venerdi 22 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.11.2011 Sergio Romano sempre peggio
Cerca di giustificare la sua definizione dei criminali palestinesi 'prigionieri politici'

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 novembre 2011
Pagina: 49
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Come definire i palestinesi nelle carceri israeliane»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/11/2011, a pag. 49, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo "Come definire i palestinesi nelle carceri israeliane".


Sergio Romano, Gilad Shalit, Marwan Marghouti, architetto della seconda intifada

Sergio Romano cerca di giustificare il fatto che abbia definito i criminali palestinesi scarcerati in cambio della liberazione di Gilad Shalit 'prigionieri politici', una definizione inaccettabile.
Romano scrive : "
la questione palestinese, in ultima analisi, è lo scontro fra due popoli che si contendono la stessa terra. Il popolo A ha costruito il suo Stato su una parte della regione e occupa militarmente, o mantiene in stato d'isolamento, la parte restante. Il popolo B vuole la fine dell'occupazione e reclama l'indipendenza. ". Non c'è nessuno scontro di due popoli, per il semplice fatto che, mentre il popolo ebraico esiste, quello palestinese non è altro che un'invenzione, frutto della propaganda araba volta a isolare Israele.
La semplificazione di Romano, poi, contiene alcune omissioni notevoli. Per esempio non specifica che, prima della nascita di Israele, non esisteva nessuno Stato palestinese, perciò non è ben chiaro quali diritti avrebbe il presunto 'popolo palestinese' sulla terra. Inoltre Romano non specifica che la risoluzione Onu che ha sancito la nascita di Israele prevedeva anche la fondazione di uno Stato palestinese. Furono gli arabi, non Israele, a rifiutarlo. Gli Stati arabi scatenarono una guerra contro lo Stato ebraico, convinti di poterlo cancellare in poco tempo. Romano, inoltre, omette tutti gli attacchi successivi dai quali Israele ha dovuto difendersi. Se al momento alcune zone della Cisgiordania sono controllate da Israele il motivo è semplice. Israele ha vinto le guerre che ha combattuto. La politica che ha sempre adottato, in passato, è stata quella di cedere territori in cambio di pace, una strategia che, purtroppo, si è rivelata spesso fallimentare. Gaza ne è l'esempio più lampante. Romano, poi, non specifica per quale motivo i criminali erano in carcere. Stavano scontando una pena dopo essere stati regolarmente processati. In prigione godono degli stessi diritti degli altri detenuti. Possono ricevere visite di familiari e medici. Gilad Shalit è stato tenuto segregato per oltre cinque anni, non si sa dove. Non gli è stato permesso nemmeno di ricevere le visite della Croce Rossa Internazionale. E' stato rapito sul suolo israeliano. Gilad Shalit era un prigioniero politico, non aveva commesso alcun crimine.
Romano scrive : "
lei punta il dito su certe forme di spietata crudeltà contro la popolazione civile. (...)Penso ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, alla guerra di Gaza, agli aerei senza pilota dell'aviazione americana che non possono eliminare un nemico se non colpendo tutti coloro dietro i quali si è nascosto.". I cittadini israeliani non sono 'scudi umani' usati dai soldati per nascondersi. A Gaza, invece, Hamas si nasconde fra la popolazione civile. E, in ogni caso, la guerra a Gaza aveva obiettivi militari ben precisi. Gli attentati della seconda intifada erano rivolti contro la popolazione civile con lo scopo di ammazzare quanti più ebrei possibile. La guerra a Gaza è stata la risposta israeliana al lancio di razzi dalla Striscia. Gli attentati della seconda intifada non erano la risposta a nulla, erano meri atti terroristici.

Ecco lettera e risposta:

Ogni volta che sul Corriere leggo una sua risposta a lettere che in qualche modo riguardino Israele, mi trovo a non essere mai in accordo (neanche parzialmente) con quello che lei scrive, tanto che ormai mi ci sono abituato e lo considero scontato, data l'idea che mi sono fatto sulle ragioni che stanno alla base di quello che lei scrive. Ma la sua precisazione riguardo ai «prigionieri politici» va oltre i limiti della mia capacità di accettazione: come fa a definire «prigionieri di guerra» quei palestinesi che hanno messo bombe nei bus, nelle pizzerie, negli alberghi o hanno accoltellato dei ragazzi per la strada e che anche a distanza di anni si vantano delle loro azioni criminali? Quale guerra stavano combattendo? Lei scrive anche «basco, irlandese, italiano o palestinese» mettendo insieme situazioni e storie molto diverse: allora anche il «nostro» Cesare Battisti deve essere considerato un prigioniero di guerra? E considera un atto di guerra anche lo sterminio della famiglia Fogel, compreso lo sgozzamento di tre bambini di 11 anni, 4 anni e 3 mesi?

Alessandro Prosperi
alessandro.prosperi@gmail.com

Caro Prosperi,
L e sue domande sono state fatte da altri lettori, quasi tutti indignati dalla mia definizione. Cercherò di rispondere, ma le chiedo di dimenticare, almeno per un momento, le ragioni storiche, gli argomenti politici, le motivazioni morali e le accuse con cui ciascuno dei due contendenti giustifica se stesso e attribuisce all'altro la responsabilità di quanto è accaduto nella regione durante i 130 anni trascorsi dai primi insediamenti sionisti. Spogliata dalle grida retoriche e dalle affermazioni emotive che accompagnano tutti i conflitti, la questione palestinese, in ultima analisi, è lo scontro fra due popoli che si contendono la stessa terra. Il popolo A ha costruito il suo Stato su una parte della regione e occupa militarmente, o mantiene in stato d'isolamento, la parte restante. Il popolo B vuole la fine dell'occupazione e reclama l'indipendenza. In ambedue i campi, come accade normalmente in questi casi, vi sono falchi e colombe, vale a dire persone che desiderano lo scontro e altre che sperano di risolvere il problema con gli strumenti del dialogo e della diplomazia. Con qualche importante eccezione i falchi hanno avuto il sopravvento e alimentano una guerra continua, interrotta da qualche breve schiarita.
A differenza di altre guerre, combattute da forze regolari, questa è una guerra asimmetrica. Il popolo A dispone di un esercito, di un arsenale moderno, di un territorio in cui può preparare e organizzare le sue operazioni. Il popolo B non dispone, se non marginalmente, di questi mezzi e ricorre alle armi che sono state usate da tutti i movimenti di resistenza e liberazione degli ultimi decenni: gli attentati, le incursioni dei commando, i rapimenti. Non è tutto. Quanto più A riempie i suoi arsenali di armi moderne, tanto più B ricorre alle sole di cui dispone. Come altri lettori, lei punta il dito su certe forme di spietata crudeltà contro la popolazione civile. Rispondo ricordando che ci siamo appena lasciati alle spalle un secolo in cui la popolazione civile è stata continuamente usata ora come il tallone d'Achille dello schieramento avversario, ora come il migliore dei nascondigli possibili. Penso ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, alla guerra di Gaza, agli aerei senza pilota dell'aviazione americana che non possono eliminare un nemico se non colpendo tutti coloro dietro i quali si è nascosto.
Un'ultima osservazione, caro Prosperi. Finché si combatte, A considera i combattenti di B come criminali e li uccide o li condanna a lunghe pene detentive. Quando la guerra finisce, A libera quelli detenuti nelle sue carceri e riconosce così, a posteriori, che erano prigionieri di guerra. É accaduto in quasi tutte le guerre asimmetriche del Novecento e accadrà, sperabilmente, anche in quella fra Israele e i palestinesi.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT