Ok. Il punto era che colui (o colei) che provoca la morte di innocenti, può essere chiamato solo assassino. La guerra, purtroppo, etichetta l'individuo come omicida. Beh, la differenza - e scusate se è sottile...- sta nel fatto che il soldato difende, appunto, i suddetti innocenti. Pertanto, non credo proprio di poter accettare la definizione di "prigionieri di guerra" nell'articolo di Sergio Romano.
Ennia S.
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La sua risposta odierna al lettore Scotti sul caso Shalit mi porta ad affermare con forza il mio dissenso e la mia preoccupazione su quanto da lei affermato circa la natura dei terroristi. Prigionieri di guerra, lei suggerisce? Che strana guerra, una bomba in pizzeria che sbrindella i corpi e le vite di bambini, vecchi, arabi ed ebrei, cristiani e musulmani. Ma di che guerra si tratta? Forse quella contro il diritto degli ebrei ad una vita normale nella loro piccola patria? O la guerra di chi si fa esplodere in un mercato? Quella di chi sgozza senza pieta' bambini di pochi mesi? Romano, lei dall'alto della sua fredda analisi ha giustificato l'amore per la morte che deriva dal fanatismo. Morte altrui e anche propria se conveniente. Forse piu' di tante analisi sofisticate lei dovrebbe accontentarsi di quello che dichiarano gli ispiratori dei terroristi mediorientali, "morte agli ebrei!" semplice odio antisemita, sviluppato anche sui libri di scuola. Lo dichiarano i terroristi stessi prima delle loro azioni, anche se suicidi essi hanno dei mandanti, dei complici, degli ispiratori: molti di loro facevano parte dei terroristi liberati in cambio di Shalit, e non uno di essi accetta la convivenza pacifica con gli ebrei. Quando Israele è costretta a muoversi per una guerra vera fa dei prigionieri di guerra, quando arresta e processa i colpevoli di atti terroristici non fa altro che proteggersi dal terrorismo.
Quanto al fenomeno terroristico diceva uno studioso del 900:" il terrorismo come l'amore e' difficile da descrivere ma facilissimo da riconoscere".
Andrea Jarach
Milano