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La Repubblica Rassegna Stampa
24.10.2011 L'uso del silenziatore al quotidiano diretto da Ezio Mauro
Tunisia e Libia sprofondano nella sharia, ma Repubblica non lo scrive

Testata: La Repubblica
Data: 24 ottobre 2011
Pagina: 21
Autore: Cristina Nadotti - Bernardo Guetta
Titolo: «Libia in festa per la liberazione. Ma l´autopsia conferma: 'Esecuzione per Gheddafi' - In fila per scegliere la democrazia 'L´Occidente non tema l´Islam'»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 24/10/2011, a pag. 21, l'articolo di Cristina Nadotti dal titolo " Libia in festa per la liberazione. Ma l´autopsia conferma: 'Esecuzione per Gheddafi' ", a pag. 34, l'articolo di Bernardo Guetta dal titolo " In fila per scegliere la democrazia 'L´Occidente non tema l´Islam' ".

Democrazia e laicità, due miraggi per Tunisia e Libia. Tutti i quotidiani italiani di questa mattina hanno descritto che cosa sta succedento in Tunisia con la partecipazione degli islamisti (banditi da Ben Ali e tornati dopo la sua caduta) alle elezioni e in Libia, dopo la sconfitta e la morte di Gheddafi.
Ma Repubblica ha preferito glissare su questi aspetti, non si conciliano con l'idea di 'primavera' araba che il quotidiano diretto da Ezio Mauro continua a propagandare ai lettori per verità assoluta. Il futuro di Tunisia e Libia (proprio come quello egiziano) non è di democrazia, ma di sharia.
Sharia, un termine che campeggia in tutti i titoli,occhielli e catenacci degli articoli dedicati all'argomento sui quotidiani italiani. Solo Repubblica fa eccezione. Nel pezzo di Cristina Nadotti la sharia non viene nemmeno menzionata, forse potrebbe turbare la serenità dei lettori?
Il pezzo di Bernardo Guetta, invece, cerca di convincere che in Tunisia non ci sia il pericolo islamismo. Il catenaccio dell'articolo recita, addirittura : "
Nelle prime elezioni libere del Paese il partito conservatore "Ennhada" è in vantaggio sui laici. Ma la parola d´ordine è stop all´estremismo: "Abbiamo sofferto troppo, non saremo come l´Iran" ". Tranquilli, la Tunisia non diventerà come l'Iran, lo scrive Bernardo Guetta basandosi sulle dichiarazioni di Rached Gannouchi.
Peccato che questa tesi venga smentita persino dall'Unità, in un articolo di Cristiana Cella e Rachele Gonnelli (pubblicato in altra pagina della rassegna di IC di oggi), dove vengono descritti i brogli di Ennadha, il partito islamista di Gannouchi.
Invitiamo i lettori di IC a scrivere a Repubblica (
rubrica.lettere@repubblica.it) per protestare contro la disinformazione che diffonde quotidianamente.
Ecco i due articoli:

Cristina Nadotti - " Libia in festa per la liberazione. Ma l´autopsia conferma: 'Esecuzione per Gheddafi' "


Obama: "Una nuova era". L´Italia chiede un´inchiesta.

DAL NOSTRO INVIATO
TRIPOLI - Dopo l´annuncio, sul palco di Bengasi è stato caos. Ministri, capi combattenti, membri del Consiglio nazionale transitorio, si sono affollati e spintonati intorno al microfono nella baraonda festosa per la Libia liberata che si spera non sia emblematica di quel che attende adesso il paese. Subito dopo aver proclamato la «Libia libera da Gheddafi», il presidente del Cnt Mustafa Abdel Jalil ha guardato al futuro: «Esorto tutti al perdono, alla tolleranza e alla riconciliazione, necessario per il nostro futuro», ha detto Jalil di fronte a migliaia di persone in piazza a Bengasi. L´ex giudice e ministro della Giustizia, che provò a far prevalere la legge anche di fronte ai soprusi del dittatore, ha poi continuato: «Chiedo a tutti i libici di ricorrere allo stato di diritto e a nient´altro che alla legge e di non conquistare diritti con l´uso della forza». Per il presidente Usa Obama «è l´inizio di una nuova era, dopo decenni di brutale dittatura».
Il messaggio di Jalil stride con i nuovi particolari sulle ultime ore di Gheddafi. Un video ottenuto ieri dall´agenzia spagnola Efe mostra il colonnello picchiato in modo selvaggio dai ribelli mentre è su un pick-up, sevizie e botte di cui le indiscrezioni sull´autopsia, conclusasi ieri, non fanno menzione. Da Misurata un medico che ha esaminato il corpo di Gheddafi ha detto infatti che dopo «aver lavorato tutta la notte» sono stati estratti due proiettili, uno dal cervello e uno dall´addome. Altre fonti hanno poi dichiarato che i risultati dell´autopsia, non ancora resi pubblici, «non contrastano con quanto dichiarato dal Cnt» e «non si può escludere che a sparare al colonnello siano stati i suoi miliziani». «Volevo Gheddafi vivo, volevo sapere perché ha fatto tutto questo al popolo libico, volevo essere la pubblica accusa al suo processo», ha detto alla Bbc Mahmoud Jibril, capo del consiglio esecutivo del Cnt, ma le sue dichiarazioni non servono a tacitare la riprovazione degli alleati occidentali. Ieri il ministro della Difesa britannico, Philip Hammond, ha espresso senza mezzi termini il pensiero di chi ha aiutato la Libia a liberarsi dal dittatore: «La reputazione del Cnt è macchiata dall´uccisione di Gheddafi». Anche il ministero degli Esteri italiano «auspica» un´indagine interna per fare luce sulla morte del raìs. E nel frattempo si fa vivo con un messaggio audio il figlio Saif: «La nostra lotta continuerà anche dopo la morte di mio padre». E Saadi aggiunge: «Scioccato dalla brutalità dei ribelli».
Durante la cerimonia di Bengasi, iniziata con la lettura di un passo del Corano, il presidente Jalil ha ribadito che tra le priorità c´è l´organizzazione di un esercito regolare e di forze di sicurezza, ma anche per le celebrazioni si sono contati almeno dieci morti per i proiettili vaganti, una strage che continua ogni notte nelle strade di Tripoli. I ribelli non vogliono consegnare le armi perché si sentono minacciati, timori accresciuti dal messaggio diffuso dalla televisione siriana Al Arrai, in cui il figlio fuggiasco di Gheddafi, Saif Al Islam, ha chiamato i fedeli del colonnello a riorganizzarsi e combattere. La Libia libera dà ancora la caccia al figlio del raìs e anche le esequie di Gheddafi sono percepite come un pericolo. Un sito web lealista ha diffuso un messaggio, non verificato, che il colonnello avrebbe affidato ai suoi accoliti tre giorni prima di morire. Chiedeva di essere sepolto nella sua città natale, Sirte, secondo i dettami musulmani, e chiedeva di prendersi cura delle donne della sua famiglia. Ma Gheddafi fa ancora paura e un funerale pubblico sarebbe fonte di instabilità.

Bernardo Guetta - " In fila per scegliere la democrazia 'L´Occidente non tema l´Islam' "

Nello stadio alla periferia di Tunisi, all´ultimo comizio di Ennahda, in questo week-end ci stiamo scambiando i ruoli: non è il giornalista a interpellare i militanti ma sono loro, i futuri elettori islamisti, a volergli parlare: per spiegare la loro scelta e rassicurare l´Europa tramite la sua stampa, ma anche per rassicurare se stessi.
Come se prima di andare alle urne avessero voluto verificare che la loro scelta non romperà i ponti tra la Tunisia e gli occidentali, e non frenerà l´afflusso dei turisti dai quali dipendono le loro buste paga. In pochi attimi, all´interno del comizio si vanno formando e riformando di continuo vari comizietti dai toni cortesi e appassionati. Un giovane padre di famiglia spiega che voterà Ennahda perché vuole «un´economia come dico io». Sarebbe a dire? «Accanto alle altre banche e agli altri alberghi - mi risponde - vorrei vedere banche islamiche che non chiedano interessi, e alberghi islamici per poter portare i miei figli al mare, al Sud, senza avere intorno gente ubriaca e donne … - si ferma a cercare la parola - quasi nude».
«Ogni società ha i suoi tabù - spiega un altro. In Europa avete il tabù dell´Olocausto. Noi abbiamo quello dell´indecenza. I tabù vanno rispettati». Un cinquantenne: «Non vi dovete preoccupare. Abbiamo sofferto troppo della mancanza di libertà per voler imporre una dittatura; ma vogliamo che sia rispettata la nostra identità araba e musulmana. Il discorso sembra non piacere troppo a un imberbe erudito: «La libertà deve avere un limite. Non si può insultare la religione. E la democrazia … vuol dire il potere al popolo. Ma per noi il potere spetta a Dio». Volete una teocrazia come in Iran?
La domanda li offende, e rispondono a raffica: «Perché dobbiamo sempre giustificarci? Non vogliamo un regime di tipo iraniano, lo abbiamo detto chiaramente!», ribatte uno; e un altro rilancia: «Perché parlarci dell´Iran, quando guardiamo alla Turchia?» Il tono è ora risentito, concitato. Un giovane dirigente che ha tutta l´aria di un futuro ministro richiama alla realtà quell´ignorante di giornalista: «Ma lei è in ritardo di trent´anni! Il mondo è cambiato, la Tunisia è cambiata. Una teocrazia non sarebbe più possibile, questo Paese la rifiuterebbe. Ma abbiamo bisogno di un´identità, proprio come voi, o come la Turchia. «
Un´oratrice tutta capelli, senza neppure un´ombra di velo, trascina con la sua eloquenza il pubblico del comizio di Ennahda, il partito della destra tunisina: un popolino conservatore, fatto di piccoli funzionari e commercianti, non miserabili ma molto modesti, alla ricerca di punti di riferimento, che non vorrebbero vedere le loro figlie andare in giro in minigonna. Quella di Ennahda è una destra europea d´anteguerra, devota, tradizionalista, reazionaria, per nulla illuminata, ma tutt´altro che fanatica o tentata dalla violenza - tanto che i pochi veri integralisti tunisini hanno preso le distanze da questo partito giudicandolo troppo laico.
Non è Al Qaeda. Non è il «fascismo verde». È un mosaico, un partito acchiappatutto in grado di attirare questo popolino, ma anche molti giovani tecnocrati ambiziosi; e soprattutto ben consapevole che la jihad, la guerra santa, è passata di moda, e che oggi il mondo arabo è più desideroso di continuare a sbarazzarsi dei suoi tiranni che di andare a evangelizzare l´Occidente a colpi di bombe. In Tunisia si sta costituendo uno scacchiere politico largamente bipolare: di fronte a questa destra, la moltitudine dei partiti laici forma di fatto un vasto centro-sinistra, che va dagli ex comunisti ai centristi.
Alcune ore dopo, un comizio laico raduna un pubblico di tutt´altro genere: una differenza che dice tutto. Mentre a destra si parla arabo con un po´ di francese, a sinistra la lingua è il francese frammisto all´arabo. I veli e i foulard, numerosi dall´altra parte, qui sono rari. Nelle famiglie laiche abbondano gli universitari, i farmacisti, i medici e gli avvocati, e il livello di vita è nettamente più alto. La differenza è quella che passa tra il ceto medio inferiore e superiore; qui non c´è da riconquistare un´identità nazionale.
Credenti o meno, i laici sono perfettamente a loro agio in un mondo globalizzato. Per questi tunisini, la loro terra è uno degli Stati di un´unione già anticipata dalla loro cultura: quella delle due sponde del Mediterraneo. A fronteggiarsi sono due schieramenti che tutto concorre a dividere. Ma ieri, gli uni e gli altri hanno votato con lo stesso fervore. E da entrambe le parti la parola «elezioni» non si pronunciava più in arabo ma in francese: «le vote», come a sottolineare che stavolta si fa sul serio: vere elezioni, libere e pluraliste.
È stato bellissimo, un momento forte, di profonda emozione. Ma domani?
In attesa dei risultati, in Tunisia si contrappongono quattro visioni del futuro. A sinistra, una minoranza vede nero, convinta che queste elezioni richiuderanno una parentesi di libertà: e consiglia di «bere un ultimo whisky e mettersi in bikini, prima che lo proibiscano», preparandosi all´esilio, in Europa o in patria. Assai meno preoccupata, la maggioranza dei laici non crede che gli islamisti possano sottrarre di nuovo la libertà ai tunisini, e neppure rischiare di rovinare il Paese facendo fuggire i turisti; ma tentenna tra due diverse tattiche.
La prima postula la formazione di un governo di unione nazionale con gli islamisti, per non lasciarli con le mani libere qualora ottenessero la maggioranza dei seggi; e se così non fosse, perché non abbiano il monopolio dell´opposizione in un periodo economico inevitabilmente arduo; oltre che, in ogni caso, per acuire le loro contraddizioni. L´altra esclude invece qualunque alleanza con gli islamisti, maggioritari o minoritari che siano, per non dover cedere in nulla nei loro confronti, e per potersi preparare all´alternanza nel momento in cui le difficoltà sociali avranno ragione della loro popolarità.
Quanto a Ennahda, i suoi dirigenti vogliono ad ogni costo l´unione nazionale, perché non hanno mai dubitato, neppure per un secondo, di poter conquistare una maggioranza, soli o insieme a piccole formazioni; ma temono che un governo islamista si trovi a fronteggiare troppe opposizioni, nazionali e internazionali. È la democrazia - ma per il momento tutt´altro che pacificata.

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