Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/10/2011, a pag. 27, l'articolo di Francesco Di Frischia dal titolo " Attentato al ghetto. Riaprire le indagini ".

La sinagoga di Roma
Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere la pagina di IC di ieri, con i commenti di Piera Prister e Pierluigi Battista (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=41744) e la Cartolina da Eurabia di Ugo Volli di oggi, pubblicata in altra pagina della rassegna.
Ecco il pezzo di Francesco Di Frischia:
«Il nome di Stefano Gay Taché deve essere inserito nell'elenco delle vittime del terrorismo che ha curato la Presidenza del Consiglio». Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, appoggia l'appello lanciato ieri sul Corriere della Sera da Gadiel Taché, il fratello del bambino di due anni ucciso il 9 ottobre del 1982 durante un attentato palestinese davanti alla sinagoga della Capitale. Oggi Gadiel ha 33 anni, chiede «giustizia» e vuole sollevare quel «velo di ambiguo e imbarazzato silenzio steso dall'Italia sulla strage». Alemanno non si tira indietro: «Non dimenticare è sempre importante perché si tratta di trasmettere i valori della memoria, ma in questo caso c'è un problema in più». Infatti il sindaco di Roma sa bene che Ab-del Al Zomar, condannato all'ergastolo dalla giustizia italiana per la strage, ha vissuto indisturbato nella Libia di Gheddafi. «C'è un problema di giustizia che non è mai stata resa completamente — ammette Alemanno —. Mi auguro che il ministero degli Affari esteri avvii un'iniziativa per ottenere l'estradizione in Italia del responsabile». Poi il sindaco sostiene la richiesta di Gadiel Ta-ché di «riaprire le indagini perché ci sono molte cose di quegli anni che non sono mai state chiarite fino in fondo». Pensieri condivisi da Renata Polverini, presidente della Regione Lazio, che da Cracovia, dove è impegnata in un viaggio con gruppi di giovani romani per ricordare l'Olocausto, aggiunge: «Stefano Gay Taché non deve essere dimenticato. L'innocenza violata di quel bambino non può restare impunita». Intanto ieri mattina nel ghetto di Roma sono comparsi dei volantini affissi ai muri in ricordo di Stefano Gay Ta-ché, firmati dal Movimento culturale studenti ebrei. Anche Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica capitolina, non dimentica l'attentato: «Pure mio padre Emanuele porta addosso i segni delle schegge delle bombe lanciate quel giorno, ma quell'episodio è stato solo uno dei misteri italiani che testimoniava il clima d'odio antiebraico che si respirava, mentre Arafat era spalleggiato e accolto come un eroe». Ma Pacifici, pur ammettendo che «oggi l'aria è molto diversa», si pone alcune domande su quel periodo complesso: «Perché in passato il Governo italiano non ha insistito per l'estradizione del terrorista condannato, semmai è stata fatta la richiesta?». E ribadisce al ministro Frattini la necessità di presentare al nuovo Comitato di liberazione della Libia la richiesta di estradizione per il killer Al Zomar. Tra i tanti misteri di quell'epoca, Pacifici avanza altri dubbi: «Che cosa c'è di vero sul "Lodo Moro"? Era una sorta di immunità per i terroristi palestinesi che potevano usare l'Italia per farvi transitare armi e in cambio non dovevano fare stragi nel nostro Paese? E perché proprio il 9 ottobre del 19821a camionetta della polizia non era, come ogni giorno, davanti alla sinagoga? Chi sa parli e se ci sono dei dossier, che vengano fuori!». Ma l'ultimo pensiero è per Stefano Gay Taché: «Come si fa a dimenticare un bambino di 2 anni, romano, italiano e ebreo, tra le vittime del terrorismo?».
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