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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.10.2011 Tunisia: oggi si vota, cronache e commenti
Ennahda partito moderato ? per il Corriere sì

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 ottobre 2011
Pagina: 13
Autore: Giuseppe Sarcina-Massimo Nava
Titolo: «Tunisia, i due Islam alla prova del voto-Nè laici nè fanatici, la nostra ricetta di musulmani tranquilli»

Alle elezioni in Tunisia di oggi, domenica 23 ottobre 2011, Il CORRIERE della SERA, dedica l'intera pag.13, con due articoli, nei quali viene data una immagine decisamente positiva del partito islamico Ennahda, una interpretazione che va in direzione opposta della maggior parte dei commenti internazionali, che vedono nel leader del partito Rachid Gannouchi l'arrivo anche in Tunisia di una teocrazia islamica. Il Corriere definisce Ennahda 'partito moderato'.
Massimo Nava chiama il film 'Persepolis', che è stato oggetto di censura, semplicemente 'fumetto', non mostrando alcuna indignazione per le affermazioni di Hamadi Jebali, capolista di Ennahda.
In fatto di 'esteri' il CORRIERE della SERA è sempre di più la fotocopia di REPUBBLICA.
Ecco gli articoli:

Giuseppe Sarcina: "Tunisia, i due Islam alla prova del voto"

Rashid Gannouchi

DAL NOSTRO INVIATO
TUNISI — La festa di Eid Al Adha si avvicina. E allora l'Imam, prima di parlare delle elezioni, si sofferma per dieci minuti sulla tecnica da usare per sgozzare il montone e celebrare il sacrificio rituale (ricordando Abramo e Isacco) nella notte tra il 6 e il 7 novembre. Come dire: innanzitutto la fede, l'identità musulmana che danno senso a ogni cosa, politica compresa. È l'ora di pranzo di venerdì 21 ottobre e la moschea El Fatah, una delle più frequentate di Tunisi, non riesce a contenere i fedeli che strabordano sotto le palme, lungo i marciapiedi.
Oggi il Paese va al voto, con grandi numeri (110 partiti, distribuiti su 1.500 liste, 11 mila candidati, 7,5 milioni di elettori), e (a costo di semplificare) con una sola domanda fondamentale. Non «se», ma «di quanto» vinceranno gli islamisti? E «quali» islamisti? La risposta prende una forma ancora vaga nella predica dell'Imam Nourdine Alkhadmi e, poche ore più tardi, nell'ultimo comizio di Rachid Gannouchi, il leader di Ennahda, «La Rinascita», il partito di ispirazione musulmana dato in testa nei sondaggi della vigilia (tra il 25 e il 30%, si vota con il proporzionale puro). È difficile prendere le misure a un blocco in cui convivono linguaggi e comportamenti a volte sfuggenti, talvolta contraddittori. Dentro la moschea, per esempio, i «buoni musulmani» prendono nota «dell'indicazione» della guida spirituale: «Andate a votare e scegliete candidati onesti, come lo sono i timorati di Dio. Io dico che è un dovere partecipare, non che dobbiate votare questo o quel partito». Ma proprio davanti all'ingresso, Anas, 21 anni, studente di anestesia generale, sta montando il suo banchetto con un singolare assortimento: libretti sacri e piccoli flaconi di profumi. Intorno qualche barba lunga. Sono salafiti, i famigerati salafiti. I seguaci dell'islamismo radicale che allarmano giornali e tv e fanno sussultare perfino gli scafati tassisti di Tunisi. Anas, però, è disponibile e gentile. Si imbarca in una lunga discussione in cui spiega che i salafiti vogliono la libertà (per tutti), ma non andranno alle urne perché la Costituzione che uscirà dall'Assemblea (si vota per eleggere i 217 membri della Costituente) non rispecchierà, comunque, le leggi di Dio.
Davanti alla moschea, ogni moschea, e nel Paese intero, sembrano distinguersi, fino a prova contraria, due Islam. Se non addirittura tre: il grande contenitore di Ennahda, la minoranza salafita, nella versione appartata e pacifica del giovane Anas; oppure violenta e minacciosa, all'opera ormai da mesi (ultima impresa: l'assalto alla sede di «Nessma tv», dopo che l'emittente «modernista» aveva trasmesso il cartoon Persepolis di Marjane Satrapi). L'altra sera il raduno di Ennahda non è stata quella dimostrazione di forza, muscolare e inquietante, che qualcuno temeva. I vertici del partito hanno chiamato perfino un cabarettista per respingere (anzi sbeffeggiare) le accuse di ambiguità che avevano sepolto le recenti dichiarazioni di Gannouchi («se ci saranno brogli, siamo pronti a scendere in piazza»). Ma non tutte le sei-sette mila persone accorse nello stadio di Ben Arous sono uscite dal comizio con le idee chiare. Imene, 24 anni, studentessa di veterinaria in jeans e camicetta bianca, ha accompagnato la madre Madiha, 51 anni, avvolta da un velo color petrolio, però non si è fatta convincere e come lei tanti altri. Per un motivo molto semplice: il gruppo dirigente di Ennahda è talmente impegnato in una sorta di arringa difensiva (non siamo violenti, siamo democratici eccetera) da trascurare l'agenda delle proposte: dalla forma di governo (parlamentare? Semipresidenziale?), alle misure per garantire nei fatti l'eguaglianza uomo-donna, al rilancio dell'economia. Sul merito, sui contenuti puntano le altre formazioni politiche principali: il Partito democratico progressista (10-12% nei sondaggi), i socialdemocratici di Ettakol (9%), il nuovo polo modernista. Tutti, però, si preparano a fare i conti con gli islamici.
L'Assemblea avrà un anno per mettere a punto la Costituzione e, nello stesso tempo, dovrà nominare un governo e un presidente della Repubblica pro tempore. Si vedrà da domani se Ennahda siederà a capotavola.

Massimo Nava: "Nè laici nè fanatici, la nostra ricetta di musulmani tranquilli"

solo più uno slogan ?

TUNISI — Ad ascoltare Giacomo Fiaschi da Fiesole, cattolico praticante e consigliere portavoce di Ennahda — il partito d'ispirazione islamica che probabilmente vincerà le elezioni di oggi in Tunisia — il timore che la Rivoluzione dei gelsomini viri in repubblica confessionale è frutto di pregiudizi e propaganda avversaria. Giornalista e imprenditore trapiantato in Tunisia da quindici anni (sua moglie ha un'impresa di passamaneria artigianale che ha rifornito la Scala e altri famosi teatri), si è messo gratis al servizio di Ennhada, «La Rinascita», non per convertirsi, ma perché convinto che i dirigenti siano «meglio preparati e più onesti» per gestire il futuro del Paese.
Fiaschi mi accompagna in una villetta sulla costiera di Tunisi, dove vive Hamadi Jebali, segretario generale del partito e capolista alle elezioni. Quella di Hamadi, 61 anni, una laurea in ingegneria al Politecnico di Parigi, è la storia di tanti dirigenti e attivisti di un partito duramente represso durante i regimi di Bourghiba e Ben Ali, i quali utilizzarono la guerra a islamici e presunti terroristi per accrescere le proprie credenziali presso l'Occidente. Hamadi Jebali ha trascorso sedici anni nelle carceri del regime, quattro dei quali in totale isolamento. Anche l'autista che mi accompagna ha passato dieci anni dietro le sbarre.
«Vedere in carcere mia moglie e i miei tre figli era ancora più doloroso che non vederli affatto. Era una forma di tortura. Visite rare, brevi, sempre in presenza di guardie e spie. Una pena infinita», ricorda. «Ma dobbiamo dimenticare il passato e costruire il futuro, almeno per il tempo che mi resta da vivere al servizio del mio Paese».
Già, il futuro. I sondaggi accreditano Ennahda al trenta per cento. Di sicuro sarete il primo partito, fra le forze che dopo il voto dovranno scrivere la nuova Costituzione della Tunisia. Avversari e non pochi osservatori temono che la vittoria possa significare una svolta islamica nella società tunisina.
«I nostri avversari usano lo stesso linguaggio e gli stessi metodi di Ben Ali: screditare e diffondere timori insensati. Ci sono stati incidenti, fomentati da estremisti, che noi abbiamo condannato, ma che ci sono stati attribuiti. Molti non sono pronti ad accettare il verdetto del popolo, il risultato di elezioni libere e democratiche. E questo significa mettere in discussione il valore della rivoluzione e un po' anche la nostra storia, che è fatta di passione e sacrifici».
Perché dovrebbero credere alla «diversità» di Ennahda rispetto, ad esempio, al Fis algerino?
«Perché il mondo è cambiato. Perché la Tunisia ha una storia diversa da altri Paesi di religione musulmana. Perché noi per primi abbiamo elaborato un programma di partito e un progetto sociale che è stato portato avanti con successo da Erdogan in Turchia. Siamo per le libertà individuali, per la libertà di coscienza, per i diritti della donna, dell'uomo, della famiglia».
Quindi un'idea laica e neutrale dello Stato?
«Non ci piace il concetto di laicità perché spesso è considerato in antitesi con la religione, come ad esempio avviene in Francia, dove si è approvata un'assurda legge contro il velo e contro i simboli religiosi. Ma siamo per una rigorosa separazione dello Stato dagli affari di culto, per la libera scelta delle pratiche e naturalmente del modo di vestirsi e alimentarsi».
Non proibirete alla ragazze di Tunisi di fumare né imporrete il velo?
«Per noi è solo una questione di coscienza. Saremmo pazzi a immaginare qualsiasi forma di proibizionismo in un Paese che vive di turismo, dove un terzo della popolazione lavora direttamente o indirettamente per il settore. I turisti saranno come sempre liberi di fare quello che vogliono. E le discoteche rimarranno aperte… Per tutti. Su queste questioni si fa una grande confusione. Noi riteniamo che non bere alcolici sia un'esigenza sanitaria, soprattutto quando si guida l'automobile, prima che un principio religioso. Anche in Europa e Usa si fanno campagne contro fumo e alcol, ma non vengono definite fondamentaliste. Detto questo non vogliamo libertà selettive, ma una libertà globale».
Quando gli avversari vi accusano di doppio linguaggio citano come esempio la vostra concezione della donna lavoratrice. Da un lato riaffermate il principio della parità, dall'altro auspicate che sia messa in condizione di dedicare più tempo ai figli e alla famiglia.
«Non vedo la contraddizione. Siamo per una società di libero mercato, moderna e progredita, ma come tutti siamo alla ricerca di un nuovo equilibrio sociale, morale, ecologico, spirituale. Il successo politico ed economico della Turchia è anche il frutto di una rivoluzione culturale ed etica. Un esempio che vorremmo seguire».
Intanto gruppi di estremisti e salafiti attaccano i media che trasmettono cose sgradite, come nel caso della tv che ha diffuso il fumetto Persepolis.
«Questa è stata una provocazione, ben innescata, per screditarci. Ma noi abbiamo condannato le violenze. Nei confronti dell'estremismo ci sono due soluzioni: il pugno di ferro di Ben Ali o l'educazione e lo sviluppo del Paese. Noi crediamo nella seconda. Non ci saranno più prigionieri politici in Tunisia».
Che cosa succederà dopo il voto?
«Noi speriamo e crediamo di essere il primo partito. Ma nemmeno nel caso di una maggioranza assoluta vorremmo governare da soli. Siamo per formare un'alleanza di più partiti che abbiano a cuore un programma di democrazia, libertà e crescita economica del Paese. La nostra sarà una vittoria tranquilla che non spaventerà nessuno, dentro o fuori la Tunisia. Chiediamo fiducia. L'Europa deve cominciare a porsi il problema dei nuovi assetti politici nati dalla Primavera araba e dei partiti d'ispirazione islamica che si stanno affermando. Non serve a nulla incoraggiare la repressione con i Ben Ali di turno o strumentalizzare la paura. Il Mediterraneo ha bisogno di un nuovo equilibrio».
Se un giorno governerete la Tunisia sarete disposti a riconoscere Israele?
«Non ci sono preclusioni ideologiche o religiose. La questione è semplicemente politica. Appena saranno riconosciuti i diritti del popolo e dello Stato palestinese, non c'è ragione di non riconoscere Israele. Saremo i primi a farlo».
 
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