L'intervista di Rachida Dergham ad Abu Mazen pubblicata dalla Stampa del 30/09/2011 e ripresa da IC dello stesso giorno (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=41643) ha suscitato le proteste dei lettori.
Pubblichiamo la lettera di Emanuel Segre Amar a Rachida Dergham e Mario Calabresi. Dalla Stampa, Alberto Simoni ha risposto ad Alberto Levy, che da Israele aveva scritto nello stesso giorno al direttore della Stampa criticando l'intervista.
Ecco le due lettere, la prima di E.Segre Amar, dopo la quale segue la risposta di A.Simoni, con un nostro commento:
Rachida Dergham
Signora Rachida Dergham,
la sua intervista pubblicata oggi su La Stampa ha un difetto che una BUONA intervista, un'intervista fatta per informare, non dovrebbe davvero avere: quello di non aver approfondito le questioni in discussione e di essersi, al contrario, dimostrata piuttosto la cassa di risonanza dell'intervistato.
- "Se si fosse votato in quel momento avremmo avuto un appoggio unanime", ha detto Abu Mazen, e lei, pur conoscendo di sicuro quanto assurda fosse quella parola "unanime", ha preferito riportarla senza contestarla.
- "Senza il riconoscimento delle frontiere del 1967 e senza che gli insediamenti si fermino, non ci siederemo ad alcun tavolo", ha poi aggiunto Abu Mazen. Come mai non gli ha fatto osservare - o non ha, almeno, provveduto a informare il lettore, in margine all'intervista - che le sue "condizioni" sono anche altre? Come mai non gli ha ricordato che quando le costruzioni erano state bloccate per dieci mesi egli aveva atteso oltre nove mesi senza venire al tavolo delle trattative, per poi chiedere un ulteriore stop? Come mai non gli ha ricordato che le linee di cessate il fuoco non sono mai state "confini"?
- "Oggi c'è una PACIFICA resistenza popolare"? Come può pronunciare simili parole proprio lui che addirittura ha scelto di inoltrare le proprie richieste all'ONU tramite la madre di numerosi terroristi condannati ognuno a parecchi ergastoli? E come può, lei, ascoltare simili parole senza ribattere?
Ed infine le chiedo come mai, dopo aver chiesto ad Abu Mazen quale sia il suo rapporto con Iran e Siria, si è accontentata della risposta relativa
alla Siria: la sua deontologia professionale e il suo dovere di informare non avrebbero dovuto suggerirle di insistere nella sua domanda?
Certamente la direzione de La Stampa, quotidiano che negli anni intorno al '67 pubblicava i memorabili articoli di Carlo Casalegno, dovrebbe riflettere a
queste parole che sono in totale contrasto con quanto pubblicato negli anni nei quali avvenivano quegli avvenimenti. La verità deve essere cancellata in
favore del political correct?
Distinti saluti
Emanuel Segre Amar
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Abu Mazen
Nessuno nega che un'intervista ad Abu Mazen potesse essere interessante per i lettori della Stampa. A venire contestate erano le domande. Sembrava che se le fosse poste da solo l'intervistato. Se almeno ci fosse stata un'intervista simile a Bibi Netanyahu, la pagina sarebbe sembrata meno tendenziosa. Simoni scrive che un'intervista del genere non l'avevano. Sarebbe bastato chiederla?
A lasciare perplessi è ciò che Simoni scrive sulle cartine pubblicate insieme all'intervista : " Sulle mappe, è vero che non abbiamo ricordato le guerre. Ci siamo limitati a fotografare la situazione esistente in quel periodo. Chiaro che quella del 1947 è la proposta di Stato arabo avanzata dall’Onu (anche se per un errore non abbiamo aggiunto la parola Onu). Poi è stata una riduzione giornalistica, su un disegno perlopiù, e come tale il margine di imprecisione (non voluta, né tantomeno tendenziosa) non è rasente allo zero ". Sulla Stampa si pubblicano 'approssimazioni con margine di imprecisione non rasente allo zero'. E' questo il modo di fare giornalismo? Lo stesso sistema viene applicato anche alla diffusione delle notizie? Si sceglie di diffondere una dichiarazione, di raccontare un fatto in maniera più o meno approssimata?
Simoni scrive che ciò che ha fatto la Stampa è stato giornalismo, non propaganda. Allora, se giornalismo significa raccontare fatti oggettivi e informare, sarebbe opportuno controllare con più accuratezza le proprie fonti.
Ecco la lettera:
Buongiorno
Ho ricevuto la sua lettera sull’intervista ad Abu Mazen e la sequenza di mappe con cui abbiamo arredato la pagina
Per quanto concerne l’intervista non si tratta assolutamente di sposare una causa, o una linea. Semplicemente l’intervista – in esclusiva per l’Italia – è la prima rilasciata da Abu Mazen dopo il discorso – storico – all’Onu.
Facciamo i cronisti e i giornalisti e riportiamo ciò che secondo il nostro metodo di valutazione è una notizia o quantomeno è qualcosa di utile per approfondire un tema. E l’intervista ad Abu Mazen rientra innegabilmente in questa idea.
Secondo, se avessimo avuto un’intervista con un leader del governo israeliano avremmo volentieri, anzi con gioia, pubblicato pure quella. Se non è uscita è perché non l’abbiamo.
Sulle mappe, è vero che non abbiamo ricordato le guerre. Ci siamo limitati a fotografare la situazione esistente in quel periodo. Chiaro che quella del 1947 è la proposta di Stato arabo avanzata dall’Onu (anche se per un errore non abbiamo aggiunto la parola Onu). Poi è stata una riduzione giornalistica, su un disegno perlopiù, e come tale il margine di imprecisione (non voluta, né tantomeno tendenziosa) non è rasente allo zero
Detto questo, nessuno fa propaganda, ma solo giornalismo, indipendentemente da come la si pensi sul conflitto israelo-palestinese.
Cordialmente
Alberto Simoni
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