lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
27.10.2011 Storia della marcia della pace Perugia-Assisi
Perchè il suo fondatore Aldo Capitini non parteciperebbe più

Testata: Il Foglio
Data: 27 ottobre 2011
Pagina: 8
Autore: Assuntina Morresi
Titolo: «Non piacerebbe al fondatore Capitini la marcia 'pacifinta' contro Israele»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 27/10/2011, a pag. 3, l'articolo di Assuntina Morresi dal titolo "Non piacerebbe al fondatore Capitini la marcia 'pacifinta' contro Israele".


Aldo Capitini, Gabriella Mecucci, Le ambiguità del pacifismo. Luci ed ombre di un movimento nato dalla Perugia-Assisi, (Minerva edizioni)

Chissà se Aldo Capitini avrebbe partecipato volentieri alle tante edizioni della marcia per la pace fra Perugia e Assisi, quella specie di pellegrinaggio laico che inventò con successo nel 1961. O se piuttosto avrebbe preferito rimanersene a casa, considerando quanto poco quella marcia avesse a che fare con la sua intuizione originale. Il dubbio viene, leggendo il saggio di Gabriella Mecucci (“Le ambiguità del pacifismo. Luci ed ombre di un movimento nato dalla Perugia-Assisi”, Minerva edizioni, 132 pp., 12 euro). Vi si ripercorre mezzo secolo di pacifismo italiano, a partire dalla figura dell’ideatore della marcia. La prima, l’unica guidata da lui, l’aveva pensata con carattere popolare, promossa da un gruppo indipendente integralmente pacifista ed estraneo ai partiti. Un’opportunità per far conoscere a tutti il metodo della non violenza, richiamandosi a San Francesco, “santo italiano della non violenza (e riformatore senza successo)”. Un riferimento, quest’ultimo, gravato da un’ambiguità che rimarrà per sempre nel rapporto dei pacifisti con i cattolici: a indicare san Francesco come modello è lo stesso Capitini che nel 1958 aveva abiurato al battesimo cattolico. Contraddizione che non ha impedito una presenza importante dei cattolici alla Perugia-Assisi a partire dagli anni Ottanta, da quelli senza specifica vocazione all’impegno sociale, come gli scout, a chi invece in nome di quell’impegno guarda a sinistra, come Acli, Mani Tese, Pax Christi. Nel 1961 Capitini diede ai segretari provinciali dei partiti che avevano aderito alla manifestazione alcune indicazioni perentorie: si dovevano controllare i cartelli dei partecipanti, per evitare che ve ne fossero di violenti o offensivi; ai marciatori era vietato portare bandiere e distintivi del partito di appartenenza; vietato rispondere a qualsiasi provocazione, o entrare in contrasto con autorità nazionali e locali. Nel 1967, all’indomani della guerra dei Sei giorni, Capitini avrebbe rifiutato di aderire a una proposta dell’intellettuale del Pci Lucio Lombardo Radice, scrivendogli una lettera che è fra i documenti più preziosi del libro: “Tu parli di espansionismo israeliano, che mi sembra alquanto irreale, pensando ad un popolo di poco più di due milioni e mezzo con cinquanta milioni di avversari […] non è con il nazionalismo e con il razzismo più irrazionale (prova a parlare agli arabi) che si vince il capitalismo; questo lo ha mostrato Lenin, e te lo dico io che non sono leninista… parlare agli arabi francamente, può essere un tentativo più che lodevole, ma bisogna contrastare alle loro illusioni: io che seguo il sionismo da cinquant’anni, so che gli arabi vendettero a peso d’oro la loro arida terra ai primi ebrei; e poi si sono mangiati i soldi per il loro fannullonismo”. Capitini imputava agli israeliani di voler costruire “uno stato razziale tradizionale”, anziché una federazione israelo-palestinese, ma aggiungeva: “Né mi piace molto vedere che non solo i sovietici, ma anche il Vaticano cerca di accattivarsi in tutti i modi gli arabi, perché sono teisti”. La Perugia-Assisi negli anni ha disatteso le aspettative del fondatore. Bandiere rosse, toni antiamericani e silenzi sull’Urss nell’81 ebbero addirittura l’imbarazzante riconoscimento di un messaggio di appoggio alla marcia da parte di Breznev. Chi a Perugia non marciava li avrebbe chiamati “i pacifinti”. E’ rimasta viva la memoria dell’edizione 2001, dopo l’attentato alle Torri gemelle, con l’appello dal palco di una donna afghana: “Basta con la guerra, non vogliamo vedere ancora i nostri figli uccisi”. Mentre cominciavano a circolare slogan come: “Usa e Israele i veri terroristi”. “Il pacifismo toccò probabilmente nell’ottobre del 2001 uno dei suoi punti più bassi”, commenta Mecucci. I francescani del Convento di Assisi, che avevano aderito, furono in grande difficoltà. Ma l’orientamento anti israeliano è rimasto una costante della marcia. Fra la marcia del 1961 e le edizioni a egemonia estremista – fino al 2005 – il libro passa in rassegna il pacifismo anglosassone, la crisi di Cuba e la guerra in Vietnam, segue l’evoluzione – e i contorcimenti – del pacifismo italiano e dei suoi protagonisti, dai Radicali ai comunisti ai cattolici, passando per la crisi degli euromissili e la Biennale del dissenso. Il racconto sottolinea ambiguità e contraddizioni, rievoca fatti dimenticati e soprattutto pone domande a un mondo che, nel cinquantesimo anniversario della sua manifestazione più rappresentativa, appare sempre più smarrito.

Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT