Che l'antisemitismo sia ancora forte e temibile, lo mostra ancora una volta con tutta evidenza il rapporto approvato all'unanimità dalle commissioni esteri e affari costituzionali della Camera, su proposta di una commissione presieduta da Fiamma Nirenstein (lo si trova qui: http://www.osservatorioantisemitismo.it/public/Documento%20conclusivo%20dell%27Indagine%20Conoscitiva%20sull%27Antisemitismo%206%20ottobre.pdf). Nel testo della commissione è spiegato molto bene che l'antisemitismo deriva oggi principalmente dall'antisionismo e dall'antiisrealismo, assai più che dai vecchi pregiudizi razziali o religiosi che sono oggi insostenibili, se non come pregiudizi inespressi. E' su Israele, ebreo degli stati, oltre che stato degli ebrei, che si esprime oggi l'antisemitismo, è la presenza di Israele che spiega quel fenomeno grottesco ancor prima che schifoso che è il revisionismo della Shoà.
Ma proprio su questo legame, fra antisemitismo, delegittimazione di Israele e negazionismo, la fabbrica dell'odio lavora a piene mani. C'è un caso che merita di essere raccontato. Accade in Germania, paese che sull'antisemitismo e la Shoà ha qualcosa da farsi perdonare. Bisogna sapere che lo Stato tedesco, lodevolmente destina dei fondi al ricordo della Shoà, dunque implicitamente contro il negazionismo. Parte di questi fondi vanno a una fondazione dal nome molto politicamente corretto Holocaust Foundation “Remembrance, Responsibility, Future (EVZ)”, la quale ne ha girato un bel po' a uno scambio fra una scuola tedesca e una arabo-israeliana di Nazaret, col risultato di produrre un bel po' di materiali anti-israeliani: manifesti, vignette, brochures. Un altro scambio del genere, sempre finanziato dall'EVZ è avvenuto fra un'altra scuola tedesca di un posto che si chiama Gütersloh (intitolata con tragica ironia ad Anna Frank) e una di Ramallah, naturalmente con gli stessi risultati: nessuna educazione alla Shoà, anzi messa in dubbio dagli arabi; e in cambio molta propaganda contro Israele e gli ebrei. Come se per ricordare la Shoà, le scuole italiane facessero viaggi non ad Auschwitz ma nella "Palestina occupata". (http://www.jpost.com/JewishWorld/JewishNews/Article.aspx?id=241686).
La cosa più schifosa, in questa faccenda, è però un'altra, che si trovano sempre delle persone di origine ebraica, magari dei testimoni della Shoà a giustificare e appoggiare queste azioni "politically correct". In questo caso vi è un certo Hajo Meyer, che ha dichiarato che "la prima causa dell'antisemitismo è dell'ebraismo", e che "molti ebrei sono così concentrati sulla Shoà da essere incapaci di riconoscere la sofferenza altrui", per esempio quella palestinese e via delirando. Ha scritto anche un libro a favore della "fine dell'ebraismo", che gli sembra auspicabile. Ne è nata una polemica anche in Germania, che trovate raccontata qui: http://www.jpost.com/JewishWorld/JewishFeatures/Article.aspx?id=241978.
Non è certo un caso isolato: le persone di origini ebraica (non mi sento di chiamarli ebrei) affette da "odio di sé" o piuttosto dal bisogno patologico di staccarsi dalle loro origini e possibilmente di distruggere il popolo da cui provengono hanno una lunga storia (Marx e Weininger per fare solo due nomi) ma sono ancora tante, dal padre degli indignati Hessel a Edgard Morin. Non citerò gli esempi italiani, ma voglio ricordare lo "storico" Schlomo Sand, che è stato qualche giorno fa e giustamente contestato a Torino, autore di un libro che è tutto un programma "L'invenzione del popolo ebraico".
Ho citato prima Otto Weininger, l'unico ebreo che piaceva a Hitler, essendosi suicidato in coerenza col suo antisemitismo. E' un nome importante, perché ci illustra come possa esserci un antisemitismo ebraico (non inganniamoci, antisemitismo nel senso di odio per gli ebrei, non per generici semiti). Se l'antisemitismo classico è omicida, quello ebraico è suicida, o più furbescamente marca la volontà di sottrarsi alla responsabilità e al destino storico comune. Non c'è modo migliore per farlo che diventare nemici del popolo da cui si vuole uscire, denunciarlo, combatterlo, dichiarane l'inesistenza, magari oggi in nome della superiore umanità e del socialismo, come una volta lo si faceva in nome della Chiesa. Dal suicidio, si torna così di nuovo all'omicidio, magari al genocidio. O almeno alla complicità