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Il Manifesto Rassegna Stampa
11.11.2011 La morte di Yasser Arafat non è per niente un mistero
Ma Michele Giorgio accusa Israele di assassinio, senza averne le prove

Testata: Il Manifesto
Data: 11 novembre 2011
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Oggi si avrà la parola fine sul mistero della morte di Yasser Arafat?»

Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 11/11/2011, a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo "Oggi si avrà la parola fine sul mistero della morte di Yasser Arafat?".
La morte di Arafat non è affatto un mistero, c'è però un complice sile nzio sulle cause. Anche l'ospedale francese dove era stato ricoverato, non ha potuto mostrare il certificato di morte, per le pressioni ricevute dalla vedova e da tutti i leader dell'Olp. Persino il suo medico curante (palestinese) è stato diffidato dal toccare l'argomento. Il suo nome è Aids, non sia mai detto che il capataz della Palestina sia morto per una causa così poco in linea con i dettami islamici della rivoluzione. La vita di Arafat è stata raccontata senza ipocrisie nel libro di Ephraim Karsh, uno degli studiosi più seri della storia del Medio Oriente.
Si metta il cuore in pace Giorgio e prendendo un po' di coraggio racconti le cose come stanno.


Yasser Arafat                      Michele Giorgio

È un settimo anniversario della morte di Yasser Arafat con il botto quello che si preparano a commemorare oggi i palestinesi.Nasser Qudwa, ex ambasciatore dell’Olp alle Nazioni unite e nipote del presidente palestinese scomparso nel 2004, ha annunciato che al più presto verrà resa nota, tradotta in arabo, la relazione finale sulle cause della morte di Arafat, avvolte sino ad oggi nelmistero. La relazione, preparata dai medici francesi dell’ospedale militare di Percy a Clamart - dove Arafat venne ricoverato nel vano tentativo di salvargli la vita -, sembra avvalorare la tesi dei tanti, non solo palestinesi, che hanno sospettato sin dall’inizio un assassinio, compiuto con una tossina sconosciuta ad azione lenta. Arafat dalla fine del 2001 viveva confinato nella Muqata di Ramallah, di fatto circondato dalle forze armate israeliane. Cominciò a stare male ad agosto 2004. Il suo medico personale rilevò subito delle stranezze e chiese che venissero consultati degli specialisti per fare una diagnosi precisa. Gli esami di laboratorio davano un inspiegabile calo delle piastrine. Ma non si trattava di una leucemia, né di un tumore. Le cose precipitarono ad ottobre e il presidente fu trasferito a Parigi. In Francia Arafat venne curato ed ebbe un leggero miglioramento ma il 3 novembre entrò in coma a causa di un’ emorragia cerebrale e l’11 novembre alle 3.30 spirò in ospedale. Secondo Nasser Qudwa i medici francesi non escludono che sia stato un veleno ad uccidere Yasser Arafat. Un veleno speciale, di quelli che escono dai laboratori dei servizi segreti. La popolazione dei Territori occupati non ha mai avuto dubbi: Abu Ammar (Arafat) è stato ucciso dall’ex premier israeliano (e suo mortale nemico) Ariel Sharon. D’altronde fu un giornalista della tv israeliana, Yoram Binur, che nel 2005 parlò più o meno esplicitamente dell’assassinio del presidente palestinese. Ha indagato anche il giornalista franco-israeliano Amnon Kapeliouk, amico di vecchia data di Arafat, che arrivò a conclusioni analoghe. Sulla morte misteriosa di Arafat pesa anche l’atteggiamento della leadership palestinese che sulla vicenda ha mantenuto un atteggiamento di basso profilo alimentando i sospetti di chi ipotizza complicità all’interno dell’Anp con il «piano israeliano» di eliminare Abu Ammar. Ambiguo è stato anche il ruolo dell’ex first lady palestinese, Suha Tawill, che nelle ultime ore di vita del presidente sembrò interessata soprattutto a garantirsi una fetta di quello che all’epoca imedia occidentale, con esagerazione, definirono il «tesoro di Arafat». Morto il presidente, Suha Tawill si trasferì all’estero, a Tunisi, e non ha mai permesso alla figlia Zahwa (oggi 17enne) di tornare a Ramallah. Maè stata costretta a lasciare il paese nord-africano qualche anno fa. E contro di lei, nei giorni scorsi, la giustizia tunisina ha emesso un mandato di cattura internazionale per corruzione nel caso della «Scuola internazionale di Cartagine», che aveva fondato nel 2006 insieme a Leila Trabelsi, la potentissimamoglie dell’ex dittatore tunisino Ben Ali.

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