Su LIBERO di oggi, 30/10/2011, la pagina 17 è dedicata all'islam, con particolare riguardo alla sharia. Tre articoli, il primo sul Marocco davanti a un incerto futuro, seguito da un breve ma interessante ritratto di Lauren Booth, sorellastra della moglie di Tony Blair, paladina dei fanatici convertiti all'islam, chiude un pezzo sulla Tunisia, da segnalare perchè informa sulla signora Suha Arafat, coniugata Arafat, il cui enorme patrimonio, formato dalle miliardarie ruberie del defunto Yasser, fanno gola agli attuali 'rivoluzionari'.
Ecco gli articoli:
Souad Sbai: " L'islam vuol far saltare anche il Marocco "
Mohammed VI, re del Marocco
Il vento della rivolta tenta di soffiare anche in Marocco, che fino a ieri aveva saputo e voluto contrastarne la forza e la virulenza. Le riforme, le elezioni, ilcambiamento, quello vero, tornano a essere in pericolo per la volontà, non solo estremista, di fagocitare tutto ilmondoarabo, in preda a una fame bulimica di potere e di oppressione dei popoli. La piazza torna a essere insanguinata anche inMarocco,dunque, con i rivoltosi che contestano ferocemente l’autorità costituita e il bilancio è drammatico. Chi c’è dietro questo rigurgito di fiamme rivoluzionarie? Il salafismo militante, l’estremismo oscurantista, che proprio giovedì si sono uniti in un unico partito in vista delle prossime elezioni: voglio mettere a regime tutta la macchina mangialibertà e fare tabula rasa di tutto: giovani, intellettuali e soprattuttodonne,la cui condizione potrebbe diventare a breve sintomo anche di questa vicenda eversiva. PROPAGANDISTA Le donne, appunto. Leggendo i media arabi, mi capita davanti un articolo su Assabah, uno dei più importanti giornali in Marocco, la cui foto allegata ritrae la cognata dell’ex premier britannico Tony Blair, totalmente avvolta in un hijab, in compagnia di Fatiha Majati, vedova di un noto terrorista, che sfoggia un niqab di tutto punto. Ladomanda sorge immediata: che ci fa Lauren Booth in Marocco assieme alla moglie di un terrorista? La risposta la trovo nel pezzo, scorrendo le righe sulla pagina. La Booth sponsorizza la rivoluzione anche in Marocco, gli attentati del Maggio 2003 a Casablanca con i loro 41 giovani morti per lei non significano molto si direbbe, anzi parla di un governo che reprime e soffoca la libertà del popolo. Tutto questo solo per la mancata concessione dell’autorizzazione ad una manifestazione salafita di piazza cui doveva partecipare. Da chi è pagata questa signora, che lavora da anni in Iran a Press Tv e fa la spola fra Londra e Teheran? Qual è il suo ruolo nello scacchiere delle rivoluzioni arabe, visto la sua figura è stata rintracciata in giro per tutto il nordafrica in non meglio identiticate missioni? Non bastava al Marocco il suo estremismo, quello interno che da sempre ne minaccia la serenità e il progresso, ora ci mancava anche la cognata illustre a fare propaganda per i salafiti. Ma del resto, che novità è? Se Ennahda in Tunisia ormai predomina e stravince con minacce insurrezionali, brogli e violenze, ma nessuno se ne accorge, di cosa ci stupiamo? Addirittura alcuni parlamentari italiani, non contenti di aver ospitato Ghannouchi a Reggio Emilia per la sua convention segreta, sono andati anche a Tunisi per congratularsi del successo e per ribadire che la Carta che emergerà dal nuovo governo dovrà rispecchiare il pluralismo del Paese. A che gioco stiamo giocando? È un meccanismo assai semplice quello che oggi lega Occidente e mondo arabo. Nel primo il relativismo ormai sfrenato crea il vuoto dei valori; vuoto che viene immediatamente colmato dall’estremismo, che si maschera da primavera araba per entrare nelle menti e scardinarne qualsiasi ritrosia verso oscurantismo e oppressione. ULTIMO BALUARDO Ne siano testimoni le pagine dei giornali italiani, che prima delle elezioni in Tunisia parlavano di vittoria della democrazia e oggi, quando i moderati urlano in piazza la paura del ritorno alla cappa estremista, si fanno una domanda che ormai è divenuta inutile. Anche il Marocco cadrà sotto i colpi della primavera islamica? Non è dato sapere, ma è pur vero che è il solo Paese ad avere indetto riforme ed elezioni per cambiare il corso della sua storia. Rabat è l’ultimo baluardo della laicità e dell’equili - brio nel quadrante nordafricano, ma a chi vuole fermare il cambiamento,sia lì che qui,non interessa minimamente.
Alessandro Carlini: " La sorellastra di Cherie convertita agli ayatollah"
Lauren Booth
Londra- Prima di diventare paladina dell’integralismo islamico la 44enne Lauren Booth era entrata in aperto conflitto con la famiglia, che la considera come una vera e propria pecora nera. La sorellastra di Cherie Blair non è stata nemmeno invitata, nei giorni scorsi, alla festa per l’80° compleanno di suo padre, Tony Booth, attore con un passato da alcolista. I rapporti fra lei e i Blair sono degenerati nel corso degli anni, quando la deriva radicale e filo- islamica di Lauren è sfociata in un’aperta critica delle politiche di Tony Blair, quando era premier. Da disperata in cerca di fortuna e soldi, la sorella di Cherie ha addirittura partecipato nel 2006 all’edizione britannica dell’“Isola dei famosi”. Non è servito a evitare la bancarotta. E ancor oggi deve 15 mila sterline ai Blair: un vero e proprio affronto per la taccagna Cherie. Lauren è riuscita in qualche modo a portare avanti una carriera di giornalista, convertendosi all’islam e difendendo il burqa. Lavora per una tv iraniana in lingua inglese, Press TV, ma soprattutto va in giro per il mondo a sostenere la causa dell’islam estremista. Da Gaza, dove è finita nella lista nera delle autorità israeliane, fino al Marocco.
Chiara Giannini: " Tunisi vuol processare la vedova Arafat, ma non dice nulla sui brogli islamisti "
Suha Arafat con Yasser
Tunisi- Sono passati appena due giorni dall’annuncio ufficiale della vittoria di Ennahda alle elezioni che già, a Tunisi, si parla di brogli da parte del “partito religioso”. A schierarsi contro Rachid Ghannouci è quella parte di Tunisia che non accetta che l’oscurantismo possa riprendere il ruolo di un tempo e frenare la corsa verso progresso, occidentalizzazione e civiltà. Un «no» secco, principalmente, al velo per le donne che è un simbolo, non un obbligo. Come avrebbe, dunque, vinto gli islamici? «Promettendo alla gente benefici che il popolo non avrà mai», spiegano alcuni manifestanti anti- Ennahda, «Poi utilizzando i bambini per convincere gli adulti a votare. In campagna elettorale sono stati organizzati comizi a cui partecipavano genitori coi figli, cosa proibita dalla legge. Ai più piccoli venivano regalati dolci e adesivi colorati che riportavano lo slogan “Vota Ennahda”. Sui bambini si può giocare facilmente». Anche i voti presi all’estero sarebbero frutto di un lavoro capillare. Girano in rete, soprattutto su Facebook fotografie che riportano sms inviati dagli esponenti di EnnahdaItaliacon cui si invitano i tunisini residenti nel nostro Paese a «fare il loro dovere » e votare in modo da garantire il mantenimento delle tradizioni islamiche. «Purtroppo », racconta Azza Badra, tunisina, sociologa e antropologa, figlia del defunto Mahmud Badra,diplomatico che contribuì alla liberazione della Tunisia prima dell’av - vento di Ben Ali, capolista e unica donna del partito verde, «benché certe cose si sappiano non sono purtroppo dimostrabili». Il «voto di scambio» è confermato dalla stessa popolazione, per il 90% costituita da persone povere e per il restante 10% da borghesi. C’è chi ammette di aver avuto benefici (tra cui beni di prima necessità) e promesse di posti di lavoro da parte di esponenti di Ennahda in cambio del voto. La Tunisia cambia padrone ma resta un posto poco sicuro per Suha al-Tawil Arafat, vedova dell’ex leader palestinese Yasser (terrorista sì, ma laico); la procura di Tunisi ha emesso un mandato di cattura internazionale contro di lei per corruzione. Rischia fino a dieci anni di carcere. Secondo il giornale algerino el-Khabar, ladonnaè accusata di illeciti amministrativi negli anni ’80, quando era amministratrice della scuola internazionale di Cartagine. È la stessa vicenda che portò alla rottura fra la vedova del leader Olp e Layla Trabelsi, moglie del deposto leader Zine el-Abidine Ben Alì, fino all’espulsione di Suha dal Paese e alla confisca dei suoi beni. I Ben Alìnoncomandano più,mail tesoro di Arafat fa gola anche alla nuova Tunisia.
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