Il bambino Menachem e il suo processo
Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere il commento di Piera Prister (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=250&id=41549).
Menachem Zivotofsky
Cari amici, non so se l'avete letto, anzi sono quasi sicuro di no, se la vostra fonte di informazione sono i giornali italiani. Ma a Washington è in corso un processo. Davanti alla corte suprema. Contro il governo degli Stati Uniti. Sul diritto del popolo ebraico alla sua terra. No, purtroppo non è il processo che vorremmo noi, quello in cui Obama venisse chiamato a render conto dei danni enormi che ha fatto in questi anni appoggiando le pretese palestinesi e perdendo il controllo del Medio Oriente a favore di islamisti e terroristi. E' un processo molto più contorto e a modo suo kafkiano, ma certamente interessante.
Si tratta di un bambino di nome Menachem Zivotofsky, nato nove anni fa a Gerusalemme da genitori americani, che quindi ha diritto al passaporto Usa. Nei passaporti, si sa, c'è il luogo di nascita. Se Menachem fosse nato a Torino, avrebbe avuto sul suo bel libretto blu scritto: Torino, Italy. Fosse nato a Aarhus, avrebbe potuto leggere Aarhus, Denamrk. Anche a Tel Aviv, non si sarebbe discusso che la scritta doveva essere Tel Aviv, Israel. Ma il nostro Menachem è nato a Jerushalaim, che in italiano fa Gerusalemme. E il consolato, su istruzioni di Washington, si è rifiutato di scrivergli Yerusalem, Israel. Gli ha scritto solo Yerusalem, come fosse una località marziana, di incerta attribuzione. I genitori, belli tosti, non si sono accontentati di protestare, hanno fatto causa. Anche perché c'è una legge approvata dal Congresso nel 2002 che oltre a stabilire per l'ennesima volta che l'ambasciata americana debba trasferirsi da Tel Aviv a Gerusalemme, aveva anche fra le altre cose previsto questa fattispecie, prescrivendo che sui documenti Gerusalemme fosse menzionata come effettivamente è, parte dello stato ebraico. (http://elderofziyon.blogspot.com/2011/11/apparently-us-does-not-accept-green.html)
I governi americani, non importa se di destra o di sinistra, amici o nemici di Israele, si sono sempre opposti ad applicare questa legge (che pure è stata regolarmente promulgata da Bush), assserendo che essa interferiva con la competenza della presidenza sulla politica estera. Io non sono un costituzionalista, tantomeno un esperto di costituzione americana, ma le voci sulla rete danno la causa dei Zivotofsky come difficile da vincere, perché nella divisione dei poteri la Corte Suprema ha l'abitudine di tutelare molto il "privilegio esecutivo". Peccato. Anche le amicizie hanno i loro limiti. Peccato.
Ma c'è un piccolo dettaglio in più da considerare. Menachem è nato a Ovest della famosa linea verde. Non nella più o meno mitica "Gerusalemme Est" rivendicata dai palestinesi come loro – incluso il quartiere ebraico di Gerusalemme, il Kotel ("muro del pianto"), le tombe ebraiche del Monte degli Olivi, la Città e la tomba di Davide, le sinagoghe storiche e quant'altro. Menachem è nato a Ovest, dove stanno la Knesset, il Parlamento israeliano, e poi le varie sedi governative, la presidenza della Repubblica, Yad Vashem, il Museo di Israele e mille altre istituzioni ebraiche. Negando di scrivere sul passaporto che quello è Israele, l'amministrazione americana non sta difendendo la "linea verde" o i "confini del '67" come la chiamano gli ignoranti e gli ideologhi. Sta mettendo in dubbio che anche "Gerusalemme Ovest" (usiamo questo termine assurdo per capirci) sia di Israele. Se ci pensate bene, è lo stesso gesto che compiono i beoti nostrani quando scrivono "il governo di Tel Aviv", "Tel Aviv ha fatto una legge... " eccetera, ben sapendo che governo e parlamento israeliano non stanno affatto nella città. Dunque quello che i nemici di Israele mettono in discussione non è la Gerusalemme unificata dopo il '67; ma tutta Gerusalemme, qualunque Gerusalemme, di qua e di là della linea verde. Semplicemente che in mani ebraiche ci sia la città cui la loro identità è legata da tremila anni. Per questo nessun governo ha mai aperto un'ambasciata a Gerusalemme, neanche a Ovest: perché sanno che gli arabi non lo vogliono con un odio ancor più furibondo di quello con cui rifiutano Israele in generale. E neppure i presidenti amici di Israele osano sfidarli.
Bisogna fare ancora un passettino e chiedersi qualcosa sui confini. Com'è che col gran parlare di "confini del '67", quando questi attribuirebbero dei luoghi ai paesi arabi (non ai palestinesi, che non hanno mai avuto uno stato loro, ma alla Giordania che li occupava illegalmente) questo è un sacro diritto; mentre se palesemente garantiscono un territorio a Israele, si invoca "il privilegio esecutivo" pur di non riconoscerlo?
(Badate che il privilegio esecutivo è avanzato perché gli Stati Uniti sono un paese legale e civile. L'Italia, la Francia, la Nuova Zelanda e tutti gli altri tengono la loro ambasciata a Tel Aviv senza spiegare il perché; ma vi immaginate se l'Austria, che è un paese cattolico, si facesse rappresentare da un ufficio a Firenze e la spagna, che non è da meno, stesso invece a Napoli, per non offendere il Papa cui Roma è stata tolta centoquarant'anni fa? E se la Francia, avendo qualche riserva sull'unificazione tedesca, pensasse che tutto sommato la sua ambasciata sta meglio a Bonn? Vi rendete conto dell'insulto implicito nella pretesa di decidere dall'esterno quale dev'essere la capitale di uno stato indipendente – ripeto, dentro i "confini" che tutti dicono di rispettare? E a proposito, se non è la linea verde, qual è il confine giusto di Israele? Se Gerusalemme dovesse andare ai palestinesi (tutta, anche l'Ovest) o al Vaticano (che spera sempre di gestirla lui prima o poi...) dove dovrebbero essere i confini di Israele? In periferia? A Beit Shemesh, giù dalle montagne? A Ramla? A Lod? A Tel Aviv? in riva al mare, come vorrebbero i palestinesi, con gli israeliani dalla parte dei pesci? E' una domanda cui il governo americano (e figuriamoci gli altri) rifiuta di rispondere. Eppure la cosa ha una sua importanza, credo. Vale la pena di ringraziare la famiglia Zivotofsky per aver posto il problema. Auguriamo tutti, credo, a Menachem di vedere prima o poi sul suo passaporto il suo luogo di nascita. Ma io non ne sono così sicuro. Nel conflitto fra viltà e realtà è difficile che vinca la parte giusta.
Ugo Volli