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Giorgia Greco
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Haim F. Cipriani, Ascolta la tua voce 03/10/2011

Ascolta la tua voce.                                  Haim F. Cipriani
La donna nella legge ebraica
Giuntina                                                        Euro 14

Qualche giorno fa in Israele quattro allievi ufficiali sono stati espulsi dal corso perché colpevoli di un ammutinamento alquanto singolare. Durante una rappresentazione riservata ai cadetti, nell’istante in cui sul palco è salita una donna - nello specifico una soldatessa - e ha cominciato a cantare, loro hanno lasciato la sala. In un modo non necessariamente plateale, ma sufficiente per mandare su tutte le furie il loro comandante che, trattandosi non di uno spettacolino di lap dance o canti folkloristici ma di una seria commemorazione, aveva ordinato a tutti di restare.

I quattro disertori sono ebrei ortodossi. Molto ortodossi. Secondo un’interpretazione talmudica (non un comandamento, beninteso), ascoltare una donna che canta equivale a vederla nuda, ed è severamente vietato. Almeno a chi ammette tale, indubbiamente ardita, similitudine.

La notizia ha destato scalpore in Israele, dove è scottante il tema della partecipazione dei religiosi alla vita civile, e soprattutto militare, del Paese: gli ultraortodossi, infatti, di solito sono esentati dal servizio militare, e questo privilegio genera malcontento, per non dire risentimento, nella società laica. Ma al di là dell’amenità e del sorriso di sufficienza che questa notizia strappa, insieme a un certo sgomento (chissà che cosa avrà augurato a quei quattro la soldatessa cantante, chissà come si sarà sentita), si tratta di un caso quasi emblematico per una questione cruciale dei nostri tempi, che va ben al di là dei confini d’Israele. Perché questo curioso episodio porta alla ribalta un’evidenza tanto ovvia quanto difficile da digerire. Soprattutto per il sesso forte.

L’ovvietà dimostrata dai quattro cadetti refrattari alle voci di donne è che la questione femminile è una questione femminile (il bisticcio era inevitabile), ma nondimeno una questione maschile: condurre la donna sullo stesso piano dell’uomo, abolire discriminazioni ataviche ed emarginazioni socioreligiose, non è tanto una generosa concessione che il maschio fa o farà nei confronti del sesso debole, bensì una virata culturale che ci riguarda tutti nello stesso modo. Non è, insomma, un dare, un regalare al sesso debole, bensì una diversa taratura dell’umanità in generale, uomini e donne.

Che la faccenda dei diritti delle donne riguardi tanto il femminile quanto il maschile, lo spiega molto bene Haim F. Cipriani nel suo saggio Ascolta la tua voce. La donna nella legge ebraica (Giuntina editrice, pp. 186, € 14). Ancora una volta, l’ambito ebraico risulta un buon terreno di indagine utile per «leggere» anche le altre religioni monoteistiche e le culture dominanti. Al pari del cristianesimo e dell’islam (per quest’ultimo la questione femminile è più che mai all’ordine del giorno), l’ebraismo ha sviluppato un sistema di emarginazione. È pur vero che la donna ebrea ha sempre avuto i suoi spazi - non in sinagoga, ma in casa. Ma non le sono mancati, per contro, limitazioni, ostacoli, divieti. Tanto è vero che nell’agenda dell’ebraismo riformato l’istanza prima è quella di una parità fra i sessi indispensabile per affrontare il presente: e se Haim Cipriani è il primo e al momento unico rabbino italiano riconosciuto membro del collegio rabbinico progressivo europeo, il volto riformista d’Israele ha già una lunga storia in fatto di donne rabbino. La prima ad accedere al ministero fu infatti Regina Jonas, a Berlino nel 1935. Morì ad Auschwitz pochi anni dopo, ma da allora l’ebraismo riformato ha visto una costante presenza femminile sul pulpito e nella casa di studio, abolendo ogni barriera fra i sessi

Ora si tratta di imboccare una di queste due strade: o sondare la tradizione in cerca di quegli spunti capaci di «ritoccare» la concezione della donna e dei sessi. Oppure ammettere che il presente, ma soprattutto il futuro, esigono un affrancamento da quella tradizione che, per questo e altro, resta un vicolo cieco.

È un discorso molto delicato, che in fondo vale per ogni tradizione. Guardando la Bibbia, dobbiamo soffermarci sulle figlie di Zelofad, che esigono e ottengono da Mosè il diritto di avere l’eredità del padre (in assenza di figli maschi), o rassegnarci ad accantonare i passi più «misogini» (in fondo la lapidazione non si pratica più, anche se sta scritta nel testo sacro…).

Qualunque sia la via da intraprendere, è innegabile che oggi come oggi la posizione della donna rappresenti un’infallibile cartina di tornasole per misurare la potenzialità di progresso civile e umano di culture e religioni. Proprio perché non è una faccenda di galanteria - di cui i quattro cadetti israeliani non hanno certo dato grande prova - ma riguarda tanto il fronte femminile quanto quello maschile dell’umanità.

Elena Loewenthal
La Stampa


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