Sinai: il deserto e la morte
di Mordechai Kedar
da Makor Rishon
(traduzione dall’ebraico di Danielle Elinor Guez,
a cura di Angelo Pezzana)
Sinai, eritrei prigionieri dei beduini Mordechai Kedar
Oggi voglio farvi una confessione. Poiché sono presente sui media arabi, ricevo di tanto in tanto da arabi o da musulmani – che non sono arabi – delle e-mail con informazioni che i miei corrispondenti ritengono possano interessarmi. Alcuni mi chiedono di intervenire su qualche argomento, privato o pubblico. Rispondo a tutti, e con qualcuno si mantiene il legame epistolare. Una parte non trascurabile della conoscenza che ho del mondo arabo e musulmano viene da queste persone, che mi raccontano storie spesso delicate, non conosciute, riservate e tenute nascoste nei paesi che ci circondano. Fra loro anche donne, che mi mandano dei resoconti sulle loro vite, in famiglia e nella società nelle quali sono nate e obbligate a vivere, da far drizzare i capelli in testa.
Questa settimana mi ha scritto un rifugiato musulmano eritreo che vive in Europa, in un luogo dove ha potuto stabilirsi, dopo essere fuggito da quell’inferno in terra che è il Corno d’Africa. La sua e-mail mi ha stupito, e voglio dire il perché ai miei lettori. Tutti sanno che Israele, da anni, rappresenta un porto sicuro dove trovare lavoro per i rifugiati dall’Eritrea, dal Sudan e da altri paesi africani. Una piccola parte di questi clandestini sono arrivati dalle zone di guerra del Darfur, mentre Israele, fino ad oggi, ha accolto circa quaranta mila clandestini africani, la cui maggioranza però non ha alcun legame con il Darfur. Sono venuti in Israele per trovare lavoro e condurre una vita normale, in fuga da disoccupazione, corruzione e povertà che imperversano nei loro paesi d’origine.
Entrano in Israele dall’ Egitto e dal deserto del Sinai, accompagnati dai beduini locali alla frontiera israelo-egiziana. Questi spalloni si fanno pagare migliaia di dollari per questa prestazione, una cifra astronomica per dei poveri africani ai quali manca tutto. Chi fra loro non può pagare viene tenuto prigioniero in condizioni umilianti e torturato dai beduini, fino a che non ricevono dalle loro famiglie la somma stabilita. Il destino delle donne è ancora peggiore, diventano schiave con tutto ciò che comporta. In molti casi, i soldati egiziani di servizio alla frontiera, sparano sugli africani che tentano di passare clandestinamente il confine con Israele, in quanto non sono stati in grado di pagare ai soldati il “diritto di passaggio”, essendo stati spogliati dai beduini di quanto avevano. Questa amara verità è la causa della scomparsa di migliaia di eritrei fra le distese del deserto del Sinai.
Si è saputo recentemente il motivo di queste “sparizioni”. Una parte viene eliminata perché non in grado di pagare la somma ingente richiesta dai beduini, ma altri vengono assassinati per potergli prelevare gli organi: reni, cornee, cuore, fegato. Alcuni media corretti – CNN, BBC – hanno denunciato questo fenomeno pubblicando immagini di cadaveri di africani abbandonati nel deserto dopo aver subìto il prelievo dei loro organi interni e degli occhi.
La CNN ha rivelato che in questo commercio di organi sono implicati medici egiziani del Cairo e di Islamiya: sono in contatto con le tribù beduine, in particolare con gli Swarkah e i Tihah. Arrivano con un furgone frigorifero nella tribù che tiene prigionieri gli africani, scelgono fra gli eritrei quelli che appaiono in buona salute, li addormentano e procedono al prelievo degli organi di cui hanno bisogno; i loro cadaveri vengono poi abbandonati nel deserto in pasto agli animali. Ai beduini, i medici versano forti somme in contanti.
Una stazione televisiva egiziana ha raccolto delle testimonianze di beduini che hanno raccontato come, a volte, questi medici non addormentino neppure le vittime predestinate all’ .
E’ stato mostrato in video il corpo di un uomo strangolato con una corda, perché l’ per strangolamento è meno cara di una iniezione anestetizzante. Un testimone ha raccontato che anche il sangue dell’africano è stato prelevato per essere venduto per trasfusioni.
E’ probabile che gli organi vengano usati per i trapianti in cliniche egiziane o nella Penisola del Sinai, forse nella regione di Sharm-el-Sheikh. Il giornale egiziano “Al-Mashad” riferiva, a fine ottobre, che notizie su questi fatti sono arrivate a Rafiah e Shih Zawid, e che alcuni dirigenti delle organizzazioni salafite ( che propagandano un ritorno all’islam tradizionale) hanno emesso una dura condanna, sostenendo però che il fenomeno è riconducibile a poche persone prive di scrupoli che danneggiano la buona reputazione dei beduini.
Lo sceicco Mara’i Ar’ar, porta parola ufficiale della Associazione Islamista Salafita ha sottolineato che “una assemblea, che si è tenuta recentemente nei pressi di Rafiah, ha condannato duramente il commercio di organi, il contrabbando delle auto, di africani, di donne e di droga verso Israele”.
Interessante notare che non ha fatto cenno al contrabbando delle armi verso Gaza. Evidentemente ritiene che il sangue degli israeliani, versato a causa delle armi entrate a Gaza, non sia poi una gran perdita. Il giornale “Al-Mashad” riferisce anche altro, che gli stessi israeliani siano coinvolti nel contrabbando di organi nel Sinai, senza però fornire alcun dettaglio sull’identità di questi presunti “israeliani”.
Chi è il colpevole ?
I primi ad essere messi sotto accusa , senza dubbio alcuno, sono i beduini del Sinai, che, per avidità, si dedicano ad un contrabbando dai vari aspetti: dalla droga alla lotta armata, dagli immigrati agli organi. Ma non possono essere esonerate dalle loro responsabilità le autorità egiziane, che in tutti questi anni non hanno esercitato alcun controllo su quel che succedeva nel Sinai, permettendo a traffici e contrabbando di raggiungere queste proporzioni.
Nel Sinai l’Egitto non ha costruito strade, lasciando il territori ai cammellieri e a mezzi di trasporto fuori controllo. A causa della negligenza egiziana, il Sinai si è trasformato, con il passare degli anni, in un territorio fuori legge,e costituisce oggi un porto franco per i terroristi evasi dalle prigioni egiziane, e per gli assassini che vendono gli organi delle loro vittime.
Il terzo accusato potrebbe essere Israele, perché questo Stato permette da molti anni a migliaia di africani di introdursi senza controlli all’interno della propria frontiera, incoraggiandoli così a intraprendere un viaggio lungo e pericoloso. Se Israele avesse mantenuto un controllo efficace lungo il confine con l’Egitto, non si sarebbero potuti infiltrare in Israele né avrebbero nemmeno preso in considerazione l’ipotesi di venire, mentre invece si sono trovati alla mercè dei beduini del Sinai.
Al quarto posto ci sono le Organizzazioni dei Diritti dell’Uomo in Israele, che hanno sporto denuncia davanti alla Corte Suprema affinché obblighi il governo a permettere l’ingresso dei clandestini con la autorizzazione a rimanervi: che gli venga dato un rifugio, cibo, alloggio e assistenza sanitaria. Ultimamente, dopo un dibattito sulla costruzione nel Negev di un campo di detenzione per questi clandestini, queste organizzazioni per i , come Amnesty International, hanno presentato un ricorso alla Commissione nazionale per la pianificazione e la costruzione, sostenendo che quel campo è – secondo loro- contro la Dichiarazione Internazionale dei Diritti dei Rifugiati. Non c’è dubbio che questi organismi e chi li rappresenta sono animati da buone intenzioni e generosità mista a compassione, ma quando un eritreo scrive ai suoi amici e alla sua famiglia che si trova bene in Israele grazie a queste organizzazioni dei diritti dell’uomo che provvedono a tutti i suoi bisogni, incoraggia altri eritrei a mettersi in viaggio ed essere così vittime dei pericoli mortali nel Sinai.
Una parte di responsabilità va imputata anche alle Nazioni Unite e alla Comunità internazionale, che hanno lasciato che la situazione in Eritrea si deteriorasse sul piano economico, sociale e politico, al punto che i suoi cittadini, pur di fuggire dal paese, sono disposti a rischiare enormi pericoli. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), era stata incaricata di occuparsene per proteggerli, ma il suo pessimo modo di lavorare ha permesso a egiziani e beduini di sfruttarli in una maniera ancora più sfrontata.
Israele può mettere fine immediatamente a queste morti nel deserto chiudendo ermeticamente la frontiera con l’Egitto, perché se non sarà più possibile oltrepassarla, tutta l’industria del contrabbando nel Sinai si interromperà, insieme a tutti quei casi spaventosi che si accompagnano all’immigrazione fuori controllo degli africani nel Sinai. La chiusura ermetica della frontiera diminuirà ugualmente il rischio di infiltrazione di terroristi dal Sinai in Israele. Occorre poi che Israele rimandi in Africa quelle decine di migliaia di clandestini che sono arrivati qui, perché cessi di essere le meta dei disoccupati del mondo intero. Non si tratta di rifugiati politici perseguitati, protetti dai trattati delle Nazioni Unite, sono persone alla ricerca di un lavoro. Israele può aiutare l’Eritrea a sviluppare la propria economia, per essere in grado di garantire ai propri cittadini lavoro, educazione e assistenza sanitaria, dandogli in questo modo delle buone ragioni per rimanervi. Israele aiuterà così queste sfortunate popolazioni in maniera più efficace, impedendo che diventino la preda delle bestie feroci del deserto.
Israele deve poi controllare quanto scritto nel giornale Al-Mashad riguardo alla implicazione israeliana nel traffico di organi nel Sinai, per verificare se c’è stato contrabbando dal Sinai in Israele. Inoltre, verificare se ci sono degli israeliani che si recano in Egitto o nel Sinai per trapianti di organi. Sarebbe contrario alle nostre leggi, se fosse vero, andrebbe fermato immediatamente.
Se il Sinai si è trasformato nel “deserto della morte” è anche, tra l’altro, perché Israele ha trascurato la “frontiera della pace” con l’Egitto. E’ tempo che Israele prenda le misure necessarie per mettere fine all’industria della morte che imperversa nel Sinai.
Mordechai Kedar fa parte del Centro Studi sul Medio Oriente e sull’Islam della Università Bar Ilan, Israele. Collabora con Informazione Corretta