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La Stampa Rassegna Stampa
09.11.2011 Aiea: l'Iran sta lavorando all'atomica
Cronaca di Maurizio Molinari, intervista a Daniel Pipes di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 09 novembre 2011
Pagina: 19
Autore: Maurizio Molinari - Paolo Mastrolilli
Titolo: «L’Iran sta lavorando all’atomica - Il vero obiettivo è isolare il regime»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/11/2011, a pag. 19, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " L’Iran sta lavorando all’atomica ", l'intervista di Paolo Mastrolilli a Daniel Pipes dal titolo " Il vero obiettivo è isolare il regime ".

Fabio Scuto scrive  su Repubblica : "Le conclusioni del rapporto dell'Aiea sembrano allontanare almeno per il momento le possibilità di un attacco preventivo di Israele contro i siti nucleari iraniani. L'Iran sta provando a dotarsi di un arma nucleare, scrive l'Aiea nel suo rapporto, ma non ha ancora raggiunto la fase finale nella costruzione dell'ordigno atomico. Ancora settimane, forse mesi, prima che la l'atomica degli ayatollah diventi una realtà  ". Secondo Scuto non si capisce, allora, perchè Israele continui a prepararsi a una possibile guerra contro l'Iran. Che cosa dovrebbe fare lo Stato ebraico, attendere che fra qualche settimana o mese, complice la Russia, l'Iran abbia sul serio un ordigno atomico? E poi? Lasciarsi cancellare?
Ecco i due articoli:

Maurizio Molinari - " L’Iran sta lavorando all’atomica "


Mahmoud Ahmadinejad, AIEA,                        Maurizio Molinari

L’Iran sta lavorando alla bomba dal 2003: è questa l’accusa che l’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea) solleva nei confronti di Teheran con un rapporto di 25 pagine e 13 allegati consegnato ieri ai 35 Paesi che siedono nel consiglio dei governatori.

Il rapporto firmato dal direttore generale Yukiya Amano attesta nel capitolo «G» la «possibile dimensione militare» del programma nucleare iraniano spiegando, al paragrafo numero 43, che «l’Iran ha condotto attività rilevanti per lo sviluppo di un ordigno esplosivo nucleare», riferendosi in particolare a quattro processi che sarebbero ancora in corso: gli sforzi per «ottenere materiali nucleari a fini militari e civili da individui e organizzazioni militari», lo sviluppo di materiale nucleare in «siti non dichiarati» agli ispettori, «l’acquisizione di informazioni e documenti da un network clandestino» al fine di realizzare un ordigno e «lo sviluppo del disegno di una testata nucleare, incluse le componenti per sottoporla ai necessari test».

Fino al 2003 tali attività facevano parte di un «programma strutturato» ma dopo l’annuncio di Teheran di averlo sospeso, «le attività sono continuate e in alcuni casi continuano ancora oggi». Ciò significa che l’Aiea ritiene l’Iran impegnato nella ricerca clandestina di componenti e informazioni per realizzare un ordigno, nello sviluppo del suo detonatore, nel disegno computerizzato della testata nucleare, nel lavoro preparatorio per condurre un test e nel perfezionamento della tecnica necessaria per montare tale testata atomica sul missile a medioraggio Shahab 3, la cui gittata è sufficiente per raggiungere il territorio di Israele.

È la prima volta che l’Aiea descrive con tale chiarezza il programma nucleare, ipotizzandone la natura militare, e ciò è stato possibile per la scelta compiuta da Amano di basarsi su oltre diecimila documenti di intelligence forniti da almeno dieci nazioni differenti, inclusi i file contenuti in uno o più computer trafugati dall’Iran. Sebbene l’Aiea non diffonda i nomi di tali Paesi è legittimo supporre che includano anche gli Stati Uniti, lasciando intendere un avvenuto ripensamento da parte dell’intelligence americana che nel 2007 avvalorò la sospensione del programma nucleare militare iraniano.

La reazione di Teheran è arrivata con un comunicato dell’agenzia di stampa Irna, che ha definito il rapporto «una ripetizione di precedenti affermazioni da parte degli Stati Uniti e del regime sionista che abbiamo già respinto in passato», senza contare che «il documento include affermazioni e immagini forniti da servizi di intelligence» che contengono «clamorosi errori», come l’«indicare in un grande contenitore di acciaio la prova dei test dell’esplosivo, mentre si tratta in realtà di una toilette di metallo». Da Gerusalemme il portavoce del governo israeliano, Mark Regev, ha detto: «Stiamo studiando il documento». E, in attesa di un giudizio finale, «suggeriamo ai nostri amici nel mondo, e anche a noi stessi, di non togliere alcuna opzione dal tavolo» in merito alle possibili contromisure, neanche dunque quella di un intervento militare.

Washington, Parigi e Londra hanno rimandato a oggi le prese di posizione in attesa di una reazione ufficiale da Mosca, che finora si è opposta all’adozione di nuove sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza. «Serve tempo per esaminare con attenzione il rapporto» si è limitato a commentare un portavoce del ministero degli Esteri russo, sottolineando però la «necessità di analizzarlo in un’atmosfera di calma per capire che cosa è davvero nuovo e credibile e se i fatti confermano i sospetti sulla presenza di componenti militari nel programma».

Paolo Mastrolilli - " Il vero obiettivo è isolare il regime "


Daniel Pipes

Sono manovre politiche, per riportare l’attenzione sull’Iran, aumentare la pressione e ottenere nuove sanzioni. Se però nel corso della campagna presidenziale Obama si trovasse davvero in difficoltà, non escludo che potrebbe decidere di cambiare argomento facendo precipitare la crisi con Teheran». È l’analisi di Daniel Pipes, direttore del Middle East Forum e già consigliere del presidente Bush, sulle nuove denunce dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica riguardo il programma nucleare dell’Iran, e le voci che si rincorrono a proposito di un possibile intervento militare israeliano.

Perché questa accelerazione proprio ora?

«La pericolosità del programma iraniano non è una novità, tutti sanno che ha scopi militari. La strategia che è stata scelta a livello internazionale per contrastarlo è quella dell’isolamento e delle sanzioni. Ma conservare la pressione a lungo termine è difficile, e quindi ad intervalli abbastanza ricorrenti ci dimentichiamo del problema. A quel punto cominciano le rivelazioni, come quelle che sono uscite in questi giorni riguardo il rapporto dell’Aiea, che richiamano l’attenzione internazionale sul problema. Lo scopo è questo».

Quindi lei non crede alle voci su una possibile azione militare israeliana per colpire le strutture nucleari iraniane?

«No, penso che facciano parte delle pressioni in atto. Credo che alla fine il vero obiettivo sia aumentare l’isolamento di Teheran e approvare nuove sanzioni, superando le riserve di Paesi come la Russia e la Cina che finora hanno frenato».

Nelle settimane scorse gli Stati Uniti hanno denunciato anche un complotto iraniano per uccidere l'ambasciatore saudita a Washington. Lo trova credibile?

«Nella storia della Repubblica islamica abbiamo avuto varie occasioni in cui il governo è stato tentato a colpire gli Stati Uniti, e in alcuni casi alle parole sono seguiti i fatti. In questo caso io penso che il complotto fosse il tentativo da parte di alcuni elementi dello stato di boicottare i timidi tentativi di dialogo fatti da altri. È già successo in passato: ogni volta che le relazioni tra Teheran e Washington accennano a cambiare, qualcuno interviene per deragliare il cammino. Se questa è la spiegazione giusta, non importa sapere quanto fosse autentico o sofisticato il complotto: l’importante è che sia venuto a galla ed abbia avuto il suo effetto dirompente».

I responsabili sono delle fazioni incontrollate nel governo di Teheran?

«Non proprio. Penso piuttosto a persone vicine alla guida spirituale, l’ayatollah Khamenei, impegnate in quella che ormai è una vera e propria battaglia contro il presidente Ahmadinejad. Lui ha accennato a possibili aperture, pur continuando ad usare una retorica incendiaria, e gli altri sono intervenuti per fermarlo».

Molti analisti sono convinti che Obama voglia solo rafforzare le sanzioni perché funzionano, e perché non ha interesse a scatenare una guerra durante la campagna elettorale, proprio mentre completa il ritiro dall’Iraq e avvia quello dall’Afghanistan. Lei è d’accordo?

«È la valutazione più logica. Però fate attenzione: Obama alla fine si è dimostratomolto più incline ad usare la forza, di quanto non sembrasse durante la campagna elettorale. Io non escludo che, se si trovasse in seria difficoltà durante le presidenziali dell’anno prossimo, potrebbe decidere di usare un attacco all’Iran per cambiare la situazione».

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