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Informazione Corretta Rassegna Stampa
05.11.2011 Jihad totale
Analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 05 novembre 2011
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «Jihad totale»

Jihad totale
di Mordechai Kedar

(traduzione di Liron Harush, a cura di Angelo Pezzana)

 Il contesto egiziano

L’Jihad è citato molte volte nel Corano, e i musulmani sono chiamati a diffonderlo nel nome di Allah “ pronti a dare tutto ciò che posseggono, anche la loro vita “, il che significa abbandonare ciò che hanno di più prezioso per promuovere gli obiettivi dell’islam e sottomettere gli infedeli “ perché la parola di Allah sia sempre al livello più alto, mentre quella degli infedeli si trovi sempre a quello più basso”. Lo scopo del Jihad è proteggere l’islam dagli stranieri a dai loro complotti, e effettuare iniziative di lotta con l’obiettivo di diffonderlo e imporlo con le armi a tutti coloro che rifiutano di convertirsi. Maometto ha detto: “ ho ricevuto l’ordine di combattere contro tutti coloro finchè non riconosceranno che non esiste altro Dio all'infuori di Allah, e che Maometto è il suo profeta, dovranno pregare e essere caritatevoli; se si comporteranno così salveranno i loro beni e anche la loro vita”. Dopo la morte di Maometto una parte delle tribù si sono allontanate dalla comunità dell’islam, e i primi califfi le hanno combattute con crudeltà per costringerle a rientrare nel seno dell’islam. Dopo, le tribù beduine del deserto hanno invaso i paesi del Levante, fertili e quindi ricchi, li hanno conquistati e sottomessi, imponendo l’islam a milioni di persone con la forza delle armi.
Nel corso degli anni, dopo la costituzione dell’impero islamico nei territori conquistati, dall’Indonesia a est al Marocco a ovest, il potere si è consolidato con l’amministrazione statale, dall’imposizione dell’islam alla gestione dell’economia. I musulmani avevano bisogno della collaborazione delle popolazioni che seguivano altre religioni, come i persiani, gli ebrei, i cristiani, del loro sapere in campi scientifici: astronomi, economisti, chimici, così hanno smesso di combatterli.

 L’Jihad moderno
La rivoluzione islamica del 1979 in Iran ha segnato l’ inizio della guerra contro gli infedeli anche nel mondo sunnita. Nel 1980, un egiziano, Mohammed Abdel Salam Faraj, pubblicò un libro intitolato “ Il comandamento nascosto”, tutto ciò che i fedeli devono astenersi dal fare. Nella sua opera, breve ma fondamentale, riferendosi alle regole islamiche, l’autore scrisse che ogni musulmano deve trovarsi sempre in guerra permanente – Jihad – contro gli infedeli, ma non solo contro di loro, anche contro quei musulmani che si mettono al loro servizio con atti o parole. Un anno dopo la pubblicazione del libro, il Presidente egiziano Anwar el Sadat, veniva assassinato. Faraj fu accusato di istigazione all’omicidio e nel 1982 venne condannato e giustiziato. Malgrado l’eliminazione di Faraj, il governo egiziano non è riuscito a porre fine all’idea dell’Jihad permanente, una guerra eterna nella quale il musulmano è obbligato a vivere. L’Jihad è una rivoluzione permanente e continua, contro la sottomissione alla routine e ai bisogni quotidiani, per non dimenticare mai l’obiettivo.
Il capo dell’organizzazione dell’Jihad in Egitto, preposto alla sua realizzazione, è l’imam Al Zawiri, successore di Osama Bin Laden. Entrambi hanno rilanciato l’idea di un Jihad senza confini in tutto il mondo.

L’ Jihad palestinese, copia conforme
L’Jihad islamico palestinese è stato fondato nel 1980, un anno dopo la rivoluzione in Iran e sette prima della fondazione di Hamas, con lo scopo di realizzare le idee di Faraj in Palestina. E’ una guerra contro Israele che non tiene conto delle frontiere, perché, secondo lo statuto di Hamas, lo Stato ebraico non ha diritto di esistere.
Lo scopo ultimo dell’organizzazione è la creazione di uno stato teocratico islamico sulle rovine di Israele e, nello stesso tempo, liquidare in un colpo solo tutte le altre organizzazioni – in primo luogo l’Olp – che hanno smesso di combattere Israele scegliendo il negoziato.
Esiste anche una controversia ideologica tra Jihad e Hamas, perché Hamas ha come obiettivo non solo la guerra contro Israele, ma opera in molti campi: la costruzione di una società islamica, l’educazione, l’assistenza sociale, l’islamizzazione del settore pubblico, l’edificazione di istituzioni governative, fino alla creazione dello Stato.
Per cui l’Jihad contro Israele e i suoi collaboratori può attendere, tranne i casi nei quali occorre agire. Ma l’Jihad islamico non è disposto a considerare la “creazione dello Stato” come una spiegazione per abbassare il livello della lotta , questo è un aspetto delle divergenze con Hamas, che combatte contro Israele da quando ha preso il potere a Gaza nel giugno 2007.
Anche dal punto di vista politico l’Jihad è in contrasto con Hamas, poiché ritiene che gli accordi di Oslo sono nati come un peccato contro l’islam, per cui né l’Autorità palestinese né le sue istituzioni hanno una legittimazione islamica, per cui non vi sono candidature possibili all’interno della Assemblea legislativa. In più, i dirigenti di Hamas hanno deciso nel 2005, dopo l’evaquazione israeliana del Gush Katif, che era giunto il tempo di raccogliere i frutti politici delle loro lotte, sotto la forma di seggi all’Assemblea legislativa, per cui si sono presentati alle elezioni nel gennaio 2006, guadagnando la maggioranza dei seggi.
L’Jihad si oppone a qualsiasi attività dell’Autorità palestinese, nata e formatasi con il peccato del riconoscimento di Israele con gli accordi di Oslo, mentre Hamas, malgrado si sia opposta a quegli accordi, non ha esitato ad approfittare delle istituzioni nate in seguito, impadronendosi dello spazio politico palestinese.
Hamas basa la sua strategia di lotta contro Israele in funzione del suo interesse: se ad un certo punto gli conviene stabilire una tregua con Israele per mantenere stabile il suo potere a Gaza, allora la guerra contro Israele può concedersi una sosta. Invece l’Jihad non prende in considerazione questa ipotesi, perché, ai suoi occhi, la lotta è essenziale, assoluta, esistenziale e senza interruzione e conta al di sopra di tutto.

 Storia dell’organizzazione
L’Jihad islamico palestinese è stato fondato dal Dr. Fathi Shaqaqi nel 1980, sotto l’influenza dell’ organizzazione dell’Jihad egiziano e della rivoluzione di Khomeini in Iran. L’Jihad islamico è nato in Egitto nella città di Zakazik, un centro dell’islamismo estemista. Il suo fondatore, il Dr.Shaqaqi, e il suo successore, il Dr. Ramadan Abdallah Shalah, erano studenti di medicina. E’ importante sottolineare che non erano né poveri, né ignoranti, né senza lavoro, per cui non si può attribuire alla povertà, all’ignoranza, e agli scioperi la creazione dell’organizzazione e il progetto dell’Jihad. Al contrario, la presenza di persone istruite, medici in particolare, alla guida della guerra islamica è un fattore di notevole significato.
Dopo aver terminato gli studi, Shiqaqi è ritornato a Gaza e ha cominciato a creare l’organzizzazione per l’applicazione dell’Jihad. La parte religiosa fu affidata allo sceicco Adb Al Aziz Awda, del campo profughi di Djebalya. E’ importante ricordare che agli inizi degli anni ’80, Hamas non esisteva ancora come movimento di lotta.
A Gaza c’era una organizzazione benefica islamica, “ Al Majma Al-Islami”, attiva fra la popolazione, simile ai “Fratelli Musulmani”, con lo scopo di creare una società musulmana. Dal punto di vista dell’Jihad islamico era uno spreco di tempo e di denaro, perché tutte le forze dovevano essere dirette verso un unico obiettivo, la lotta continua e senza compromessi contro Israele. Ogni altro obiettivo, per quanto importante, come l’educazione e l’assistenza, voleva dire stornare verso una destinazione sbagliata sforzi e risorse.
Quando scoppiò la prima intifada, nel dicembre 1987, gli aderenti all’Jihad furono in prima linea. A loro si unirono i membri di “Al Majma”, creando così il “movimento di resistenza islamica Hamas”.
Fino ad oggi, l’Jihad accusa Hamas di essere una organizzazione opportunista che è salita sul treno dell’intifada, messo in moto dall’Jihad, per prenderne il controllo. Nel 1988, Shiqaqi venne espulso in Libano, dove entrò in rapporto con la sua controparte araba e islamica, con la Siria e l’Iran, attraverso Hezbollah, che in quegli anni stava agendo in Libano contro le forze israeliane stanziate nel Libano del sud.
L’ Jihad islamico ha imitato il modello dei terroristi-suicidi, iniziato da Hezbollah, e l’ha applicato a Gaza e in Giudea e Samaria. La sua azione più spettacolare è stata nel 1995, il doppio attentato a Sharon (Beit-Lid) che costò la vita a 21 soldati e a un civile. Il Dr.Shiqaqi è stato eliminato a Malta nove mesi dopo l’attentato, qualcuno avanzò l’ipotsi che dietro ci fosse la mano di Israele. Fu sostituito dal Dr. Ramadan Abdallah Shalah, che si fa vedere poco in giro, preferendo restare nel suo rifugio di Damasco.
Durante la seconda intifada, l’organizzazione ha realizzato più di 400 attentati terroristici, che hanno fatto 140 vittime fra la popolazione israeliana più alcune centinaia di feriti. Il centro dell’organizzazione si trovava a Jenin, dove ha funzionato in continuazione fino all’operazione “ Scudo di difesa” nell’aprile 2002. I principali terroristi che si trovavano in Samaria erano: Iyad Harda, Wail Assaf, Assad Daqé, Mahmad Telbah, Tabet Merdawi e Ali Al Tsafuri. L’ attentato più devastante di questa infrastruttura dell’Jihad che aveva base a Jenin, avvenne al ristorante Maxime di Haifa, organizzata da Hanadi Jaradat, che costò la vita di 21 persone, tra le quali molte donne e bambini.
L’organizzazione era presente anche nella regione di Hebron, al comando di Mohammed Sider e Diab Shawihi, che avevano già guidato attentati suicidi nella regione di Gerusalemme. L’attentato che colpì i fedeli mentre pregavano a Hebron, nel corso del quale fu ucciso il comandante dell’Unità militare della Giudea, il colonnello Dror Weinberg (novembre 2002) era stato preparato dietro ordine di Mohammed Sider.

Implicazioni internazionali
L’organzizzazione dell’ Jihad islamica palestinese ha attirato l’attenzione degli estremisti odiatori di Israele, in cima gli iraniani, che hanno approfittato del fatto che l’organizzazione non risponde a un ordine unico, non ha programmi né obiettivi pianificati. Se ne sono quindi serviti principalmente per rimettere in causa l’ordine che l’Olp ha cercato di instaurare nei territori controllati dall’Anp al fine di gettare le basi per la creazione di uno Stato.
Oggi l’Iran fa la stessa cosa , ma contro Hamas, diventato, nel corso degli ultimi anni – dopo la presa del potere nel 2007 - una organizzazione che ha messo da parte l’Jihad per creare le fondamenta di una struttura statuale nella Striscia di Gaza.
Il denaro, le armi e i missili che l’organizzazione dell’ Jihad ha accumulato gli consentono di lanciare una grande sfida contro Israele, mentre il governo di Hamas può – per quanto poco lo voglia – vincere l’ Jihad con una azione forte e sostenuta, con il rischio di passare per una “organizzazione israeliana di sicurezza”, ricevendo attacchi mediatici simili a quelli che l’Olp ha subito dopo aver firmato accordi con Israele concernenti la sicurezza. Per questo i dirigenti di Hamas cercano degli accordi con i capi dell’Jihad, in modo da potre arrivare a governare uno Stato da un lato, ma, dall’altro, che lascino via libera all’ Jihad senza essere vista quale responsabile se Hamas fosse accusata di reprimere la “resistenza”

I rapporti con l’esterno
In questi giorni la Siria e l’Iran cercano disperatamente di spostare l’attenzione mondiale dal massacro che continua e si aggrava sempre più in Siria: cosa è meglio, allora, di Gaza, un nome conosciuto e famigliare ?
Negli ultimi mesi, fra Iran e Hamas c'è stato un forte dissenso, in quanto quest’ultimo si rifiuta di sostenere pubblicamente il potere siriano, che cerca di sopravvivere contro gli stessi suoi cittadini. Il coinvolgimento egiziano negli accordi per la liberazione di Gilad Shalit ha messo fuori gioco gli attori regionali abituati ad immischiarsi in affari che non li riguardavano, come Iran e Turchia. Dal canto suo, Hamas ha dimostrato di essere stato in grado di far liberare più di 1000 prigionieri palestinesi, attirandosi molti apprezzamenti a danno degli altri protagonisti, tra i quali l’Olp e l’Jihad islamica.
La scelta dei dirigenti di Hamas di lasciare Damasco per trasferirsi al Cairo ha messo l’Jihad islamica nella posizione di essere praticamente l’unica organizzazione a rimanere dentro l’asse Iran-Hezbollah-Siria nella zona palestinese. Ciò spiega perché si sia riattivato il fronte anti-Israele affinchè agisca contro Hamas , uno scenario messo in atto dall’Iran e i suoi alleati.
Così l’Iran farà in modo che Hamas venga colpito senza che gli ayatollah possano venire accusati, insieme al loro vassallo, il “macellaio di Damasco”.
In questo modo, Israele deve dare prova di intelligenza e non richiamarsi troppo al suo buon diritto: è vero che Hamas non è amico dei sionisti, ma, in una situazione nella quale l’ Jihad islamica, agli ordini di Siria e Iran, cerca di spingere Israele a reagire con durezza contro Hamas, Israele deve fare, al contrario, ogni sforzo per colpire l’ Jihad, e permettere ad Hamas di creare il suo Stato islamico a Gaza.
Non ci penso neppure a decorare Hamas con la medaglia della virtù, ma noi dobbiamo sempre vedere l’alternativa: per Israele, vale di più uno Stato a Gaza, capace però di imporre un ordine e una disciplina, anche se non ci piace, o piuttosto permettere a elementi controllati dall’Iran e dalla Siria, di uccidere ebrei a Ashkelon, a Sderot e al confine con Gaza, affinché il mondo continui a ignorare i morti di Homs, di Hama, di Latakieh e di Dera ?
La nostra alternativa non consiste nello scegliere tra buoni e cattivi, ma tra cattivi e peggiori.
E’ una scelta tutt’altro che semplice, ma funziona così in Medio Oriente: dobbiamo adattare le nostre aspettative agli avvenimenti disastrosi della regione, mentre continuiamo a far esistere uno Stato ragionevole e giusto.

Mordechai Kedar fa parte del Centro Studi sul Medio Oriente e sull’Islam della Università Bar Ilan, Israele. Collabora a Informazione Corretta


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