Ho inciampato e non mi sono fatta male Miriam Rebhun
L’Ancora del mediterraneo Euro 16,50
Cosa lega Lizze Doron, scrittrice israeliana e vincitrice del Premio Adei Wizo 2009 con il libro autobiografico “Perché non sei venuta prima della guerra” (Giuntina), Anna Maria Hàbermann, ebrea italiana, autrice de “Il labirinto di carta” (Proedi) e Miriam Rebhun che pubblica con la casa editrice L’Ancora del mediterraneo un intenso ed emozionante memoir intitolato “Ho inciampato e non mi sono fatta male”?
Queste donne straordinarie le cui opere costituiscono preziosi tasselli di un vasto mosaico di storie, non ancora completo, sono tutte testimoni di seconda generazione che si sono assunte un compito gravoso ma imprescindibile: conservare integra la memoria dei loro cari, di quelle vite che l’abisso della Shoah e i flutti della Storia hanno disperso.
“….Se riuscirò a mantenere e a tramandare la sua memoria, la sua storia non si perderà…la sua vita così breve avrà un senso, lascerà un segno”. Così scrive Miriam Rebhun dinanzi alla tomba del padre Heinz, sepolto nel cimitero di Haifa, un genitore del quale non conserva ricordi perché morto quando la piccola Miriam aveva solo due anni, ucciso da un cecchino arabo.
Per non lasciare cadere nell’oblio la storia della sua famiglia e dare un volto a chi non ha conosciuto, come i nonni paterni tedeschi, Frieda e Leopold, l’autrice si accinge, attraverso la raccolta e lo studio di documenti, a ricostruire le biografie e il tragico passato di quei parenti di cui si sono perse le tracce nell’abisso dell’Olocausto. La sua ricerca personale che, grazie ad una cifra narrativa immediata, si declina in un racconto emozionante, ci conduce attraverso il novecento da Haifa a Napoli, da Berlino ad Auschwitz.
In questo “viaggio” alla scoperta del passato Miriam Rebhun ripercorre le tappe della sua vita in una commovente caccia ai ricordi.
Dopo la morte del padre Heinz, militare della brigata ebraica che mamma Luciana aveva conosciuto a Napoli e con il quale aveva vissuto a Kiriat Chaim in una casetta sulla spiaggia, la piccola Miriam in braccio alla madre si imbarca su una nave a Haifa per fare ritorno a Napoli.
E’ in un appartamento al terzo piano di Via Piedigrotta nel centro della città che Miriam cresce e diventa adulta circondata dall’affetto di nonno Raoul Gallichi che dopo la guerra ha ripreso il suo impiego di capoufficio alla banca commerciale, di nonna Gina, nata a Salonicco da una “famiglia agiata e cosmopolita”, di zia Vera, sorella maggiore della mamma e di zio Vittorio, il fratello più piccolo dal carattere introverso.
L’adolescenza, gli amici, l’amore con Marco, il futuro marito, le esperienze scolastiche con l’entusiasta descrizione dei professori che hanno inciso maggiormente sulla sua formazione, si dispiegano in una narrazione affascinante arricchita da una scrittura semplice ma efficace che cattura come una magia l’attenzione del lettore.
La vicenda del padre Heinz che insieme al gemello Gughy era fuggito in Palestina per sottrarsi alle leggi razziali, si fa strada con delicato riserbo fra le pagine del libro.
Come mattoni che posti uno sull’altro danno vita ad un palazzo, così i ricordi dell’autrice emergono in rapidi flash e ricostruiscono attraverso gli incontri emozionanti con i parenti in Israele, le esperienze e le aspirazioni di chi è stato privato della vita e ora può tornare a vivere solo attraverso il racconto dei figli e dei nipoti.
Perché “conoscere le ferite della famiglia è un diritto dei nostri figli e dei nostri nipoti, farle conoscere è un nostro dovere”.
Al termine del libro accompagniamo con trepidazione Miriam nel quartiere di Steglitz a Berlino, il luogo dal quale nonna Frida è stata deportata il 2 ottobre 1942; è il 7 luglio del 2008 e lungo la Poschingerstrasse Miriam, assieme al marito e ad una delle figlie, assiste alla posa sul selciato di una Stolperstein, “pietra di inciampo”, un sampietrino ricoperto di ottone che reca le generalità, la data di deportazione e la destinazione finale di quella nonna strappata ai suoi affetti e che non ha mai conosciuto.
Quella piccola e discreta Stolperstein non vuole essere una “plateale richiesta di perdono, ma per il solo fatto di essere posta in quel luogo è una rivendicazione di veridicità che inequivocabilmente si pone contro ogni tentativo di oblio o di negazionismo”.
Un pericolo sempre in agguato del quale dobbiamo proteggere le nuove generazioni perché – spiega Rebhun – “la Shoah non è solo una pagina della storia, è una rottura di civiltà, uno spartiacque. L’esame delle ideologie da cui è nata e dei meccanismi con cui è stata realizzata devono rafforzare i valori fondanti di un cittadino democratico, renderlo vigile rispetto a potenziali altri genocidi, vaccinarlo da pregiudizi e stereotipi tanto più diffusi quanto più la nostra diventa una società multietnica”.
Il libro di Miriam Rebhun è un commovente memoir che ha il dono raro di accoglierti, con una lingua viva, fra le sue pagine; facendoti sentire a casa e parte della famiglia riesce a raccontare con sapienza narrativa e delicata capacità introspettiva, sia le piccole gioie quotidiane che il dolore straziante della perdita dei propri cari.
In un’epoca in cui le parole si sprecano vi sono “libri custodia” che hanno il compito di tramandare la memoria che “è come una goccia d’olio buttata nell’acqua, può scomparire per un istante ma poi se ne torna su, galleggia come uno sguardo su ciò che è stato”.
“Ho inciampato e non mi sono fatta male” è uno di questi libri: un’opera che si legge con rispetto e gratitudine.
Giorgia Greco