La legge e la pace
Piano di spartizione proposto dall'Onu nel '47. In grigio, lo Stato palestinese rifiutato dagli arabi
Cari amici, se leggete le mie cartoline siete interessati al Medio Oriente e immagino anche che vi auguriate che vi regni la pace. Chi non vuole la pace? Chi è contro la pace? Per volere la guerra bisogna essere crudeli e stupidi. In generale, voglio, dire, in astratto; in concreto le cose sono assai più complicate. E come si fa a ottenere la pace, nel caso più semplice, quando due persone litigano e se le danno di santa ragione? E' chiaro, bisogna separarli. Poi magari si riconcilieranno, ma prima occorre allontanarli l'uno dall'altro. L'idea della barriera di separazione, fra l'altro, è nata proprio da qui, da questa considerazione elementare e all'inizio è stata una proposta della sinistra, non della destra.
Dunque per fare la pace in Medio Oriente, occorre separare israeliani ed arabi, il che si può ottenere certamente eliminando gli ebrei, come propongono Hamas e Fatah (questi ultimi solo in arabo, in inglese queste cose evitano di dirle, tengono a sembrare gentili...). Ma certamente una soluzione, diciamo pure una soluzione finale del genere presenta qualche svantaggio, somiglia troppo al progetto hitleriano per essere accettabile al mondo occidentale. L'altra soluzione è delimitare territori o stati per i due popoli. Uno è Israele, stabilito già ne '48 come Stato per il popolo ebraico, l'altro potrebbe essere un nuovo stato, come dicono di volere oggi i palestinesi, che rimpiangono l'"errore" di non averlo accettato nel '47 (http://www.israelhayom.com/site/newsletter_article.php?id=1627) e oggi rivorrebbero i confini proposti allora dall'assemblea dell'Onu, ancora più soffocanti per Israele di quelli ottenuti dopo la guerra d'aggressione araba del '48-'49. Oppure la Giordania che è stata ritagliata come stato arabo nel vecchio territorio del mandato inglese ed ha una maggioranza di abitanti palestinesi. O la comunità araba, che è ciò che vagheggiano davvero i movimenti palestinesi, che non credono davvero neanche loro all'esistenza di uno stato palestinese separato.
Non importa, quel che conta è che gli arabi riconoscano uno stato separato per il popolo ebraico, ne accettino la legittimità e si rassegnino a viverci in pace accanto. Peccato che questo non accada e neppure i più "moderati" fra i palestinesi siano disposti ad avvicinarsi a questa condizione per la pace. Non si tratta di riconoscere o meno uno stato "ebraico", dal punto di vista religioso, ma di uno stato del popolo ebraico, separato, su cui gli arabi non abbiano più pretese. Questa impossibilità ha un nome. Si chiama "legge del ritorno", non quella israeliana stabilita immediatamente all'origine dello stato per prevenire una nuova Shoa, concedendo la cittadinanza a tutti coloro che Hitler avrebbe mandato nei campi: ebrei, loro coniugi, figli di almeno un genitore ebreo, nipoti di almeno un nonno ebreo. No, la "legge del ritorno" palestinese, approvata nel 2008 dal "parlamento" dell'Autorità, dice un'altra cosa: che tutti coloro che sono palestinesi e loro discendenti a qualunque titolo, i quali per qualunque ragione e in qualunque momento si siano spostati da dove abitava almeno uno dei loro antenati, che vivano all'estero o in "Palestina", hanno diritto di riprendere possesso delle "loro" case, cacciando chi ci sta (art. 1). E' un diritto "naturale, personale, collettivo, civile, politico" definito "sacro e inalienabile" che non può essere in alcun modo "compromesso, sostituito, riconsiderato, cambiato, sottomesso a referendum"(art 2); è ereditato "da padre in figlio" (niente madri e niente figlie, siamo in Islam) e "non è soggetto a prescrizione col passaggio del tempo o per accordi e non può essere abolito o sostituito in alcun modo" (art. 3). Si stabilisce anche che i "rifugiati palestinesi" non devono essere risistemati in alcun modo" (art. 5) e che non si possono fare leggi che contraddicano questa (art. 8). Naturalmente non vi sono verifiche su queste pretese, né limiti. Basta discendere da qualcuno di religione islamica e nazionalità araba per essere "palestinese", qualunque sia la sua vera origine. E basta che abbia avuto una pretesa su qualunque cosa per trasformarla questa in un diritto "imprescrittibile" per i suoi eredi (maschi, è chiaro). Se vi interessa leggere il testo di questa legge lo trovate qui: http://jerusalemcenter.wordpress.com/2011/10/26/the-palestinian-right-of-return-law-leaves-no-room-for-political-flexibility/.
E' chiaro che si tratta di una legge un tantino estremista. Applicata in Europa, sulla situazione prima della II guerra mondiale, essa porterebbe all'occupazione italiana di mezza Slovenia e Croazia, alla pretesa tedesca su territori che oggi appartengono a Russia, Polonia, Cechia, a una guerra fra Polonia e Bielorussia, a spostamenti di confini nei Balcani, al conflitto fra Grecia e Turchia, insomma riaprirebbe infinite questioni sistemate a torto o a ragione, ma chiuse e pacificate. A livello personale, poi, nessuno potrebbe essere sicuro della sua proprietà e della sua cittadinanza: insomma la guerra di tutti contro tutti. La legge palestinese però avrebbe conseguenze un po' diverse: non sarebbe la lotta di tutti contro tutti, ma di tutti contro uno. Non prevede infatti che siano restaurati i diritti di coloro che sono stati spossessati delle loro proprietà se non palestinesi, non tutela affatto gli ebrei espulsi da tutto il mondo arabo (un milione circa) e anche dai territori amministrati dai palestinesi; non è un vero ritorno indietro, ma la ricetta per quella soluzione che avevamo scartato all'inizio: l'eliminazione di Israele. Questo si nasconde dietro il rifiuto di Abbas di riconoscere uno "stato ebraico" (http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4124030,00.html), mai e poi mai, come ha detto anche l'altro ieri (http://www.theblaze.com/stories/palestinian-chairman-abbas-i-will-never-recognize-a-jewish-state/).
Badate che non è una sua fissazione personale. Sono stati fatti dei sondaggi in merito. Ai palestinesi è stato chiesto se sarebbero disposti a rinunciare alla legge del ritorno in cambio del riconoscimento di un loro stato: i no sono stati l'89,8 %, i si 6,8 % e anche l'idea di una compensazione monetaria è stata rifiutata dall' 89,5 % contro solo il 7,3 di sì (http://elderofziyon.blogspot.com/2011/11/why-peace-is-impossible-reason-7934.html). Ecco, se vi chiedono perché non c'è e non ci sarà la pace in Medio Oriente, questa è la risposta. Perché non è possibile separare i contendenti, anzi non è possibile sciogliere la presa mortale che gli arabi pretendono sul territorio israeliano, che ci sia o meno il riconoscimento del loro stato. Ciò che si discute in questo momento all'Onu e altrove, non sono le condizioni della pace, ma il punto di partenza per la nuova guerra che prima o poi gli arabi scateneranno, in nome del loro "inalienabile diritto del ritorno".
Ugo Volli
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