Con il titolo " L' Arabia di Obama è peggio dell'Iran ", Andrea Morigi analizza su LIBERO di oggi, 15/10/2011, a pag.17, i rapporti degli Usa con Arabia Saudita, rapportandoli a quelli con l'Iran.
Ecco il pezzo:
Anche alla formula «è un bastardo, ma è il nostro bastardo », di rooseveltiana memoria, serve una revisione periodica. Altrimenti potrebbero sfuggire alcuni particolari di qualche rilievo, come sta accadendo al presidente degli Stati Uniti Barack Obama, in questi giorni impegnato a rinsaldare l’al - leanza con l’Arabia Saudita, in vista di un inasprirsi delle relazioni con Teheran. Dopo aver sventato il presunto piano per uccidere l’am - basciatore saudita a Washington, gli Stati Uniti non escludono nemmeno azioni militari contro l’Iran.
PIANI NUCLEARI
A Riad ne sono tutti felici, perché in prospettiva intravvedono la possibilità futura di diventare la seconda potenza atomica del mondo islamico, prima degli odiati sciiti di Teheran. Se spirano venti di guerra, di certo alla Casa Bianca non storceranno il naso sugli accordi militari stretti sottobanco con il Pakistan, che prevederebbero anche una cooperazione in campo nucleare. Non si sa mai, con le “prima - vere arabe” che tentano di contagiare anche i luoghi santi dell’Islam, La Mecca e Medina. Se il rischio terrorismo pare sotto controllo, un’ondata di proteste non è da escludere. Il 4 ottobre scorso, nella città orientale di Qatif, è stata repressa nel sangue un’insurre - zione sciita. E, secondo quanto scrive il giornalista pachistano Amir Mir su Jane, a Islamabad nei mesi scorsi sarebbero stati allertati due contingenti militari, pronti a sbarcare in territorio saudita, nell’ipotesi di una rivolta. Ai sauditi del resto non mancano certo i mezzi e la forza per imporre la pacificazione interna ed esterna. Sono intervenuti con i carri armati in Bahrein per spegnere sul nascere la rivolta sciita. Venerdì scorso, mozzando il capo a otto bengalesi condannati per omicidio, hanno fatto salire a 58 il numero di decapitazioni del 2011.Alle proteste dell’Onu che chiede una moratoria sulle esecuzioni capitali, i sauditi rispondono intensificando l’at - tività diplomatica. Due giorni fa, a Vienna, in collaborazione con la Spagna e l’Austria, hanno annunciato l’istituzione del Centro internazionale per il dialogo interreligioso e interculturale, dedicato proprio al re Abdullah Bin Abdulaziz, alla presenza del principe Saud Al Faisal. A un giornalista che gli ha chiesto come mai non vi siano sinagoghe nel suo Regno, ha risposto che non vi sono ebrei, quindi non ce n’è bisogno. Il travisamento della realtà non è sfuggito al cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso che, pur rallegrandosi per il progetto, non ha nascosto che in Arabia Saudita «c’è un problema e che va risolto. Non siamo ingenui».
I FINTI RIFORMATORI
Generalmente, invece, le dichiarazioni di buona volontà ingannano i più. Al re Abdullah era bastato ipotizzare un’apertura verso il voto femminile nel 2015 per guadagnarsi la fama di riformatore. Poi lo sceicco Abdel Rahman bin Nasir Al Barak gli aveva risposto con una fatwa: «È vietato alla donna andare al voto perché imiterebbe in questo modo i miscredenti in una delle peggiori pratiche che il mondo islamico ha importato dall’occidente». Non è un dissidente ad aver sfidato il monarca, ma uno dei religiosi più influenti presso la famiglia reale saudita. Uno di quelli consultati anche dal rettore dell’università Al Azhar, Ahmed Al Tayyeb, colui che aveva interrotto i colloqui con la Santa Sede, chiedendo le scuse del Papa per aver criticato l’islam in seguito all’attenta - to contro la cattedrale copta di Alessandria del 3 gennaio. Mentre decine di copti egiziani, domenica scorsa, morivano al Cairo, Al Tayyeb si trovava in visita proprio in Arabia Saudita.
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