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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.09.2011 Il Medio Oriente spiegato a suon di menzogne omissive
la tecnica preferita da Sergio Romano

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 settembre 2011
Pagina: 53
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Gerusalemme nell'ottocento capitale di tre religioni»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/09/2011, a pag. 53, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " Gerusalemme nell'ottocento capitale di tre religioni ".


Sergio Romano

Sergio Romano scrive, riguardo alla presenza ebraica a Gerusalemme : "nel 1870 il numero degli ebrei era eguale alla somma degli altri". Un modo piuttosto contorto per concordare con lettore quando sostiene che nel 1867, a Gerusalemme, gli ebrei erano la maggioranza.
Romano conclude con queste parole la sua risposta : "
Accetto volentieri la sua osservazione sulle diverse dimensioni della Palestina ottomana, più vasta perché comprensiva anche dei territori divenuti parte del regno di Transgiordania. Si tratta soprattutto della Cisgiordania, oggi occupata da Israele e sede ormai, a quanto pare, di circa 400.000 coloni israeliani. Una ragione di più per ricordare che Israele, se davvero vuole stabilire un migliore rapporto demografico con la popolazione araba, dovrebbe ritirarsi al di là dei confini del 1967.". Sergio Romano liquida in poche righe la dichiarazione Balfour, secondo la quale tutto il mandato di Palestina sarebbe dovuto diventare Stato ebraico, cosa che poi non è successa, dato che gran parte del mandato è stato smembrato ed è diventato parte di altri Stati, come la Giordania. E' la solita tecnica della menzogna omissiva, tanto cara a Sergio Romano che, per non perdere l'abitudine, attacca Israele. Ma, come al solito, manca qualcosa. Per esempio non c'è traccia, nella risposta, del rifiuto arabo di riconoscere Israele e del rifiuto dello Stato palestinese, nè del terrorismo palestinese. I confini del'67 che Romano suggerisce a Israele sono indifendibili, per questo è impossibile accettarli.
Ecco lettera e risposta:

In una risposta lei ha fatto un po' la storia della presenza ebraica in Palestina. Già nel 1867 la popolazione ebraica di Gerusalemme era superiore alla musulmana. Gli ebrei erano una minoranza oppressa, ma sempre presente in quanto rimasta nel proprio Paese anche dopo la vittoria di Tito e la repressione di Adriano. Inoltre ai tempi dell'impero ottomano la Palestina era molto più estesa includendo parte della Siria e del Libano: è stata ridotta quando è stata creata la Giordania che avrebbe dovuto essere lo Stato palestinese.

G. Luccardi
gluccardi@hotmail.com

Caro Luccardi,

L a data da lei indicata è molto interessante. Secondo ricostruzioni statistiche pubblicate da Karen Armstrong in un libro apparso in Italia presso Mondadori nel 1996 («Gerusalemme. Storia di una città tra ebraismo, cristianesimo e Islam»), gli ebrei, nel 1800, erano soltanto 2.000, contro 4.000 musulmani e 2.750 cristiani. Quarant'anni dopo, nel 1840, erano ancora soltanto 3.000, ma divennero 6.000 nel 1850, 8.000 nel 1860, 11.000 nel 1870. Nel 1840, '50 e '60, il loro numero era inferiore alla somma dei fedeli della altre due grandi religioni monoteiste (cristiani e musulmani); nel 1870 il numero degli ebrei era eguale alla somma degli altri.

Ma il fenomeno, in quegli anni, non era ancora il segno di un crescente patriottismo sionista. Era legato alla modernizzazione della città, alla crescita demografica della comunità ebraica, all'apparizione in Palestina di alcuni grandi mecenati ebrei (Moses Montefiore, la famiglia Rothschild) che finanziarono ospedali, scuole, fattorie agricole, piccole aziende. Un ruolo, paradossalmente, lo ebbe persino il proselitismo delle organizzazioni protestanti. Gli ebrei aumentavano anche e soprattutto perché Gerusalemme divenne allora una specie di agorà religiosa in cui ciascuno dei tre grandi monoteismi proclamava la propria verità, valorizzava i propri luoghi santi, inaugurava scuole per la formazione dei propri sacerdoti e fedeli, favoriva una piccola immigrazione, soprattutto religiosa, e il benessere di quella esistente.

Le grandi potenze, intanto, usavano le comunità religiose per promuovere le loro strategie politiche e giustificare le loro ambizioni regionali. La Russia proteggeva gli ortodossi, la Francia del secondo Impero proteggeva i cattolici e la Gran Bretagna cercava di assumere la tutela degli ebrei. Il governo di Londra sfruttava in tal modo i sentimenti filogiudaici di quei protestanti non anglicani che avevano, come scrive Karen Armstrong, un «vecchio sogno millenaristico»: «San Paolo aveva profetizzato che tutti gli ebrei si sarebbero convertiti al cristianesimo prima del secondo Avvento e un numero crescente di cittadini britannici si sentiva in dovere di portare a compimento la profezia e di rimuovere ogni ostacolo alla Redenzione finale». Vi furono effettivamente alcune conversioni di ebrei al protestantesimo che ebbero l'effetto, come era prevedibile, d'incoraggiare la comunità ebraica a dare maggiori prove di solidarietà con iniziative che erano al tempo religiose ed economiche. Debbo confermare quindi, caro Luccardi, che gli insediamenti ebraici di quegli anni erano, come quelli arabi e cristiani, presidi religiosi, non avanguardie politiche. In Palestina i venti del nazionalismo cominciano a soffiare negli anni seguenti.

Accetto volentieri la sua osservazione sulle diverse dimensioni della Palestina ottomana, più vasta perché comprensiva anche dei territori divenuti parte del regno di Transgiordania. Si tratta soprattutto della Cisgiordania, oggi occupata da Israele e sede ormai, a quanto pare, di circa 400.000 coloni israeliani. Una ragione di più per ricordare che Israele, se davvero vuole stabilire un migliore rapporto demografico con la popolazione araba, dovrebbe ritirarsi al di là dei confini del 1967.

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