Tunisia, la strategia degli islamisti per prendere il potere Commento di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 11 ottobre 2011 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Il test tunisino»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 11/10/2011, a pag. 1-III, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Il test tunisino ".
Giulio Meotti Tunisia
Roma. “I miei pantaloni sono sufficientemente lunghi?”. “Il mio velo è a posto?”. “Si nota il trucco?”. “Mi frusteranno?”. “Dov’è la mia libertà di pensiero?”. Domande impertinenti e “blasfeme” agli occhi dei trecento fondamentalisti islamici che domenica hanno cercato di appiccare un incendio agli studi televisivi del canale tunisino Nessma. L’emittente, di proprietà di Tarak Ben Ammar e di cui Mediaset detiene una quota importante, trasmetteva il film “Persepolis” dell’iraniana Marjane Satrapi, una denuncia della teocrazia islamica iraniana. Si accende lo scontro fra islamici e laici in Tunisia alla vigilia delle elezioni del 23 ottobre per l’elezione dell’Assemblea costituente. Politicamente il confronto vede contrapposti gli islamici di Ennahda, legato ai Fratelli musulmani e guidato da Rached al Ghannouchi, e lo schieramento laico che fa riferimento al Polo democratico modernista. I sondaggi danno per vincente il primo, più organizzato ed economicamente più forte, ma c’è incertezza sull’attendibilità dei sondaggi. La scorsa settimana Ghannouchi ha annunciato che cercherà di plasmare la Tunisia in nome di una “moderata forma di sharia”. La Tunisia è un test decisivo per colossi italiani come Eni, che hanno grandi investimenti nel paese. A febbraio l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, ha annunciato un investimento di 500 milioni in tre anni. “I nostri contratti sono sanciti dai ministeri pro tempore e onorati da società petrolifere locali, spesso formati da noi”, ci dice Gianni Di Giovanni, capo ufficio stampa Eni. “Siamo in Tunisia da mezzo secolo e abbiamo superato ogni sconvolgimento politico. Il petrolio non si passa di mano in mano senza che il paese non ci rimetta in milioni di barili e dollari, quindi la continuità è un valore importante per l’economia tunisina. Chiunque andrà al potere non può che continuare a lavorare con le aziende presenti. Questi contratti pluriennali sono protetti dal diritto internazionale. Non abbiamo forti timori, speriamo che il prossimo governo voglia fare altri affari con noi”. Nel frattempo nessun colpo viene risparmiato. Il sito Tribune Tunisienne ha commentato così la messa in onda di “Persepolis” da parte della tv Nessma: “Perché questo film è stato proiettato questa sera? La risposta mi sembra chiara ed evidente per tutti noi: la catena televisiva deve lanciare un messaggio al tunisino”. “Trecento persone hanno cercato di dare fuoco ai nostri uffici”, ha detto il portavoce della televisione, Nebil Karoui. Venerdì notte erano arrivati insulti alla tv, oltre alle minacce di morte contro gli editori e i giornalisti, infine domenica c’è stato l’assalto fermato a stento dalla polizia. Un gruppo di islamisti ha anche fatto irruzione nell’Università di Susa, a sud della capitale Tunisi, dopo che una studentessa non era stata ammessa perché indossava il niqab, il velo totale. Poche ore dopo duecento estremisti sono entrati nell’edificio, minacciando i professori ed esponendo cartelli contro il divieto del velo in vigore nel paese (la Tunisia ha una delle leggi più laiche del mondo arabo). Gli islamisti hanno attaccato la polizia con coltelli al grido di “Allah akbar” (“Allah è grande”). Secondo Moncef Abdul Jalil, preside della facoltà, l’attacco “ha causato panico e terrore fra studenti e professori”. Mokhtar Trifi, a capo della Lega dei diritti umani, dichiara che le manifestazioni di islam radicale “sono in aumento in tutto il paese”. L’attacco alla tv Nessma ha ricordato un episodio di violenza molto simile contro il film “Ni Allah ni maître” (Né Allah né padrone), girato dalla celebre regista Nadia El Fani. L’opera e la dichiarazione di ateismo della regista (“Io non credo in Allah”) le sono costate fatwe di morte da parte di imam fondamentalisti e persino un procedimento giudiziario per “blasfemia”. Il 26 giugno scorso, al cinema Africart di Tunisi, una delle sale più famose della capitale dove era in programma il film di El Fani, hanno fatto irruzione gli integralisti islamici (alcuni a volto coperto). Fuori urlavano “la Tunisia è uno stato islamico” e slogan contro “l’ateismo”. Una ventina di militanti, al grido di “Allah è grande”, ha minacciato gli spettatori che avevano scelto un titolo “apostata”. Anche il direttore della sala è stato minacciato di morte. Secondo la blogger “A Tunisian Girl”, l’attacco al cinema dove si proiettava il film è l’inizio di una campagna islamista per incidere sul voto previsto per il 23 ottobre. “Cittadini sono attaccati nel nome dell’islam”. Aggressioni e minacce si susseguono infine ai famosi bordelli di Tunisi che, secondo gli estremisti, “devono essere tutti chiusi, perché le donne in Tunisia non possono essere trattate come divinità”.
Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante