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Libero Rassegna Stampa
20.11.2011 Ludmilla Ulitskaya, una scrittrice russa da scoprire
La intervista Alessandro Rivali

Testata: Libero
Data: 20 novembre 2011
Pagina: 31
Autore: Alessandro Rivali
Titolo: «L'ironia nella tragedia russa, arrestata per un brutto libro»

 Su LIBERO di oggi, 20/11/2011, a pag.31, con il titolo " L'ironia nella tragedia russa, arrestata per un brutto libro", Alessandro Rivali intervista la scrittrice russa Ludmilla Ulitskaya, della quale ignoravamo fino ad oggi l'esistenza, mentre diversi suoi libri sono già stati pubblicati in traduzione,e l'ultimo " Daniel Stein traduttore" è appena uscito da Bompiani. L'intervista ci ha incuriosito, leggeremo i suoi libri spinti da molta curiosità. Unico rilievo, la titolazione. La scrittrice non ha mai detto che "Exodus" era un brutto libro, come erroneamente dice il titolo, forse questo è quanto pensa chi ha fatto la pagina, il giudizio era invece "modesto", come sta scritto anche nell'intervista, che il titolista non ha evidentemente letto:

" L’autrice fu perseguitata perché aveva «Exodus» di Leon Uris. «Era modesto, ma il divieto della dittatura lo rese splendido ai miei occhi. E mi ha cambiato la vita»

Aggiungiamo noi, che al contrario siamo grandi estimatori di Leon Uris, che persino la parola 'modesto' non va bene, per un libro 'che ha cambianto la mia vita', come l'ha definito Ludmilla Ulitskaya, forse il giudizio poteva essere diverso.
Ecco l'intervista: 

Ludmila Ulitskaya è nata nel 1943 nella regione degli Urali e in patria ha venduto con i suoi quindici libri più di due milioni di copie, diventando una delle scrittrici russe più famose del mondo. Daniel Stein traduttore (Bompiani, 2010) è l’ultima opera pubblicata in Italia.
Come fu la sua infanzia nella Mosca degli anni Cinquanta?
«Ho compiuto dieci anni nel 1953, l’anno della morte di Stalin, e la mia infanzia è stata segnata dal regime sovietico. I miei nonni erano all’opposizio - ne: il loro destino fu il gulag. Uno fu catturato diverse volte e la sua ultima tappa fu Vorkuta, a nord del circolo polare artico, ma ancora nella parte europea della Russia. L’altro, invece, fu mandato nell’estremo est, accanto alla frontiera con la Cina. Non sapevamo nulla della loro prigionia: li portavano via e non avevamopiù notizie,possocitare soltanto i luoghi da dove sono tornati. La mia famiglia apparteneva al ceto borghese; vivevamo in una zona di Mosca circondata dalle baraccopoli sorte rapidamente nel dopoguerra. Miriadi di contadini provenivano dalle campagne distrutte dalla guerra. Era gente senza più radici, una società proletarizzata secondo la peggiore accezione del termine. La nostra vita era crudele, violenta e sporca. In questo magma umano ho vissuto il più difficile periodo della mia esistenza. Tra l’altro, in quel periodo Stalin lanciò una campagna antisemita incolpando i medici di origine ebraica e considerandoli «untori» e «avvelenatori». Mia madre era di origine ebraica: venne licenziata. La situazione si fece molto tesa. Anche le ragazze dovevano apprendere un approccio maschile alla vita. Io imparai a combattere per strada, a fare a pugni. Sono riuscita a resistere bene in questa prova, ne sono uscita fortificata».
Perché scelse una facoltà scientifica all’Università?
«I miei genitori erano ricercatori. Compresi molto presto che la ricerca scientifica era una direzione molto positiva e promettente. Non volevo una vita di compromessi. La ricerca nelle scienze umane era assai limitata dal torchio del regime, dall’altra parte invece c’erano maggiori prospettive. La scienza mi permetteva una ricerca della verità più profonda. Scelsi quindi la genetica, che considero tuttora fondamentale. La mia fu una decisione “romantica”. Quando mi iscrissi all’Università lagenetica era appena stata reintrodotta nelle materie che si potevano studiare. Non avevamo preparazione, masolo unagranvoglia di sapere. Ci fu un gap generazionale, a causa della pausa forzata e tragica. Eravamo solo dodici studenti con insegnanti vecchi, ma difama straordinaria.Se mi chiedessero oggi di rinascere, sono certa che rifarei la stessa scelta. Considero l’antropologia alla base di qualsiasi studio. Al termine dell’Università fui molto fortunata perché venni subito assunta all’Istituto di ricerca di Mosca».
E poi?
«Sono riuscita a lavorare lì due anni. Poi mi cacciarono per colpa dei libri proibiti, quelli che nonsi potevano né detenere,né leggere».
Come fecero a scoprire le sue letture?
«A quel tempo avremmo voluto leggere tutte le centinaia di libri bloccati dalla censura. Mi scoprirono perché esaminarono la mia macchina per scrivere: studiando i nastri capirono cosa avevo dattiloscritto, quali opere proibite avevo riprodotto. All’epoca si divideva un libro tra i vari amici e si passava poi la notte a ricopiarlo. Questo era il samizdat. Rischiavamo da cinque asette anni di prigione. Acausare il mio arresto fu l’Exodus di Leon Uris, un libro che raccontava la vicenda d’Israele. Recentemente l’ho visto sugli scaffali di una libreria di Mosca; nel prenderlo liberamente tra le mani, ho pensato: “Questo libro mi ha cambiato la vita”. In realtà è un libro molto modesto».
L’anno scorso la poetessa Olka Sedakova mi raccontò una vicenda molto simile
«È una cara amica. Probabilmente i libri ricopiati da lei arrivavano a casa mia e viceversa. Eravamo tornati a un’era precedente a Gutemberg…».
Venne condannata?
«Il nostro laboratorio fu chiuso immediatamente, ma nessuno di noi fu sbattuto in prigione. Non riuscivamo a capacitarci del perché, forse tra i libri che ci trovarono non reperirono nulla di veramente pericoloso, di veramente “antisovietico”. Tutto accadde a fine novembre e probabilmente a quella stagione i poliziotti avevano già raggiunto il numero prescritto degli arrestati per quell’anno. Era il 1970».
Il primo libro?
«Ho pubblicato il primo libro in Francia con Gallimard. Era l’ini - zio degli anni Novanta, quando in Russia c’era troppa confusione, era tempo di rivoluzioni. Fu un debutto insolito, una storia unica per me e anche per Gallimard che per la prima volta pubblicò una perfetta sconosciuta trasformandola in un caso mondiale. In Italia ho iniziato a pubblicare con E/O, poi con Einaudi, Frassinelli e, infine, con Bompiani. È stato molto positivo aver pubblicato per la prima volta a 50 anni. Avevo molti amici scrittori coetanei già famosi. Iniziare così tardi mi ha liberato dall’invidia, dalla voglia di seguire le loro strade e di competere con loro».
Come ha vissuto dopo il licenziamento?
«Per dieci anni non ho più potuto lavorare. Nel frattempo erano morti i miei genitori, erano nati i figli e io continuavo a cercare la mia strada. Sono arrivata poi al mio “punto zero”: senza lavoro divorziata dal mio primo marito, con due figli da crescere. Poi d’un tratto ho ricevuto una meravigliosa proposta per lavorare in un grande teatro di lingua yiddish. Mi hanno chiesto di gestire il repertorio. Facevo un lavoro a metà strada tra l’ufficio stampa e il consulente letterario.Nonesisteva al mondo nessuno meno adatto di me, perché non conoscevo nemmeno la lingua; per prima cosa ho cercato di studiare l’alfabeto ebraico e posso aggiungere che sino a oggi non l’ho ancora imparato... nonostante ciò ho lavorato lì tre anni. Ho letto migliaia di libri relativi a questioni ebraiche. Fu uno straordinario periodo di letture e mi innamorai di tutti i teatri del mondo. Dopo tre anni compresi che non avevo più nulla da imparare. E così è iniziato il mio itinerario nella letteratura».
Ha conosciuto la poetessa Anna Achmatova?
«Sì, anche se sento più vicina Cvetaeva perché più potente e viscerale. Della Achmatova ho un ricordo molto “colorato”: era molto bella, una grande figura. Stare con lei era come stare a teatro. Aveva un’indole molto drammatica. Era tragica e indubbiamente sofferente. Ha versato i disastri della sua biografia nel suo portamento. Era una persona che si consumava in un gesto. Lei entrava in una stanza e la stanza con lei iniziava a levitare...».
Cosa ricorda di Brodskij?
«È stato basilare, fin dalle sue prime poesie, che erano naturalmente proibite. Le leggevo su carta velina, che tenevo ben nascosta. Siamo stati negli stessi ambienti, ma non abbiamo mai parlato insieme. Io stavo in un angolino a contemplare il grande poeta».
Com’è la situazione della libertà di stampa nella Russia di Putin?
«In Russia è sempre esistita una censura molto rigida, sia inepoca zarista sia in quella sovietica. Forse è stata abolita solo a partire dagli anni di Eltsin. Oggi la censura continua a non esistere nel campo della letteratura, ma è tornata a colpire i mezzi d’in - formazione (le pubblicazioni periodiche). Proprio i giornalisti nell’ultimo decennio si sono trovati in una situazione pericolosa: decine dei più brillanti hanno pagato con la vita il diritto (e il dovere) di denunciare la verità sui mali e i vizi della società. Ma poiché il pensiero libero esiste anche al di fuori dei programmi televisivi e dei reportage giornalistici, nulla può vietarlo e annientarlo».

CHI È L’AUTRICE Ludmila Ulitskaya è nata nel 1943 nella regione degli Urali. È cresciuta a Mosca dove si è laureata in genetica. Cacciata con l’accusa di «diffusione di libri proibiti» dall’Istituto di ricerca genetica, è diventata direttrice artistica del Teatro Ebraico.
LE OPERE La Ulitskaya è una scrittrice di grande successo: i suoi romanzi hanno venduto più di due milioni di copie, diversi i premi letterari vinti. In Italia è pubblicata da Bompiani, Einaudi e Frassinelli. «Daniel Stein traduttore» (Bompiani, 2010) è l’ultima opera tradotta in Italia. “ . Mi scoprirono perché esaminarono la mia macchina per scrivere: studiando i nastri capirono cosa avevo dattiloscritto, quali opere proibite avevo riprodotto 
Ludmila Ulitskaya è in questi giorni in Italia.

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