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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Gabriele Rubini, Generazioni: 1881-1907 07/11/2011

Generazioni: 1881-1907                   Gabriele Rubini
World Hub Press                                Euro 24

Il panorama della letteratura ebraica si arricchisce di un’ eccellente opera prima.
Fra i libri che intrattengono e al contempo informano ed educano, peculiarità non comune nell’editoria italiana, si colloca il romanzo storico Generazioni: 1881-1907 con il quale Gabriele Rubini  inaugura la nuova collana High Concept Novel della casa editrice World Hub Press.
L’autore, studioso di storia ebraica e del Medio Oriente, ha vissuto un anno in un kibbutz in Israele prima di laurearsi in storia americana e ora affianca la sua attività di scrittore con quella di export manager.
Alle finalità dell’ambizioso progetto di HCN Rubini aderisce con un libro straordinario che, pur rivolto ad un pubblico ampio, nasce “da accurate ricerche svolte sulla base di fonti attendibili e documentate”.
Generazioni è un romanzo corale, di ampio respiro nel quale l’autore con uno stile brillante e incisivo racconta le vicende di cinque famiglie ebree declinandole in un’epoca storica tumultuosa e foriera di grandi mutamenti in cui meravigliosi personaggi di finzione interagiscono con figure realmente esistite.
Da Zithomir in Ucraina dove il romanzo si apre nel marzo del 1881 con le violenze di un pogrom passando per la piccola cittadina di Berdichev, teatro degli avvenimenti che intrecciano le vite dei Zylberstein e dei Jacobi, fino a Shoshanat-Yericho, il villaggio in Eretz Israel “una trentina di pionieri e un pugno di baracche di legno arroccati in cima a un colle” nato dalla munificenza del benefattore Moses Montefiore, (il luogo dove Judah Zylberstein e Lyla Jacobi approdano lasciandosi tutto alle spalle per dedicarsi alla vita di pionieri), il lettore si appassiona alle vicende delle famiglie russe e non può fare a meno di partecipare alle gioie, ai dolori e alle tragedie che li vedono protagonisti.
E’ una galleria di personaggi indimenticabile che Rubini ritrae con un accurato lavoro di scandaglio psicologico rivelando di ognuno i pregi, i difetti, le aspirazioni e i desideri più reconditi: pervasi da autentico spirito sionista sono consapevoli che per sfuggire all’antisemitismo e ai pogrom l’unica strada da perseguire è l’Alyah, la salita in Eretz Israel, ma solo pochi potranno realizzare quel sogno.
Quando Marek Jacobi acquista la distilleria dei Zylberstein e si trasferisce a Berdichev, consentendo ai parenti del vecchio Zylberstein di continuare a lavorarvi, inizia un sodalizio non solo professionale che porterà i componenti delle due famiglie ad intrecciarsi indissolubilmente l’uno all’altro.
Se l’unione di Samuel e Rachel Jacobi si rafforza con la nascita di Benyamin e Lyla, il matrimonio di Dora e Moshe Zylberstein, un giovane “bello, vivace, divertente” amato dalle donne, è benedetto dall’arrivo di Judah, sano e robusto e fin dalla nascita promesso sposo della dolce Lyla. A prezzo di enormi sacrifici economici e solo dopo aver strappato il consenso delle madri saranno proprio Lyla e Judah una volta diventati adulti a voler concretizzare l’ideale sionista, scegliendo di vivere nel paese dove scorre il latte e il miele.
Ma il destino non è clemente e si abbatte con inusitata violenza sul villaggio di Shoshanat Yericho, un gruppo di baracche arroccate in cima a un colle sul lago di Kinneret, dove i giovani pionieri conducono per alcuni anni una vita di sacrifici coltivando i vigneti sul fianco della collina e dove nascono i loro figli Nathan e Hannah.
Il lettore segue con trepidazione l’evolversi degli eventi che strappano a Lyla e Judah il loro sogno mentre nuovi personaggi intrecciano e arricchiscono la trama ad ogni pagina rivelando una prosa di rara efficacia.
Sullo sfondo si delinea la Storia con l’uccisione dello zar Alessandro II, i pogrom, l’antisemitismo che trasforma ogni ebreo in un capro espiatorio, la guerra in Crimea del 1853 che allontana per molti mesi Benyamin dalla sua famiglia: il tutto ritratto dall’autore con un’accuratezza e un rigore storico che, senza appesantire la trama, arricchiscono di fatti nuovi la narrazione che si avvale di una scrittura brillante e scorrevole.
Con Daniele Morpurgo, giornalista del Resto del Carlino, conosciamo la Bologna del 1887, percorriamo le strade che costeggiano Piazza San Domenico, facciamo due chiacchiere con gli amici di Daniele al Caffè S. Pietro indignandoci per il massacro degli italiani in Eritrea. Ancora una volta la Storia si insinua nel racconto con la triste vicenda di Edgardo Mortara, il bambino ebreo amico d’infanzia di Morpurgo, rapito dalle autorità ecclesiastiche e mai più restituito alla famiglia. Una storia dolorosa che è rimasta conficcata nell’animo del giovane e riemerge dopo anni dalle pagine di un articolo di Daniele che nel frattempo è diventato marito di Zita e padre affettuoso di Italo e Filippo.
Un altro personaggio storico fa capolino dalla penna sapiente di Rubini facendo sognare i lettori che hanno amato le sue rime sui banchi di scuola: è Giosuè Carducci dal temperamento burbero e imprevedibile che affascina Morpurgo con la sua oratoria e diventa per il giovane aspirante professore un maestro e un modello cui ispirarsi.
Lasciamo Daniele Morpurgo, ormai giornalista famoso della testata bolognese, alle prese con un articolo su Francesco Crispi, divenuto in quegli anni Primo Ministro per entrare nella Parigi del 1895.
Fin dalle prime pagine l’autore inquadra con lucidità fotografica l’epoca nella quale si dipana la vicenda della famiglia Lanzmann.
Siamo nel 1895 al tempo dell’Affaire Dreyfus. Capitano, patriota alsaziano di religione ebraica, Alfred Dreyfus giunto ai vertici dello Stato Maggiore viene accusato ingiustamente di aver passato ai prussiani informazioni militari segrete e degradato in pubblico dinanzi a generali, giornalisti venuti da tutto il mondo e ad una folla che fuori dai cancelli non nasconde il sentimento antisemita serpeggiante nella società francese, al grido: “Morte al giudeo, fuori gli ebrei dall’esercito”.
In questo contesto si inserisce la storia struggente del tenente Antoine Lanzman, alsaziano ed ebreo come Dreyfus. Benché si senta prima di tutto francese e poi ebreo per Antoine l’identità ebraica ha un significato profondo e un pomeriggio al circolo degli ufficiali non può fare a meno di udire una conversazione fra quattro ufficiali subalterni. L’indignazione è tale per quelle frasi antisemite che chiede soddisfazione sfidandoli a duello.
A nulla servirà l’amore di Pauline, la sua compagna, né l’affetto del padre Bénoit: il destino di Antoine è segnato e l’epilogo straziante lascerà una cicatrice indelebile nell’animo di coloro che lo hanno amato, oltre alla consapevolezza che un’immane ingiustizia si sia compiuta.
Se nella prima parte di Generazioni sono le vicende dei “Padri” a costituire l’ossatura centrale del romanzo, è nella seconda, dallo stile narrativo ancor più incalzante e avvincente, che si declinano le storie dei “Figli” con quegli imprevedibili intrecci che solo la vita sa creare, dando vita ad un meraviglioso affresco di culture, tradizioni e paesi diversi l’uno dall’altro.
E’ una saga familiare indimenticabile, quasi un romanzo nel romanzo, quella che si apre con il giovane Mendel Jacobi, figlio di Benyamin e della seconda moglie Leah, sullo sfondo della guerra in Manciuria nell’agosto del 1904.
Con magistrale arte narrativa, Rubini ricostruisce la situazione degli ebrei in Russia in quegli anni, delineando in maniera puntuale l’epoca dello zar Nicola, le agitazioni di piazza, gli scioperi, oltre alle contrapposizione fra bundisti e sionisti.
E’ un universo multiforme, un caleidoscopio di personaggi variegati quello che si presenta agli occhi del lettore che rimane affascinato da un mondo dove albergano e si intrecciano le anime più diverse: dal sionista che vuole costruire il Paese realizzando il proprio sogno, al bundista che insegue l’utopia socialista passando dall’ebreo ortodosso che, fedele ai dogmi religiosi, combatte sia le idee sioniste che quelle bundiste.
I personaggi di questa seconda parte, raccontati con consumato mestiere, ci conducono in un viaggio affascinante alla scoperta di paesi nuovi, ci irretiscono con le loro storie, ci commuovono con i loro amori e al contempo ci fanno sorridere con le disavventure in cui incappano.
A volte anche le più grandi tragedie uniscono le famiglie. E’ il caso del processo per diserzione di Mendel Jacobi che gettando nella disperazione la famiglia offre il destro a persone di animo generoso come Bénoit, Nathan - il cugino pittore che vive a Parigi - il barone Gennadij Osipovic Opolanin e molte altre di porgere un aiuto prezioso che si rivela determinante per la buona riuscita del processo.
Gli eventi che seguono si intrecciano senza tregua e il racconto si dispiega in una narrazione incalzante dove pagina dopo pagina apprendiamo del matrimonio di Mendel con Judith, entriamo nella prestigiosa dimora di Manhattan di Samuel Jacobi (figlio di Benyamin), che dopo anni di ristrettezze e duro lavoro nel quartiere di East Lower Side è diventato un “ricco americano”, ci commuoviamo dinanzi all’amore di Nathan per Gisela, la sfortunata cognata di Samuel ed infine anche il lettore sale con trepidazione su quella carrozza che porta i discendenti dei Jacobi e dei Zylberstein di nuovo a Berdichev per festeggiare due liete ricorrenze.
Le pagine indimenticabili che raccontano del viaggio di Samuel in America  e della sua ascesa sociale lasciano il posto alle atmosfere struggenti del ritorno in quella cittadina “di soli ventimila abitanti” che, chi per un motivo chi per l’altro, hanno abbandonato in gioventù.
L’autore è straordinario nel descrivere le emozioni, nell’indagare con delicatezza i più intimi moti dell’animo, nel far rivivere ad ogni personaggio gli istanti di una vita che, lungi dall’essere dimenticata, trova ancora dimora nel loro cuore (“Il filo che aveva spezzato tanti anni prima era rimasto lì, a penzoloni, ad aspettare che qualcuno o qualcosa lo riannodasse”).
Oltre ad una trama avvincente che non sveliamo oltre per non compromettere il piacere della lettura e ad un finale di forte impatto emotivo che dipinge con immagini suggestive la città di Gerusalemme, il romanzo di Gabriele Rubini si rivela prezioso per la capacità dell’autore di affrontare tematiche controverse che ancor oggi sono dibattute e le cui implicazioni influiscono inevitabilmente sulla vita delle persone. Il sottile veleno dell’antisemitismo che pervade molte fasce della nostra società, l’ideale sionista (“….noi sionisti investiamo su un’idea – ricostruire un paese per gli ebrei dopo duemila anni – e sugli uomini che dovranno realizzarla”), la questione della religione e della difesa del proprio popolo sono solo alcuni spunti di riflessione che questo romanzo imperdibile offre.
Il tutto narrato attraverso le voci di personaggi eccezionali come il dottor Pollack, “un trentenne racchiuso nel corpo di un centenario”,  che all’età di novantotto anni dirige ancora il sanatorio e l’ ospedale per bambini a Berdichev e per spiegare a Bénoit il senso della sua vita sceglie un divertente motto di spirito: “Che cos’è un sionista? Un sionista è un ebreo che, con i soldi di un altro ebreo, manda un terzo ebreo in Palestina”.
Orchestrando un romanzo di complessa ideazione e struttura ricco di fatti e personaggi sia storici sia di fantasia, Gabriele Rubini ci regala un’opera che si impone per la qualità della scrittura e per la capacità di descrivere luoghi ed epoche passate in pagine perfettamente calibrate e in grado di intrecciare, con grazia sapiente, riflessione morale, analisi storica ed estro narrativo.
Generazioni, primo capitolo di una lunga saga, è un romanzo che lascia una scia luminosa dietro di sé e trovando albergo nel cuore del lettore lo accompagna con un pizzico di nostalgia dal momento in cui si è terminata la lettura in poi.

Giorgia Greco


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