copia di e-mail inviata al direttore della Stampa:
Egregio Direttore Dott. Mario Calabresi,
Annovero La Stampa tra i quotidiani nazionali più autorevoli e affidabili, nonché influenti. Tuttavia, permettetemi di esprimere il mio disappunto sulla mappa ‘Come sono cambiati i confini’ affiancata all’articolo ‘Nessuno potrà fermare la Palestina’, dello scorso venerdì 30 settembre. La prima figura, ‘Terre popolazione palestinese’, è molto stravagante. Priva di data, la carta rappresenta un immaginario, preesistente stato arabo palestinese, creato non si sa quando (nemmeno la carta cita date o risoluzioni); ma è presto detto che mappa sia: è identica alla stessa mappa usata da chi progetta e propaganda la delegittimazione di Israele. Uno stato arabo palestinese sugli stessi confini di Israele non è mai esistito; non fu creato dopo la conquista islamica di Gerusalemme, né nel 1700, né nel 1900. Anche il titolo dell’immagine è inesatto: la regione multietnica chiamata dai romani Palestina fu parte dell’impero Ottomano (e non coincideva con i confini nazionali di Israele, ma inglobava anche l’attuale Giordania) fu sempre abitata da Ebrei non della Diaspora, insieme ad Arabi e Cristiani. Non fu mai uno stato ‘Judenrein’. Ho forti dubbi anche sulla terza immagine: la percentuale 22% è sospetta, se non erro la famosa percentuale si riferisce a quel 22% dell’originaria Palestina, regione del Mandato Britannico, territorio che comprendeva l’attuale Israele e la Transgiordania (vedere Dichiarazione Balfour del 1917). Non credo quindi sia collegato a ciò che rimane del preesistente stato di Palestina, ridotto ai minimi termini a causa di territori ‘rubati’ o ‘mangiati’ dai coloni israeliani come la mappa suggerisce. Spero di tratti di semplice errore, e non di progetto pianificato. Grazie per la Vostra cortese attenzione. Cordialmente, R.M.
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Gentile Redazione,
allego copia di una mia email inviata alla Stampa a proposito della risposta data da Alberto Simoni.
Cordiali saluti
Daniele Coppin
Egr. Direttore,
nella risposta fornita da Alberto Simoni ad un lettore circa le imprecisioni e la acquiescenza dell'intervista di Rachida Dergham ad Abu Mazen pubblicata nell'edizione del 30 settembre scorso, si palesa il tentativo di aggirare il problema. Infatti, il punto non è la mancata intervista a Netanyahu (a proposito, le interviste sono i giornalisti a richiederle, se non avete un'intervista al leader israeliano è perchè, evidentemente, non gliela avete chiesta), bensì il tono dell'intervista ad Abu Mazen, che ha influito sui contenuti, consentendo al leader palestinese di fare affermazioni ambigue senza che l'intervistatrice richiedesse chiarezza. Quanto, poi, alla cartina del 1947, il vostro afferma: "Chiaro che quella del 1947 è la proposta di Stato arabo avanzata dall’Onu (anche se per un errore non abbiamo aggiunto la parola Onu). Poi è stata una riduzione giornalistica, su un disegno perlopiù, e come tale il margine di imprecisione (non voluta, né tantomeno tendenziosa) non è rasente allo zero". Ebbene, questa è un'autentica sciocchezza (non riesco a definirla altrimenti) storica. Infatti, nel 1947, l'ONU non avanzò una proposta di Stato arabo su quanto restava del territorio del Mandato britannico in Palestina, bensì una proposta di spartizione (respinta dagli arabi) in uno Stato arabo ed uno ebraico. Quindi quel territorio mostrato nella vostra cartina per "una riduzione giornalistica" come territori palestinesi (definizione sensa senso visto che all'epoca "Palestinesi" erano definiti gli Ebrei sionisti mentre gli Arabi erano denominati semplicemente "Arabi") ma un vero e proprio falso.
Distinti saluti
Daniele Coppin
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Vi invio la lettera che ho inviato in data odierna al Direttore del giornale La Stampa in merito all'intervista al Presidente dell'ANP pubblicata il 30 settembre scorso.
Egregio Direttore mi spiace importunarla per esprimere il mio dissenso su come il suo giornale tratta l'informazione sul Medio Oriente. In questo caso mi riferisco all'intervista con il Presidente dell' ANP Abu Mazen pubblicata in data 30 settembre scorso. Non starò a ripetere in blocco tutte le obiezioni , che Lei già conosce e a cui Alberto Simoni ha dato per conto del giornale una risposta di routine che, a mio avviso , non é soddisfacente. Vorrei invece cercare di riflettere brevemente con Lei, forse abusando un po' della sua cortesia, sul valore aggiunto informativo che questa intervista ha prodotto - poco o niente a mio avviso, senza accennare alle cartine geografiche propagandistiche su cui altri si sono già espressi - e su quello che invece avrebbe potuto produrre, se si fosse trattato di un' intervista fatta con l'intento di informare. Mi spiego meglio. Visto che il Presidente Abu Mazen non ha detto nulla della posizione palestinese con Israele che non sia già arcinoto e che non sia ovviamente di parte (né ci si poteva aspettare altrimenti), credo che la giornalista avrebbe dovuto, a fini informativi, prestare attenzione a tutto ciò che fosse poco chiaro o eventualmente contradditorio nelle dichiarazioni dell'interessato. Perfino a qualche eventuale stranezza lessicale. A cosa può servire, infatti, intervistare un leader politico, che esercita la sua leadership in un regione gravida di conflitti, in cui lui stesso è parte in causa ,come se si trattasse di intervistare il Pontefice in occasione del Natale ? Quanto fin qui osservato non è per niente gratuito. Infatti, quando leggiamo le risposte del Presidente , emergono anche delle affermazioni, che dovrebbero richiamare l'attenzione di un orecchio attento e interessato ad informare, facendo delle ulteriori domande che facciano chiarezza. Faccio solo un paio di esempi. Alla domanda sui rapporti con Siria , Turchia e Iran Abu Mazen glissa sull'Iran (senza nessuna reazione della giornalista) e della Siria dice testuali parole “il Ministro degli Esteri siriano Faisal Mekdad è venuto a congratularsi con me. Non siamo in alcun modo in cattivi rapporti. “ E poco dopo “ non abbiamo problemi con nessuno.” Eppure in una precedente risposta aveva affermato “ ora abbiamo imparato dai nostri fratelli arabi e dalla primavera araba. Le loro proteste pacifiche si sono dimostrate il metodo più efficace per ottenere i propri diritti. “ Quindi le proteste in Siria non fanno parte della primavera araba , anche perché inefficaci, oppure non sarebbero state mai pacifiche? E le migliaia di morti , di scomparsi, di incarcerati, di torturati a cosa sarebbero dovute e di che cosa farebbero parte? Quello che è certo, è che non influiscono minimamente sull'atteggiamento pienamente amichevole del Presidente dell'ANP con il Governo Siriano. Non avrebbe potuto a questo punto la giornalista domandare al Presidente Abu Mazen come egli considera i morti siriani che continuano a crescere tutti i giorni? E come considera gli insorti, se amici o nemici. Del resto, è difficile immaginare che L'ANP sia amica di tutti allo stesso modo , sia di chi spara sia di chi viene ucciso. Magari veniva fuori una notizia e non da poco. E invece la giornalista non ha notato nulla e non era evidentemente curiosa. O forse aveva intenzione di non creare alcuna difficoltà al Presidente palestinese. O se no che cosa? In genere si presume che un giornalista si faccia per primo le domande del lettore e ne cerchi le risposte per scriverle. In questo caso cosa si deve presumere? Secondo esempio. In una risposta su Hamas il Presidente dà una interpretazione dei dissensi del medesimo quanto meno singolare. Riporto testualmente “ E' vero, forse non li abbiamo consultati.” - (forse?)- “Dicono “se tu non ci consulti, siamo contro di te”, ma é assurdo. Capisco il succo delle loro posizioni, ma ne hanno fatto una questione di orgoglio. Rifiutano ogni compromesso con dei pretesti: sostengono che il discorso conteneva contraddizioni, quando invece tutto il mondo ha capito quello che abbiamo detto. E' deprecabile.” Quindi il disaccordo con Hamas sarebbe, secondo la dichiarazione riportata, una questione di mancata consultazione e di orgoglio, per cui i dirigenti di quel Movimento prenderebbero dei pretesti. Ci sarebbe da domandarsi se basterebbe consultarli e soddisfare il loro orgoglio per vederli allo stesso tavolo con l'ANP. Se così fosse, non sarebbe una notizia da approfondire? E non avrebbe potuto la giornalista domandare al Presidente Abu Mazen , perché non aveva consultato i dirigenti di Hamas e cercato di considerare il loro orgoglio, per ottenerne il consenso e la collaborazione? In sostanza, se il Presidente ha detto proprio questo, perché l'intervistatrice é rimasta in silenzio? Quando mai si intervista un politico e gli si lascia dire quello che vuole, senza minimamente rilevare qualche risposta strana e quindi da capire meglio? Oppure non si tratta di questo. E allora di che si tratta ? Forse di una questione di gergo che va capito senza troppe domande, alla maniera dell'ultimo Wittgenstein : non cercate il significato , ma solo l'uso delle parole, in quanto il significato è l'uso? Ma allora non serve nemmeno la presenza in loco del giornalista . E' sufficiente spedire le domande, come si fa con un questionario postale, al domicilio dell'intervistato e poi chi legge l'intervista capirà secondo il suo uso delle parole.
Ringrazio della cortese attenzione. Andrea Cafarelli