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La Stampa Rassegna Stampa
09.10.2011 Sarà un altro secolo americano
Intervista con Mitt Romney, di Judy Woodruff

Testata: La Stampa
Data: 09 ottobre 2011
Pagina: 10
Autore: Judy Woodruff
Titolo: «Sarà un altro secolo americano»

Ieri abbiamo pubblicato il ritratto di Mitt Romney di Mattia Ferraresi dal FOGLIO. Oggi, 09/10/2011, sulla STAMPA una intervista con il candidato repubblicano di Judy Woodruff, a pag. 10, con il titolo " Sarà un altro secolo americano ". Sottolineiamo questa domanda/risposta:

Arriviamo al nodo mediorientale. L’amministrazione Obama e altri governi occidentali hanno criticato la decisione di Israele di costruire altri insediamenti a Gerusalemme, dicendo che sono controproducenti. Lei che cosa ne pensa?

«Ritengo che quando si ha un alleato che condivide gli stessi valori come Israele, si può non essere in accordo, ma lo si fa in privato. Non è ammissibile incoraggiare gli avversari del proprio alleato e imporgli un negoziato o dirgli come un accordo deve o non deve essere fatto. Specie in una situazione delicata come quella in cui si trova lo Stato ebraico».

Ecco l'intervista:

Mr Romney, nel suo discorso ieri a Citadel lei ha descritto il secolo che attende gli Stati Uniti. Ha spiegato che, secondo i progetti del Signore, l’America non sarà un Paese di comprimari. Questo vuol dire che ancora una volta gli Usa saranno una nazione guida e gli altri dovranno seguirla?

«Quello che io voglio dire è che storicamente gli Stati Uniti sono un Paese che ha affermato certi inalienabili valori. Tra questi la vita, la libertà e la ricerca della felicità e della soddisfazione personale. Inoltre l’America ha lottato affinché questi valori fossero condivisi con il resto del mondo. L’America è una realtà unica ed eccezionale e solo l’idea che altre nazioni possano diventare forti come noi e controbilanciare il nostro potere mi sembra un errore enorme».

Nel suo discorso lei ha spiegato che il presidente Obama è debole. Ma questo è il presidente che ha dato il via libera all’eliminazione di Osama bin Laden e dello sceicco alAwlaki, e ha rilanciato la guerra in Afghanistan. Questo non conta?

«Ovviamente queste sono cose importanti e in entrambi i casi che lei ha menzionato io apprezzo il lavoro svolto dal Presidente. Devo però anche dire che la decisione di ridurre gli stanziamenti per le spese militari, a mio avviso, non fa che indebolirci ed espone i nostri uomini a un rischio gravissimo».

Per quanto riguarda l’Afghanistan c’è un accordo in ambito Nato per il quale è previsto il richiamo delle truppe entro il 2014. Se lei fosse presidente lo rispetterebbe o no?

«Le ripeto ancora una volta che io mi consulterei con i nostri vertici militari e se la visione condivisa fosse quella di fiducia nelle forze di sicurezza afghane non farei altro che rispettare le scadenze. Ma dobbiamo anche essere attenti alle condizioni reali e a cosa dice la gente sul territorio. Io spero che le nostre forze possano andar via anche prima, ma non possiamo non tener conto delle reali condizioni sul campo. La transizione dei poteri deve essere fatta con la reale sicurezza che le autorità afghane sappiano garantire la sicurezza del loro Paese contro la tirannia dei talebani».

Ma non rientra nei poteri del Presidente decidere se richiamare o meno le truppe? Lei fa sempre riferimento ai generali.

«Ho solo detto che sentirei le indicazioni dei generali, e in base a quelle farei le mie valutazioni prendendo la decisione che ritengo più opportuna. Il punto è che il Presidente degli Stati Uniti deve essere non solo il comandante supremo delle Forze armate, ma anche il comunicatore principale con il proprio popolo. Deve spiegare perché e come prende le decisioni».

Il governatore Huntsman ieri ha detto che lui è l’unico candidato repubblicano in grado di gestire una politica estera complessa. Che cosa ne pensa?

«Ogni candidato esprime la propria opinione e le ragioni per le quali ritiene di essere nella posizione più giusta. Ognuno ha la sua agenda e le sue scadenze. Nella mia la priorità è l’economia e come il Paese può tornare a funzionare in maniera efficiente».

Arriviamo al nodo mediorientale. L’amministrazione Obama e altri governi occidentali hanno criticato la decisione di Israele di costruire altri insediamenti a Gerusalemme, dicendo che sono controproducenti. Lei che cosa ne pensa?

«Ritengo che quando si ha un alleato che condivide gli stessi valori come Israele, si può non essere in accordo, ma lo si fa in privato. Non è ammissibile incoraggiare gli avversari del proprio alleato e imporgli un negoziato o dirgli come un accordo deve o non deve essere fatto. Specie in una situazione delicata come quella in cui si trova lo Stato ebraico».

Lei ha parlato di incrementare le spese della Difesa. Gli Stati Uniti sono il Paese che già stanzia più di ogni altra nazione in spese militari. Quanto ancora deve investire?

«Quello che io penso è che il 20% delle nostre spese federali deve essere destinato alla difesa, questo a causa della guerra in Afghanistan e della missione in Iraq. Quando queste saranno portate a termine la quota si potrà abbassare. Ritengo che la cifra giusta sia da mantenere al 4% del Pil, almeno per adesso».

Un’ultima considerazione, ed è sulle proteste contro Wall Street che si stanno allargando in tutto il Paese. Lei le ritiene fondate?

«C’è un grande senso di frustrazione. Ci sono milioni di persone che non riescono a trovare un posto di lavoro. La gente è stanca, arrabbiata e pessimista. Io penso che si poteva fare di più e meglio. Penso che le cose stanno prendendo una direzione sbagliata che rischia di spaccare il Paese».

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lettere@lastampa.it

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