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Il Foglio Rassegna Stampa
03.11.2011 Aggiornamenti sulla situazione in Egitto per le prossime elezioni
cronaca di Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 03 novembre 2011
Pagina: 7
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Spettri di regime»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 03/11/2011, a pag. III, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Spettri di regime ".


Daniele Raineri, Mohamed Hosein Tantawi

Il Cairo, dal nostro inviato. Metti il piedino in acqua per sentire se è fredda, togli il piede dall’acqua, mettilo dentro di nuovo. Il maresciallo di campo Tantawi sonda se può candidarsi al posto di prossimo presidente dopo Mubarak, anche se già ora è l’uomo più potente del paese perché presiede il Consiglio supremo delle Forze armate, il gruppo di quaranta generali a cui è stato affidato il controllo amministrativo dell’Egitto dopo la rivoluzione del 25 gennaio. Tantawi ci gira attorno – con la stessa reticenza che lo accomuna a un altro generale che detiene il potere su uno stato cruciale e alleato dell’America, Kayani in Pakistan – ma c’è una lista in continuo aggiornamento di indizi che fanno parlare di una sua prossima discesa in campo. In cima alla lista ci sono le apparizioni pubbliche, che sono strabilianti in un paese dove fino all’anno scorso i generali erano protetti dall’opacità assoluta, era reato persino scrivere il loro nome su un giornale senza autorizzazione. La politica vuole invece visibilità.
Lunedì pomeriggio, imponenti forze di sicurezza hanno bloccato un pezzo del centro del Cairo per l’inaugurazione del pennone più alto del mondo, 176 metri di acciaio sulla cui sommità ovviamente sventola bene la bandiera egiziana – al Cairo soffia sempre il vento, dev’essere che attorno è tutto deserto piatto senza ostacoli. A celebrare in gran pompa il monumento, pagato con soldi privati da finanziatori ignoti, c’era Tantawi. Era anche il giorno del suo compleanno (76 anni, la Leopolda è lontana anche dal Cairo). Un mese fa il generale è sceso per la prima volta in strada in abiti civili a stringere mani e a farsi fotografare assieme a passanti pieni di timore adorante, come fosse un candidato in campagna elettorale, analogia che non è sfuggita a nessuno dei commentatori politici. Una settimana dopo ha inaugurato una strada e ha visitato tre fabbriche petrolchimiche nella zona di Fayyoum, pronunciando quello che il New York Times ha definito “il discorso di un candidato”: “Sono un uomo onesto, resterò un uomo onesto, un combattente. Ho combattuto 40 anni, più di quarant’anni, e continuerò a combattere prima per Dio e poi per l’Egitto – il video dell’evento è sulla pagina Facebook dei militari, fino ad allora usata esclusivamente per annunci di servizio.
“Non intendo candidarmi”, ha smentito dopo il generale, ma l’ha fatto durante un’altra inaugurazione, a un centro medico. La settimana scorsa al Cairo e ad Alessandria, ovvero le città che sono i due poli della vita egiziana, il resto è contorno, è arrivato un altro passo in avanti: sono comparsi centinaia di manifesti per un misterioso partito politico, “L’Egitto sopra tutto”, che lo candida come prossimo presidente: il poster elettorale non è un colpo inarrivabile di fantasia – Tantawi su sfondo di bandiera egiziana – ma è bastato di nuovo a scatenare illazioni e congetture da ogni parte. Il nome del partito richiama il verso iniziale “Deutschland über alles”, preso da “Das Lied der Deutschen”, “Il Canto dei tedeschi”, l’inno nazionale nato durante la rivoluzione di marzo del 1848 e bandito per un certo tempo dagli alleati dopo la Seconda guerra mondiale perché suonava troppo nazista, e per questo è stato già criticato. Lo slogan del partito, invece, rovescia quello della primavera araba, “il popolo vuole la caduta del regime”, e mette la stabilità come priorità al posto della fine del regime. E’ uno slogan controrivoluzionario per eccellenza. Il Consiglio supremo nega che Tantawi si stia candidando, nel caso sarebbe il primo candidato alla presidenza egiziana a sua insaputa, ma il suo contegno, il profilo dritto durante le manifestazioni pubbliche, il ruolo che si sta ritagliando sono indubitabilmente quelli di un capo di stato in pectore e impettito che attende con un sentimento corrisposto la legittimazione delle urne. Succede anche sul piano internazionale. A
rriva al Cairo il re del Bahrein ed è ricevuto da Tantawi. Arriva il primo ministro libico, ed è di nuovo ricevuto da Tantawi. Muore l’erede al trono saudita? A rendere omaggio va Tantawi, a quella stessa corte dei sauditi che parteggiò in modo sfegatato per Hosni Mubarak e che ci rimase malissimo quando il rais fu costretto ad andarsene via. La corte ora vedrebbe con favore una Restaurazione al Cairo, il ritorno di un potere centrale forte e affidabile e – pensa – basta con queste fole giovanili da middle- class egiziana su rivoluzione e società aperta che tanti danni hanno fatto e che potrebbero arrivare fino qui. Sherine Tadros, una delle due inviate di al Jazeera in Egitto, ieri si chiedeva senza giri di parole: “Tantawi presidente?”. Del resto, sarebbe lo stesso percorso dalla divisa alla politica fatto prima di lui da Hosni Mubarak, pilota dell’aviazione egiziana che si coprì di gloria contro Israele nella guerra del 1973. O almeno così era raccontato agli egiziani ogni anno, il 6 ottobre, quando i jet militari passavano a bassa quota sulla capitale, durante le celebrazioni che ricordano l’attacco sferrato a sorpresa a Yom Kippur (che finì con una vittoria per Israele, ma tant’è, negli accordi il Sinai ritornò all’Egitto). Quest’anno il ruolo di Mubarak è stato cancellato con cura dalla festa e il 6 ottobre demubarakizzato si è trasformato in un gigantesco spot per le Forze armate e il Consiglio supremo. Ma la damnatio memoriae è soltanto pubblica, se è vero, come riferiva ieri il quotidiano al Masri al Youm, che Tantawi ha appena incontrato Mubarak in privato. Sul Guardian c’è un commento nervoso di Magdi Abdelhadi, che ricorda come anche Gamal Nasser nella stessa posizione di Tantawi non mantenne la parola: “La riluttanza percepibile dei militari a consegnare il potere ricorda quello che accadde nel 1954 – scrive Abdelhadi – quando i militari si rimangiarono le promesse e bloccarono le elezioni e la stesura di una nuova Costituzione”. E ancora: “Il regime, con l’esercito e l’apparato di sicurezza al suo centro, è ancora largamente intatto.
E non potrebbe esserlo di più sotto le spoglie del Consiglio supremo delle Forze armate – i cui membri sono stati scelti uno per uno e personalmente da Mubarak e il cui capo, il Feldmaresciallo Tantawi, è adesso di fatto il capo di stato”. Se l’opzione generalissimo candidato non andasse a buon fine, il Consiglio supremo (che sui giornali internazionali è ormai chiamato sempre con il suo acronimo inglese, Scaf) sta lavorando anche su una seconda traccia per evitare che dopo le elezioni il potere sull’Egitto cada troppo lontano da dove è ora. Due giorni fa ha convocato i partiti per illustrare le regole delle nuove elezioni, ma la riunione è finita male perché tra le regole ne erano state inserite alcune pensate chiaramente per mantenere i militari in controllo della situazione.
La bozza dei cosiddetti “princìpi sovracostituzionali” dà ai generali il diritto di interferire con la nuova Carta costituzionale e con il ruolo che la nuova Assemblea costituente avrà nel redigerla. Un esempio? I generali hanno il diritto di respingere qualsiasi articolo della nuova Costituzione che considerano in contraddizione con la Carta provvisoria approvata da loro a marzo. Un altro? Se la Costituente nominata dal Parlamento non scriverà la nuova Carta in sei mesi, ci penseranno i militari a eleggerne una nuova. La riunione, a cui hanno partecipato 500 politici, è stata tumultuosa.
Se i generali non intendono mollare così facilmente, c’è anche il ritorno degli uomini di Mubarak, ex appartenenti al suo Partito democratico nazionale oggi disciolto. Al 13 ottobre almeno sessanta risultavano candidati alle elezioni, con buone probabilità di riuscita considerando che nell’alto Egitto hanno legami forti con il mondo degli affari e le novità del Cairo non sono popolari. I generali nei prossimi giorni hanno in programma di approvare una legge anticorruzione politica che in teoria dovrebbe eliminarli dalla corsa, ma potrebbe essere una legge deliberatamente depotenziata. Un altro test per capire le intenzioni dello Scaf.

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