Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/09/2011, a pag. 23, l'articolo di Pepe Escobar dal titolo "Saleem, uno scoop di troppo sul Pakistan degli intrighi".
Syed Saleem Shahzad
Syed Saleem Shahzad oggi avrebbe dovuto essere in Italia per parlare di Pakistan. Non c’è perché è stato rapito, torturato e ucciso più di quattro mesi fa, in Pakistan.
Esattamente da chi, nemmeno Giove lo saprà mai. L’attuale «inchiesta ufficiale» non porterà a nulla. Quello che è certo è che non è stata una trama di Al Qaeda o dei jihadisti. I taleban e le tribù non c’entrano, né il mullah Omar né i ribelli islamisti pachistani.
In questo tragico giallo, il sospetto numero uno è l’Isi pachistano, l’Inter-Services Intelligence, lo «Stato nello Stato». Potrebbe essersi trattato di un'operazione di Intelligence che è andata storta, trasformandosi in un assassinio mirato. Ciò che è certo è che l’ordine ha avuto origine nel «sistema», o nelle «agenzie», come si dice comunemente in Pakistan. Saleem stesso lo sapeva, non si stancava di dircelo.
Il motivo è chiarissimo. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, un giornalista pachistano - non uno straniero - scrive che Al Qaeda è infiltrata in profondità all’interno del sistema militare pachistano.
Anni prima che il neologismo «AfPak» fosse inventato dall’amministrazione Obama, Saleem era impegnato nel suo colpo da maestro, la volatile intersezione tra l’Isi, la miriade di fazioni talebane su entrambi i lati dell’AfPak, e ogni sorta di eruzioni jihadiste.
Ad «Asia Times» siamo sempre stati molto protettivi nei confronti di Saleem. Sapevamo che a volte poteva essere manovrato per fini subdoli dai servizi segreti deviati. Sapevamo anche che nessuno al mondo era in grado di rivaleggiare con il suo genere di spiazzanti scoop. Il testamento di Saleem è il suo libro «Dentro Al Qaeda e i taleban: oltre Bin Laden e l’11 settembre», pubblicato solo pochi giorni prima del suo assassinio.
È il diario di un reporter, a volte sconcertante, a volte esasperante ma sempre avvincente da quello che molti in Europa vedono come un cuore di tenebra ma che è in realtà uno dei terreni più affascinanti, in termini sociali, antropologici e perfino geologici di tutto il pianeta.
Nel libro, si apprende, per esempio, come Al Qaeda e i taleban si ricompattarono dopo l’11 settembre. Come Jalaluddin Haqqani - ora promosso al rango di nemico numero uno di Washington nelle aree tribali dopo l’uccisione di Osama bin Laden - non abbia mai cessato di essere un signore della guerra leader dei taleban, e di come l’Isi gli abbia sempre detto che le loro offensive contro di lui erano solo messa in scena.
E poi ci troviamo di fronte alla tesi centrale del libro: come Al Qaeda abbia «clonato» i taleban afghani nei taleban pachistani - da una miriade di gruppi militanti - in modo da poter condurre una rivoluzione islamica in Pakistan attraverso un franchising di Al Qaeda; come dice Saleem, «il primo franchising Al Qaeda nel mondo, popolare localmente e pienamente supportato dalle tribù». Anche dopo il suo assassinio, è come se il fantasma di Saleem aleggiasse su tutto il Pakistan. In questi ultimi mesi, la sua morte è stata lentamente strumentalizzata dal Dipartimento di Stato Usa, dalla Cia e dal Pentagono.
Washington ora incolpa direttamente il suo alleato di Islamabad di combattere una guerra per procura attraverso l’Isi e la rete di Haqqani. A tutti gli effetti, una guerra a bassa intensità tra Stati Uniti e Pakistan è in atto. Si spargerà del sangue. I droni possono attaccare le zone tribali senza sosta. Ci saranno repliche del raid contro Bin Laden nel cuore della notte, o variazioni del «bombardamento strategico». I taleban pachistani si vendicheranno. Le forze Usa/Nato potrebbero anche, di fatto, attraversare la frontiera e invadere il territorio pachistano.
È come se Saleem avesse già scritto la sceneggiatura di questo confronto.
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