Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/10/2011, a pag. 51, l'articolo di Sergio Romano dal titolo " Perchè si parla così poco dell'Iran di Ahmadinejad ".
Il lettore chiede a Sergio Romano come mai il nucleare iraniano sia sparito dai media occidentali e come stia progredendo, la sua non risposta è condensata nella frase : "I governi occidentali preferivano parlare poco perché sapevano che l'Iran stava attraversando una crisi interna di cui si conoscono male i protagonisti, la posta in gioco, i rapporti di forze. ". Nulla lascia presumere che il nucleare iraniano sia stato fermato. Poche settimane fa sui quotidiani c'era la notizia dell'entrata in funzione del reattore di Bushehr. L'Occidente continua a nascondere la testa sotto la sabbia, Obama, con la sua strategia della mano tesa, non è stato in grado di risolvere la situazione.
Romano scrive della crisi interna iraniana, come se questa potesse, in qualche modo, aver frenato il nucleare. Khamenei e Ahmadinejad non saranno più validi alleati, ma sono sempre uniti dall'antisemitismo e dalla volontà di cancellare Israele e il nucleare è la via migliore per raggiungere il loro scopo.
Ecco lettera e risposta:

Sergio Romano
Non molto tempo fa l'Iran era uno spauracchio, reo di procedere verso un programma di arricchimento dell'uranio, presagio di possibili interventi nucleari nei confronti delle nazioni confinanti e non solo. Si parlava di nuove sanzioni Onu, si sollecitavano ispezioni Aiea, si prospettavano interventi militari preventivi. Poi, improvvisamente, il silenzio totale è calato sulla questione. Il regime iraniano si è forse arreso alle sollecitazioni internazionali? Hanno abbandonato ogni tipo di impegno velleitario? Oppure è stato tutto un fuoco di paglia?
Roberto Galieti
galinet@alice.it
Caro Galieti,
L a sua lettera è giunta prima della notizia sul complotto che sarebbe stato ordito dai servizi iraniani, secondo gli Stati Uniti, per l'assassinio dell'ambasciatore saudita a Washington. Ma è vero che nei mesi precedenti l'Iran non era più, come all'epoca della grande repressione poliziesca contro le manifestazioni popolari del 2009, lo «Stato canaglia» della società internazionale. La scena medio-orientale era popolata da altre crisi e altri «cattivi», ma le vere ragioni del silenzio erano probabilmente l'incertezza e l'impotenza. Non vi era alcun interesse, soprattutto in quel momento, ad alzare la soglia della dialettica conflittuale sino al rischio di uno scontro frontale. Nessun governo occidentale con la testa sulle spalle voleva accendere nuovi focolai medio-orientali. Durante un viaggio recente in Israele, il segretario americano alla Difesa Leon Panetta ha esortato gli israeliani a evitare politiche che avrebbero accentuato l'isolamento del loro Paese nella regione e si è detto esplicitamente contrario a qualsiasi azione militare unilaterale contro l'Iran.
Non è tutto. I governi occidentali preferivano parlare poco perché sapevano che l'Iran stava attraversando una crisi interna di cui si conoscono male i protagonisti, la posta in gioco, i rapporti di forze. La guida suprema, l'ayatollah Khamenei, ha sostenuto il presidente della Repubblica Ahmadinejad contro i giovani che hanno denunciato le elezioni truccate del 2009.
Ma nei mesi successivi qualcosa, nei loro rapporti, si è rotto. La presidenza di Ahmadinejad terminerà nel 2013, ma le sue scelte politiche e le sue nomine vengono apertamente criticate e contestate dal vertice religioso dello Stato. Si è detto che il presidente della Repubblica desiderava affrancarsi dalla tutela invadente della guida suprema e che l'ayatollah Khamenei ha reagito riducendone i poteri. Persino un recente, clamoroso scandalo bancario (una truffa per due miliardi e 800 milioni di dollari) sarebbe in realtà un sottoprodotto della lotta per il potere che si sta combattendo a Teheran. Questo spiega forse perché Ahmadinejad, durante il suo viaggio a New York, abbia cercato d'ingraziarsi la comunità internazionale dichiarando che l'Iran sarebbe disposto a interrompere l'arricchimento dell'uranio se gli Stati Uniti gliene fornissero un certo quantitativo, arricchito al 20%, per le esigenze della sua medicina nucleare. Non sapevamo, ripeto, quale partita si stesse giocando a Teheran, ma sapevamo che l'intervento aggressivo dell'Occidente avrebbe rafforzato l'ala più radicale e intransigente del regime.
La notizia del complotto sventato ha risvegliato nuovi timori e provocato nuove accuse. In una prima fase gli Stati Uniti hanno accusato esplicitamente il regime di Teheran di avere organizzato l'attentato, ma più recentemente il presidente Obama ha detto: «Anche se ai più alti livelli non vi era una particolareggiata conoscenza operativa, esiste un obbligo di responsabilità nei confronti di chiunque sia impegnato in questo tipo di attività». Dopo i primi dubbi sull'efficacia di un complotto così mal congegnato, Obama sembra rendersi conto che il progetto potrebbe essere opera della Forza Qods, una branca segreta dei Pasdaran, le Guardie della rivoluzione islamica. Il vero obiettivo non sarebbe l'assassinio dell'ambasciatore, ma la scintilla che avrebbe dovuto scatenare un nuova crisi con gli Stati Uniti e isolare le fazioni iraniane che vorrebbero gettare acqua sul fuoco.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante