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La Gazzetta dello Sport Rassegna Stampa
26.10.2011 Lo sport non ha nulla a che vedere con la pace (se c'è di mezzo Israele)
e la barriera difensiva non è un 'muro della vergogna'

Testata: La Gazzetta dello Sport
Data: 26 ottobre 2011
Pagina: 32
Autore: Gian Luca Pasini
Titolo: «La maratona squarcia il muro della vergogna»

Riportiamo dalla GAZZETTA dello SPORT di oggi, 26/10/2011, a pag. 32, l'articolo di Gian Luca Pasini dal titolo "La maratona squarcia il muro della vergogna".


Sarra Besbes, tiratrice di scherma tunisina, ha boicottato l'avversaria israeliana

Il titolo è profondamente scorretto. Perchè 'muro della vergogna'? Israele ha dovuto erigere la barriera difensiva per difendersi dagli attentati terroristici suicidi palestinesi. Un dato di fatto che, per altro, specifica anche Pasini nel finale del suo articolo : " Ex ragazzi tolti dalla strada, figli di un Paese in guerra che hanno attraversato l'Oceano per andare a urlare pace all'ombra di questo muro, grigio e inquietante (costruito da Israele per difendersi dagli attacchi terroristici). ".
Pasini conclude con queste parole il suo articolo : "
Un giorno all'anno non costruisce la pace, ma anche una corsa o una partita di calcio possono essere un ottimo modo per iniziarla. ". Non è possibile condividere il suo ottimismo circa il ruolo dello sport-portatore di pace. Basta guardare che cos'è successo alle Olimpiadi di Monaco nel '72. E, per ricordare tempi più recenti, la tiratrice di scherma tunisina che ha rifiutato di battersi contro l'atleta israeliana, il Dubai che non ha concesso il visto d'ingresso alla tennista israeliana la scorsa estate, le partite di tennis disputate a porte chiuse a Malmoe quando c'era una squadra israeliana, i boicottaggi a cui gli atleti israeliani sono continuamente sottoposti, le proteste dell'Iran perchè, secondo Ahmadinejad, nel logo delle Olimpiadi di Londra 2012 si nasconderebbe la parola 'Sion'. Lo sport non ha nulla a che vedere con la pace, specialmente in Medio Oriente. Sarebbe bello se così non fosse.

Invitiamo i lettori di IC a protestare con la Gazzetta dello Sport per la scelta del titolo fortemente ostile a Israele.
Ecco l'articolo:

La fiaccola benedetta dal Papa, qualche giorno fa, esce dalla piazza principale di Bet-lemme grazie alle protesi di Giusy Versace. Si muove a questo segnale il serpente umano che porta quest'anno circa 400 corridori dalla città in cui è nato Gesù fino a Gerusalemme. Poco più di dieci chilometri fra i saliscendi di queste colline che tagliano in due la barriera di cemento armato che separa le entità: da una parte i palestinesi, dall'altra gli israeliani. Un muro che per un giorno all'anno si spalanca davanti a pellegrini-sportivi che da 8 stagioni danno vita alla Corsa per la Pace, da un'idea del Csi e dell'Opera Romana Pellegrinaggi. Il momento più toccante è proprio al check point, quando tutti assieme — italiani, palestinesi, israeliani (c'è anche la rappresentante del governo, Ahuva Zaken) — passano il confine, in un coro di «Shalom» e di «Salam», che in ebraico e arabo vogliono dire pace. «Da noi questa parola viene usata con un po' di superficialità — argomenta Giusy Versace a cui 6 anni fa il destino ha tagliato le gambe, ma non lo spirito —. Dovremmo, invece, portarci via un pezzetto di questa giornata e conservarcelo dentro, perché qui riacquista un sapore autentico». Calci Come veri sono i calci che proprio al posto di controllo prendono il posto dei gendarmi. Anzi anche i militari israeliani si mettono a guardare divertiti le giocate di Peruzzi, Tommasi, Di Biagio, Abodi e Pecchia, in un quadrangolare con i talenti della Lega Pro e due squadre, una palestinese e una israeliana. «Il calcio è un rompighiaccio eccezionale — spiega Damiano Tommasi, oggi presidente dell'Associazio-ne calciatori, venuto con due delle sue figlie — e qui si vede una volta di più: uno stadio del genere non si trova tutti i giorni. Per questo abbiamo aderito a questa manifestazione che ha un grande passato e un grande futuro...». E nel presente da Gerusalemme lancia un messaggio internazionale: l'ultima delle partite di questo quadrangolare è giocata da una rappresentativa di un ottantina di haitiani che padre Rick Frechette e la Fondazione Francesca Rava hanno portato qui. Ex ragazzi tolti dalla strada, figli di un Paese in guerra che hanno attraversato l'Oceano per andare a urlare pace all'ombra di questo muro, grigio e inquietante (costruito da Israele per difendersi dagli attacchi terroristici). Un giorno all'anno non costruisce la pace, ma anche una corsa o una partita di calcio possono essere un ottimo modo per iniziarla.

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cverdelli@gazzetta.it

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