Non è nostra intenzione entrare nella polemica sull'assegnazione del Premio Nobel alle tre donne attiviste nel campo dei diritti umani. Crediamo che abbiano ragione un po' tutti, quelli che vedono in quella scelta una forma di ghettizzazione femminile, e quelli che invece ne sottolineano il valore e l'impegno personale.
Per questo abbiamo scelto il pezzo di Daniele Raineri, uscito oggi, 08/10/2011, sul FOGLIO a pag.2, con il titolo " Ecco quel che ci disse la neo Nobel Karman nella piazza yemenita " , che ci pare riassumere bene il lato specificatamente femminile senza cadere nella retorica vetero femminista. Forse proprio di questo c'è bisogno oggi, in uno scenario nel quale la cosidetta 'primavera araba' mostra sempre più evidenti i segni dell'islamismo.
Ecco l'articolo:
Daniele Raineri Tawakkul Karman
Il Cairo, dal nostro inviato. E’ febbraio, a Sana’a, capitale dello Yemen. La folla si ferma, gli uomini sono perplessi, perché gli studenti della rivoluzione hanno deciso di dare alle cose un tocco di modernità altrimenti non vale la pena farle: invitano a parlare sopra il palco montato con quattro tubi e un po’ di legno anche le studentesse. Le ragazze, coperte di nero dai capelli alla punta dei piedi volto incluso, poco abituate a parlare a un maschio per strada – figurarsi sulle teste di centinaia di uomini che fino a un momento prima ululavano – passano la tracolla dell’altoparlante sopra la testa e sopra la veste, fanno un paio di tentativi a vuoto, esitano, hanno il tremolio nella voce, la piazza davanti sembra un deserto. Gracidano un paio di slogan. Verrebbe voglia di salire e accompagnarle giù, per non esporle oltre. Da sotto, tranne alcune eccezioni non rappresentative, sale il millenario, feroce scetticismo yemenita. Come a dire: “Già siamo impegnati in una cosa complicata, stiamo facendo una rivoluzione contro un regime che dura al potere da trent’anni, contro gente che ammazza, generali senza scrupoli. Stiamo qui ad ascoltare le ragazze pure? Ci vuole davvero tutta la sospensione eccezionale dall’andazzo ordinario per non rimandarvi dove dovreste stare, che certo non è qui in un luogo così affollato”. La regola fissa della diffidenza maschile è stata ribaltata da un’eccezione: Tawakkul Karman. Quando lei arriva in corteo con il suo inconfondibile hijab tutto rosa l’effetto è prodigioso: gli yemeniti riconoscono la presenza del carisma, le fanno ala se deve passare, fanno gruppo attorno se si mette a parlare. Ieri ha saputo di avere vinto il Nobel per la Pace – assieme ad altre due donne della politica liberiana – sotto una tenda nell’accampamento davanti all’università. Doveva durare pochi giorni come in Egitto e invece va avanti da febbraio. Dice: “Guardatevi attorno ci sono ragazze che qui parlano in pubblico e qui dormono di notte, perché questa non è soltanto una rivoluzione politica, è anche una rivoluzione sociale”. La Karman è madre di tre figli, ha trentatré anni, viene dal partito Islah, che è il partito degli islamisti – in una nazione dove tutte le forze politiche, tranne i socialisti di Aden, sono islamiste nel profondo già in partenza. Islah ha un pessimo nome. Ne fa parte il predicatore al Zindani, che frequentava Osama bin Laden. Quando una settimana fa i droni americani hanno ucciso l’ideologo di al Qaida in Yemen, Anwar al Awlaki, è saltato fuori che era in compagnia di uomini del partito. Karman assomiglia da vicino a una rupture: s’è opposta violentemente ai vertici di Islah che volevano bloccare la legge contro i matrimoni con le spose bambine, circola a volto scoperto “perché la religione non lo impone, è soltanto una tradizione, io me lo tolsi pochi minuti prima di salire su un palco a Washington. Chi fa attività politica deve essere riconoscibile”. Ai giornalisti, e anche al Foglio, diceva: “Non voglio che la rivoluzione sia etichettata come islamica”. Più che il partito, vuole rappresentare la generazione giovane (e maggioritaria): “Gli estremisti mi odiano. Parlano di me nelle moschee e distribuiscono volantini in cui mi condannano come non musulmana. Dicono che voglio portare via le donne dalle loro case”. A gennaio uomini dei servizi l’hanno presa in pieno giorno mentre camminava su un marciapiede assieme al marito, l’hanno tenuta in prigione, ma è uscita per intercessione di Hillary Clinton. Prima che la rivoluzione degenerasse in uno stallo fra contendenti armati, c’era anche lei dietro al miracolo di proteste disarmate e solenni, a mani alzate incontro al fuoco dei cecchini. Il marito Mohammed prende rassegnato le telefonate accanto a lei.
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