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La Stampa Rassegna Stampa
01.11.2011 Unesco: quelli che gioiscono
Umberto De Giovannageli, Michele Giorgio, Erik Salerno, Lucia Annunziata, Il Fatto

Testata: La Stampa
Data: 01 novembre 2011
Pagina: 1
Autore: La redazione di IC- Lucia Annunziata
Titolo: «Unesco: quelli che gioiscono- Ma il vero scontro avverrà all'Onu»

Abbiamo titolato questa pagina " Quelli che gioiscono ", che sono nell'ordine Umberto de Giovannangeli sull' UNITA', Michele Giorgio sul MANIFESTO, Erik Salerno sul MESSAGGERO, del FATTO riportiamo solo la testata, retenendo più responsabili dell'autore del pezzo, per nulla al corrente della realtà mediorientale, ignoranza che contraddistingue diversi collaboratori del quotidiano. Sono Marco Travaglio, vice direttore, e Furio Colombo, illustre collaboratore, che ad ogni piè sospinto si auto-proclamano amici di Israele. La smettano, siano seri, e si definiscano per quel che sono.
Riprendiamo solo il pezzo di Lucia Annunziata, per l'autorevolezza del giornale che lo pubblica. Il suo stare dalla parte dei nemici di Israele è ben conosciuta, sin da quando è stata corrispondente da Gerusalemme per diversi anni di REPUBBLICA. Le sue corrispondenze  sono state di quanto più ostile sia uscito in quegli anni sui giornali italiani.
Non lo commentiamo, ci sono bastate le prime righe, però i nsotri lettori potrebbero inviare un loro commento al direttore della STAMPA:
direttore@lastampa.it

La Stampa-Lucia Annunziata: " Ma il vero scontro avverrà all'Onu"

Mettiamoci d’accordo. Se i palestinesi si armano, tutti gridano che la violenza è un ostacolo alla pace. Se i palestinesi provano a forzare la via diplomatica, come hanno fatto ieri, tutti gridano che queste iniziative «unilaterali» sono un ostacolo alla pace. Ci piacerebbe allora sapere - in particolare da Israele, Stati Uniti, e Italia - esattamente cosa dovrebbero fare i palestinesi, a parte svanire quietamente tra le nuvole, come in «Miracolo a Milano».

Ieri la Palestina è stata ammessa all’Unesco. Vecchia storia - ogni anno i palestinesi regolarmente chiedono di essere ammessi -, nuovo risultato: 107 contro 14, con 52 astenuti. L’approvazione è arrivata, grazie soprattutto al consenso del nuovo fronte che guida lo sviluppo mondiale, i Paesi Brics, Brasile, India, i Paesi africani, arabi, la Cina, la Russia e qualche Paese europeo rilevante come la Francia e il Belgio. Contro hanno votato Usa, Israele, Germania, Canada, Australia, Olanda. L’Europa si è divisa, come si vede, esprimendo anche una buona parte di prudenti che si sono astenuti, fra cui Italia e Inghilterra, Polonia, Portogallo, Ucraina, Danimarca, Svizzera. Un voto insomma che insegue i profili del multilateralismo in cui nuotiamo, e che, non a caso, ne ha svelato tutte le venature. Usa e Israele hanno reagito con forza, I primi annunciando che taglieranno ora i loro fondi all'Unesco (il 22 per cento dei 634 milioni di dollari annuali), il secondo parlando di «tragedia».

Reazioni francamente esagerate se si trattasse solo dell’entrata in questa organizzazione culturale che difende tra l’altro i siti patrimonio dell’umanità, cui i palestinesi contribuiscono con Betlemme e il curioso e fangoso Mar Morto. La relazione fra Washington e Unesco è in effetti tormentata da molto tempo - il presidente Ronald Reagan nel 1984 decise di boicottare l’organizzazione, da lui accusata di sentimenti anti-israeliani e antioccidentali, e il rientro è avvenuto solo nel 2003, grazie a George Bush. Ma l’irritazione di ieri ha a che fare con il senso che il voto è stato un’anticipazione, una sorta di frecciata arrivata a segno, del vero scontro che avverrà fra poco: a novembre infatti l’Onu dovrebbe esprimersi sulla richiesta della Palestina di essere ammessa come Stato membro. Se l’ammissione passasse, magari proprio grazie al fronte creatosi ieri all’Unesco, significherebbe il riconoscimento di fatto dello Stato palestinese, aggirando il consenso di Israele, e dunque anche di Washington.

Ma davvero questa strategia palestinese è così dannosa?

Le puntate precedenti all’origine di questo dubbio vanno forse richiamate qui, per chiarezza. I palestinesi sono divisi in due entità, sia territoriali che politiche, almeno dal 2003. Oggi il West Bank, cioè la ex Cisgiordania occupata, è guidata da Fatah, l’ex organizzazione di Arafat, maggioritaria nella Pla, Palestinian National Authority, il governo ad interim, il cui presidente è Abu Mazen, nomignolo di Mahmoud Abbas, e il primo ministro è Salam Fayyad, economista, con una carriera nel Fondo Monetario. Gaza è invece controllata, dopo le elezioni del 2007, da Hamas, che ha vinto quelle elezioni. Fra le due entità non c'è oggi quasi nessuna relazione anzi scorre tale cattivo sangue da aver dato origine a una guerra segreta - così come diverse sono le posizioni politiche. Nel West Bank il primo ministro è concentrato da tre anni nella costruzione di istituzioni locali, con una propria economia, aiuti internazionali, e relazioni estere, nell’ipotesi di dimostrare e far pesare la maturità raggiunta dalla Palestina. Hamas invece, alleato di Iran ed Hezbollah, non riconosce nemmeno Israele, figuriamoci aprire tavoli di pace.

Non che le differenze abbiano alla fine avuto molta rilevanza nel rapporto con Israele. I colloqui di pace guidati dal Quartetto (Usa, Unione Europea, Russia e Onu) con inviato Tony Blair, e rilanciati da Obama, hanno preso la solita ferrovia morta, e giacciono lì - colloqui per preparare altri colloqui - da un paio di anni.

Le strategie dei due settori di palestinesi si sono nel frattempo distinte ancora di più dopo la primavera araba: mentre Hamas stringeva i suoi rapporti con l’estremismo, i vecchi (anche in senso di età) leader di Fatah hanno avuto un’idea coerente con quella dello Stato de facto : chiedere, appunto, l’ammissione all’Onu come membro.

In questa situazione si capisce bene la reazione di Usa e Israele, ma ugualmente ci rimane incomprensibile.

E’ vero che uno Stato palestinese dovrebbe nascere da una negoziazione con Israele, come sostiene Washington. Ma se i negoziati da decenni non vanno da nessuna parte, cosa debbono fare i palestinesi, che, fra i due popoli, ricordiamolo, sono quelli che lo Stato non ce l’hanno? L’ammissione all’Unesco, e all’Onu, forzare insomma la mano alla diplomazia, è davvero un ostacolo alla pace, una «minaccia», come si è detto ieri, alla stregua di un’aggressione armata o di un atto di terrorismo?

La verità è che dal West Bank sta nascendo una abile e nuova strategia che lavora nel cuore delle istituzioni internazionali, lavora sui nuovi equilibri e umori mondiali. E Stati Uniti e Israele farebbero bene a riconoscerne l’intelligenza, e a misurarvisi con altrettanta.

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