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S.Romano: due lettere al grande mistificatore 02/11/2011

Gentilissimo Sergio Romano.

lo stato di Israele ha liberato 1027 criminali non prigionieri di guerra. Liberandoli ha semplicemente ceduto a un ricatto. Chi cede ad un ricatto non avvalla nulla: sta semplicemente cedendo a un ricatto. Nemmeno Ghilad era un prigioniero di guerra: era una persona rapita. I prigionieri di guerra vengono visitati dalla croce rossa e protetti dalla Convenzione di Ginevra. Chi sta per 5 anni sotto terra è un ostaggio.
Se ci pensa con attenzione vedrà che alla fine ci arriverà anche lei, non è facilissimo da capire, certo, tutte queste parole che si somigliano, ostaggio, prigioniero, ma se si sforza può riuscirci.
Israele ha liberato 1027 criminali che hanno commesso crimini atroci e altri ne commetterano non per dimostrare una superiorità, ma perché, non è difficile, stava cedendo a un ricatto. Se non li avesse liberati non avrebbe avuto in cambio Ghilad.
Vuole che cerchi di spiegarlo con parole un po' più semplici?
Se invece di 1027 ne avessero liberati solo 1000 o 500 o 200 non avrebbero avuto indietro Ghilad. Vede che adesso ha capito anche lei? Ghilad è stato liberato in cambio di 1027 detenuti, tutti detenuti dopo essere stati processati per reati contro la persona, per terrorismo, per omicidio, per decine di omicidi. È una scelta dolorosa: le madri e i padri di coloro che sono stati uccisi da quei terroristi ne sono stati straziati come straziati saranno i congiunti delle vittime se quegli stessi terroristi colpiranno ancora.
Eppure questa cifra è una vittoria 1027 ad uno.
Questa cifra che regola lo scambio ci dice che le culture di vita, quelle che si battono per liberare gli ostaggi danno un peso alla vita 1027 volte superiore alle culture di morte.
Ho visto un video trasmesso dalla televisione palestinese dove la madre di un terrorista suicida offriva i pasticcini alle amiche per festeggiare la morte del figlio. La madre che è andata all’Onu a fare da madrina a uno stato che vive in una cultura di morte non è fiera di essere la madre di uomini che hanno studiato nuovi antibiotici o nuove colture, o semplicemente e magnificamente la madre di uomini che vivono in pace, ma ci mostra la fierezza di essere la madre di pluriomicidi di cui uno suicida.
Noi, le culture di vita alla fine strisciamo, ci inginocchiamo, paghiamo denaro, restituiamo alla libertà criminali purché le vite di coloro che amiamo siano restituite.
1027 ad uno.
Le culture di morte vincono le battaglie, ma perdono le guerre. Come diceva Steinbeck: gli eserciti dove l'individuo non conta, alla fine vengono sconfitti. Le culture dove l'individuo non conta alla fine sono destinate a soccombere. I figli di coloro che credono di essere i nostri nemici prima o poi sentiranno enorme e irrefrenabile la voglia di essere persone, uniche e irripetibili.
A poca distanza dal luogo dove gli uomini dell’associazione terroristica Hamas ballano per strada per festeggiare questa cifra 1027, senza capire che è una cifra della loro sconfitta, il sangue dei Copti, i Cristiani dell’Egitto, scorre come fosse un liquido senza valore. "La tragedia dei totalitarismi, ancora di più della perdita della libertà è la perdita dell'anima."
Ha scritto Edith Teresa Stein, suor Teresa della Croce, nata ebrea, docente di filosofia, convertita al cattolicesimo, suora carmelitana, morta ad Aushwitz.
Il laico Steinbeck avrebbe usato la parola individualità al posto di anima, ma il concetto è lo stesso L'uomo persona delle culture di vita contro l'uomo formica, intercambiabile e obbediente, un uomo che può essere schiacciato senza problemi e senza rimorsi, delle culture di morte.
Le auguro con tutto il cuore di riuscire a capire.
Silvana De Mari

 Complimenti per il suo tono, denota un grande coraggio, considerando lo spessore morale del ricevente. Di una cosa siamo certi, non riuscirà a capire perchè non vuole capire. Ma lei ha fatto bene ad esprimersi come ha fatto, uno a zero a suo favore.
IC redazione

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 copia di lettera inviata al Direttore del Corriere della Sera:

Esimio Signor Direttore De Bortoli buongiorno,

Nella rubrica “lettere al Corriere” l’ineffabile Sergio Romano scrive : “Nel caso dei palestinesi come in quello dei detenuti di Guantanamo, penso che la definizione migliore sia «prigionieri di guerra».
È una qualifica che il governo israeliano, scambiandoli con Shalit, ha implicitamente avallato.” Oltre ad essere immorale, tale frase è disgustosa , frutto di corruzione intellettuale ed ingiuriosa. In altra circostanza potrei fare un elenco dei personaggi e delle loro imprese “guerresche”, ma certamente è compito che la vostra redazione potrà svolgere in 5 minuti. Poiché la rubrica porta il nome “Lettere al Corriere” – “ Risponde Sergio Romano”, non se ne deduce che le opinioni espresse non siano condivise dal “Corriere” tout cour, inoltre non vi è nessun riferimento al fatto che siano idee personali del Romano, e poiché è nota e documentabile l’avversione del suddetto ad Israele, e in alcune circostanze anche all’Ebraismo, mi chiedo se la Direzione, nella Sua persona, non intenda commentare tali affermazioni.
O pretenderne rettifica.
Passare sotto silenzio queste ultime dichiarazioni , non è certamente degno della tradizione del Corriere-
Cordialità
Giacomo Zippel

P.S. Giulio Andreotti dichiaro’ un giorno: “ A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si imbrocca”. Forse che il suo vecchio passaporto diplomatico unitamente alle sue relazioni lo rendono un “ Intoccabile” ?


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