica estera sia da ridefinire. “Nessun problema con i vicini”: era questo lo slogan che ispirava la nuova dottrina di politica estera della Turchia di Ahmed Devutoglu, dinamico ministro degli Esteri di Ankara. Ma la realtà è l’esatto contrario, tanto che ora la Turchia ha gravi problemi quasi con tutti i suoi vicini.
Oltre al deterioramento dei rapporti con Israele e con Cipro, per la questione dei giacimenti di gas, con cui la dottrina di Davutoglu progettava “relazioni normali”, Erdogan ha fatto mosse coraggiose e innovative, che però hanno avuto l’effetto di portare la Turchia a una situazione semi conflittuale, proprio con tutti i vicini (tranne Armenia e Iraq), per non parlare delle tensioni con la Lega araba e l’Unione europea. Tutto, o quasi tutto, discende dalla crisi siriana. La Turchia ha preso atto che l’assoluta incapacità di iniziative da parte dell’Onu e dell’Ue, impegnate nella crisi libica, avrebbe reso la Siria un forte elemento di destabilizzazione per tutta la regione. Il vuoto d’iniziativa di Onu, Nato e Ue è stato così riempito dall’attività unilaterale turca su due livelli. Il primo: la costituzione di un “santuario” ai confini con la Siria, in cui migliaia di disertori dell’esercito siriano, ai comandi del colonnello Riad al Assad, non solo hanno trovato rifugio e assistenza, ma anche una – copertissima – cooperazione militare.
Le azioni che la Free Syrian Army conduce da un mese a difesa delle città ribelli di Hama e Homs, così come gli spettacolari attacchi con lanciarazzi alle sedi dei servizi segreti siriani a Damasco, nei sobborghi di Harasta e Maraa al Nauman, sono operazioni complesse sul piano tecnico, e non possono essere opera di un’armata improvvisata: sono il frutto della cooperazione dei disertori siriani con i commando turchi o quantomeno con la rete di comunicazioni satellitari della Turchia (sulla falsariga delle azioni “coperte” dei commando del Qatar in Libia, emerse soltanto a guerra finita).
Questa operazione mira ad attuare un’articolata road map turca per accelerare la caduta del regime siriano di Bashar el Assad: inizia con l’invasione da parte dell’esercito e dell’aviazione turchi di una “buffer zone”, di un “cuscinetto” di territorio siriano, che comprenda le cittadine ribelli di Deir Ezzor e Idbil, per poi estendersi a sud verso Hama e Homs. Questa missione fa da testa di ponte per le incursioni dell’esercito dei disertori contro l’esercito siriano, con l’obbiettivo – i piani sono stati rivelati dal quotidiano turco Sabah – di estenderla addirittura sino ad Aleppo. Il progetto ha avuto l’assenso del leader dei Fratelli musulmani siriani, Riad Shakfa, che venerdì scorso ha dichiarato: “Il popolo siriano accetterà un intervento da parte della Turchia piuttosto che uno occidentale se si tratta di proteggere i civili”.
La svolta è clamorosa: un leader arabo auspica un intervento militare dell’esercito turco (inimmaginabile, per ragioni storiche, fino a un mese fa). Le reazioni non si sono fatte attendere: la Russia ha inviato venerdì – secondo Haaretz – una flotta militare nelle acque territoriali della Siria, come deterrente all’eventuale intervento militare turco (e per proteggere le installazioni militari russe in costruzione nel porto di Latakia). Nelle stesse ore, la dissidenza siriana dava notizia dello spostamento verso Homs e verso la potenziale “buffer zone” turca di 4.500 miliziani dell’esercito del Mahdi dell’iracheno Moqtada al Sadr, pronti a “combattere l’invasore”, in evidente raccordo con l’Iran. In più ci sono le pressioni contrarie alla road map turca in Siria sia da parte della Francia sia della Lega araba.
Alain Juppé, ministro degli Esteri di Parigi volato in fretta ad Ankara, ha comunicato a Davutoglu che la “Francia è contraria a interventi unilaterali contro la Siria senza un mandato delle Nazioni unite”; Ahmed Ben Helli, vice segretario della Lega araba, ha bocciato la proposta avanzata formalmente all’organizzazione dalla Turchia: “La creazione di una zona cuscinetto di sicurezza proposta dai turchi in territorio siriano per difendere i civili rappresenta una soluzione pericolosa per la crisi in Siria”. Ovviamente senza il patrocinio della Lega araba, a fronte di una politica attendista dell’Ue e di una estraneità da parte degli Stati Uniti (che forse stanno lasciando fare la Turchia, alleato in parte ritrovato), sfuma la possibilità di un intervento turco con i crismi della “multilateralità”.
Erdogan, rafforzato dall’assenso dei Fratelli musulmani siriani, non pare intenzionato a fermarsi sul piano militare, tanto che si è rivolto direttamente a Bashar el Assad: “Si può restare al potere con i carri armati e i cannoni soltanto fino a un certo punto, ma verrà il giorno in cui anche tu dovrai farti da parte. Contro chi combatterai? Contro i tuoi fratelli musulmani che governi nel tuo paese?”. Ecco perché ieri in Siria una colonna di tre autobus turchi con pellegrini di ritorno dalla Mecca è stata presa a mitragliate da una pattuglia di soldati del regime. Il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, ha fatto un pronostico: “Assad è su un pendio scivoloso e non riesce a risalire: abbandonerà la carica tra sei mesi o al massimo un anno”.

Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT