Ho letto questa Ansa che vi mando, ecco la nuova Libia della primavera araba:
Donata Manca
NSA/ LIBIA: GERBI, EBREO ITALIANO 'COSTRETTO' A LASCIARE PAESE CON RIBELLI IN BATTAGLIA,ORA SEMBRA CAMBIATO VENTO.'MA TORNERO» (di Massimo Lomonaco) (ANSA) - ROMA, 11 OTT -
«Non torno certo per paura...ma per ora è meglio cosi». Dall'aereo militare italiano che lo riporta in serata a Roma assieme ad alcuni feriti libici, David Gerbi, l'unico ebreo riuscito a ritornare in Libia allo scoppio della rivoluzione e diventato anche lui un 'rivoluzionario', racconta all'ANSA la situazione che lo ha convinto al «momentaneo» rientro. «Venerdì pomeriggio - spiega Gerbi che a Tripoli ci è nato e che è tornato nel suo paese di origine per riaprire la Sinagoga e il cimitero ebraici - me la sono vista brutta: per noi ebrei era la vigilia di Kippur (il giorno sacro dell'Espiazione), e sotto il mio albergo si è radunata una folla minacciosa che chiedeva la mia deportazione in Italia. La gente ha tentato di sfondare lo schieramento di polizia e di salire al mio piano per prendermi. Innalzava cartelli con la scritta 'Non c'è posto per gli ebrei in Libià e 'Non abbiamo posto per i sionisti'. Ho temuto molto... c'era un clima allucinante». «Mi ha chiamato il console italiano e mi ha pregato di prendere atto della situazione. Ma io non ho voluto: mi sembrava - aggiunge - di rivivere la stessa situazione del 1967 quando Gheddafi ci cacciò dalla nostra patria. E di tornare ad essere la vittima traumatizzata che sono stato per anni». «All'una di notte - ricorda ancora Gerbi - improvvisamente si è fatto silenzio. Mi sono affacciato dalla finestra ed ho visto il ministro ad interim della Giustizia Mohammed al-Alagi che è riuscito a convincere i manifestanti ad andarsene. Dopo mi ha raccontato di aver detto loro che nessun paese civile del mondo avrebbe tollerato se mi avessero fatto del male. E loro hanno ceduto». «Al-Alagi - continua Gerbi - mi ha detto che la mia presenza in questo momento poteva essere una fonte di tensione e di destabilizzazione. A lui ho risposto che non intendevo andare via di nuovo come una vittima. Mi ha sottolineato che si trattava soltanto di un paio di settimane e che il mio rientro poteva esserci all'accoglimento della mia domanda di entrare nel Consiglio rivoluzionario come membro responsabile degli ebrei. Solo ieri sera sera ho deciso di accettare la proposta». Gerbi sottolinea che non «intende mollare e che rientrerà in Libia» dove ha vissuto tutti i mesi della rivoluzione. «Nel paese c'è un grande antisemitismo collegato anche alla questione israelo-palestinese. Ma è un fenomeno indotto, inculcato, da Gheddafi e dal suo regime tirannico. Poi c'è anche il timore che gli ebrei libici possano tornare e chiedere indietro quello che è gli è stato rubato. Il pericolo esiste, ma io non rinuncio».(ANSA).