Il commento di Marco Reis
Marco Reis
Presidente dell’Osservatorio sull’informazione
Direttore di www.malainformazione.it
Ruben Salvadori, è un giovane fotoreporter (http://www.rubensalvadori.com/), e sta iniziando a far discutere perché… ha girato la telecamera. Cioè sta svelando il ‘dietro le quinte’ non solo di un episodio, ma di un modo di produzione dell’informazione. E lo svela con lo stupore di un giovane che intendeva avviarsi al giornalismo visivo per ‘raccontare la realtà’, e che si trova invece immerso in una fabbrica di favole. Più tecnicamente: una fabbrica di stereotipi.
Dunque, di che si tratta?
Parto da un episodio noto ai visitatori di IC e di www.malainformazione.it : Gerusalemme Est, villaggio arabo di Silwan, 7 ottobre 2010, un gruppo di ragazzini in vena di Intifada lancia innocui sassi contro l’auto di un politico israeliano, l’autista investe un giovane palestinese e vigliaccamente fugge. Il mondo è inondato da immagini drammatiche, e si indigna. Questa è la interpretazione di Al Jazeera: http://www.youtube.com/watch?v=Rc9eh-cYJQw&feature=related
Per la verità già in quel video ci sono elementi di sospetto: di sfuggita si vedono almeno 4-6 fotoreporter. In altri video gli adulti che prontamente appaiono sono un’autentica folla: http://www.youtube.com/watch?v=XYTPR2kOh0E&feature=related. Una mente lucida può chiedersi se, come minimo, non c’è stata qualche orchestrazione mediatica, ma tant’è.
Il mondo non può sapere che è una sceneggiata (solo, arricchita dall’incidente a un ragazzino che si è spinto troppo oltre), che l’uomo (con a bordo un figlio) vede la scena al contrario, e cioè vede una turba di assalitori, sente pietre per nulla innocue, il tutto circondato da un’altra turba di adulti non solo armati di ottiche fotografiche.
E il mondo non sa che quella scena è un rito, uno spettacolo che si ripete ogni giorno, verso le 13,15 circa. Quella curva dà su una installazione militare, e al cambio turno l’appuntamento è fisso per ragazzini, adulti e reporter. Quando fortunatamente (per i ‘reporter’) ci scappa l’investito, le foto fanno il giro del mondo. E’ un po’ come fotografare il cambio della guardia a Buckingham Palace: fai tanti scatti di routine, ma se la guardia incespica hai guadagnato pane e companatico.
Salvadori è stato colpito da un altro evento, nella stessa zona, pochi mesi fa, precisamente il 13 maggio. Scontri, Intifada, lacrimogeni, sassi, scoppi…
Questa scena non è quotidiana, ma settimanale. E’ un po’ come l’Espresso, in quanto ‘esce’ dopo le preghiere del venerdì. Anche questa è costruita a favore di camera e ci sono pure le transenne per tenere in ordine i ‘cronisti’, gli organizzatori e i ‘soccorritori’ con giubbino catarifrangente in attesa di qualche testa rotta che valorizzi le foto e la propaganda.
Il giovane reporter Salvadori si arma dell’attrezzatura standard dei colleghi anziani impegnati ‘sul fronte’ (“maschera antigas, elmetto e macchina fotografica”), va sul luogo degli “eventi” e dopo poco… si accorge che il suo interesse non è sulla scena davanti, ma sul dietro-le-quinte. Sul comportamento dei reporter. Su quello che il pubblico non deve vedere.
Ecco qui ciò che vede girando la camera, più alcune sue riflessioni: http://vimeo.com/29280708
Il focus degli interessi di Ruben è professionale, deontologico e antropologico: lui fotografa (analizza) i fotografi, i loro gruppi e comportamenti. Si chiede come sia possibile riprendere scene costruite per poi rivenderle come eventi reali. Si chiede come mai non funziona l’argine di carta dei codici deontologici. Di più – ha studiato antropologia- cerca anche le ritualità di questi gruppi sociali, la formazione di gerarchie, e così via.
Diciamoci le cose come stanno: in teoria stiamo parlando di banalità. E’ teoricamente scontato che la notizia è l’uomo che morde il cane, non l’ovvietà del cane che morde l’uomo. E’ ovvio che le immagini interessanti sono quelle di Salvadori e non quelle ripetute alla nausea. E’ ovvio, ma solo in teoria: la costruzione di queste ‘notizie’ altro non è se non la costruzione, conferma e rafforzamento incessante di stereotipi. Propagandistici in questo caso, di altro genere in altri, ma sempre stereotipi ideologici. I media raccontano la realtà meramente mentale delle mainstream. E lo fanno con le parole e con le immagini: è la nostra ingenuità che ci fa scambiare le immagini per “la realtà”, dimenticando che sono sempre come minimo il punto di vista di chi le realizza.
Attenzione però a una constatazione di Salvadori, che mostra la foto del ragazzotto intifadista con volto coperto, barricata, fumo, sassi per terra, e avverte: “Questo è ciò che dobbiamo creare (noi fotoreporter, ndr) se vogliamo vendere”.
Ecco il punto: le foto interessantissime dei dietro-le-quinte possono insomma procurare qualche borsa di ricerca, ma ‘non vendono’. Colpiscono, ma non possono entrare in circuito.
Una buona parte delle risposte alle domande di Ruben Salvadori precede ciò che avviene sul campo. Letteralmente: nella generalità dei casi i valori di mercato delle fotografie e dei video rispecchiano esattamente… il valore che hanno nella costruzione degli stereotipi di mainstream.
I fotoreporter che si vedono nelle immagini di Ruben sono dunque solo i trovarobe di un testo teatrale scritto altrove. Scritto da chi manda i bambini avanti e nasconde gli armati. Scritto da chi produce propaganda chiamandola informazione. Scritto da interessi, politiche, visioni… naturalmente non solo sul tema ‘Palestinese’, ma lungo tutti i filoni della mainstream politicamente corretta, che è la vera ideologia egemone del sistema mediatico globale.