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La Stampa Rassegna Stampa
25.09.2011 Abu Mazen dice no alla ripresa dei negoziati
La notizia del giorno è una NON notizia. Ecco perchè

Testata: La Stampa
Data: 25 settembre 2011
Pagina: 16
Autore: Paolo Mastrolilli-Francesca Paci
Titolo: «Abu Mazen boccia il piano del Quartetto-Da Raiss-burocrate a nuovo eroe popolare»

La notizia del giorno di oggi, 25/09/2011, è in realtà una NON notizia, perchè non compare su nessun giornale, fatta eccezione per l'articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato oggi sul GIORNALE e che riprendiamo in altra pagina, un ritratto esemplare del 'gran bugiardo', come Nirenstein ha definito il presidente dell'Anp.
L'unica eccezione è a pag.16 della STAMPA, in un articolo di Paolo Mastrolilli da New York, con il titolo " Abu Mazen boccia il piano del Quartetto ", sotto il quale vi è un catenaccio con scritto:
" i palestinesi: no alla ripresa dei negoziati "
Fiamma Nirenstein lo spiega bene, ma vale la pena ripeterlo, siamo stati inondati dal pacifismo di Abu Mazen, chissà quanti l'avranno creduto sincero. Invece no, è come noi abbiamo sempre scritto, a lui - e ai palestinesi - non interessa per niente negoziare la pace, lui vuole lo Stato per decreto Onu, non gli importa nulla che ci sia uno Stato, Israele, che qualcosa avrà pure da dire.
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Ricordiamo oggi su IC il commento di Ugo Volli, un ritratto di Israele la cui lettura è come una ricarica di ottimismo/realismo. Sia il pezzo di Volli che quello di Nirenstein meritavano la Home Page. Ma la NON notizia, perchè censurata da quasi tutti i giornali, era troppo significativa per IC. Per questo motivo è in prima pagina oggi.

Dopo il pezzo di Mastrolilli, riprendiamo, per dovere di cronaca, quello di Francesca Paci, stessa pagina sulla STAMPA, un insieme di lodi tributate all' eroe popolare, come la Paci lo definisce. Perchè ? Così lo spiega Paci: "  si è dimostrato un nuovo Arafat ". Annamo bbene !

Paolo Mastrollilli: " Abu Mazen boccia il piano del Quartetto "

Ma non ha funzionato...

Il leader palestinese Abu Mazen prende le distanze dalla proposta del Quartetto di riavviare i negoziati, mentre chiede che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu agisca nel giro di qualche settimana sulla richiesta di riconoscimento. Ieri Abu Mazen ha detto che sta studiando la dichiarazione di Usa, Ue, Onu e Russia, che invita israeliani e palestinesi a riprendere i negoziati entro un mese, per trovare l’accordo entro la fine del 2012. Poi però ha aggiunto che «noi non discuteremo alcuna proposta che non domandi lo stop degli insediamenti e l’avvio di trattative basate sui confini del 1967». Il testo pubblicato venerdì dal Quartetto non contiene queste condizioni, e quindi al momento è difficile che ci siano progressi. Un alto funzionario del dipartimento di Stato ha dichiarato che la proposta di pace del Quartetto è stata modellata sul piano avanzato a maggio dal presidente Obama, dopo che era divenuta chiara l’impossibilità di convincere i palestinesi a rinunciare al riconoscimento. La verità però è che Obama ha le mani legate dalle elezioni, che gli impediscono di premere su Israele per non perdere il voto ebraico. L’accordo entro il 2012 è una speranza, più che un obiettivo realistico, anche perché coinciderebbe con il calendario elettorale americano.

Fonti palestinesi all’Onu dicono che la ripresa dei negoziati non contraddice la richiesta di riconoscimento, che può andare avanti sul suo binario, anche se la scadenza di un mese data dal Quartetto per ricominciare le trattative sembra fatta apposta per coincidere con i tempi di cui avrà bisogno il Consiglio per avviare la procedura. Domani il Consiglio, presieduto dal Libano, comincerà le consultazioni, ma se nel frattempo il negoziato riprendesse, la pratica potrebbe essere accantonata. Ieri, però, il dirigente di Fatah Azzam al Ahmad ha detto che i palestinesi aspetteranno al massimo due settimane e poi si rivolgeranno all’Assemblea Generale per domandare di elevare il loro status a quello di Stato osservatore. Non membri a tutti gli effetti, ma la vittoria in Assemblea sarebbe sicura e consentirebbe ai palestinesi di accedere ad organismi come la Corte penale internazionale, dove potrebbero denunciare l’occupazione israeliana.

In queste ore, quindi, continua la corsa ai voti nel Consiglio. E’ una corsa fittizia, perché se anche i palestinesi ottenessero i nove sì necessari, gli Usa bloccherebbero tutto col veto: costringere Obama ad usarlo, però, sarebbe una vittoria politica importante. Nove membri del Consiglio, Russia, Cina, India, Libano, Sudafrica, Brasile, Gabon, Nigeria e Bosnia hanno già riconosciuto la Palestina, ma non tutti sono sicuri di votare in favore della richiesta di Abu Mazen. Il ministro degli Esteri Riad al-Maliki ha detto che gli sforzi ora si concentrano soprattutto su Gabon, Nigeria e Bosnia.

Francesca Paci: " Da Raiss-burocrate a nuovo eroe popolare "

C’ è l’America che metterà il veto, d’accordo. La vita reale dei palestinesi non cambierà, Israele continuerà a privilegiare la propria sicurezza sul diritto dei vicini di casa e il mondo tornerà presto a discutere d’economia. Tutto vero. Eppure il day after del discorso all’Onu è il trionfo di Abu Mazen, l’amico ritrovato, il burocrate di Fatah restio a presentarsi in pubblico con la kefiah a costo di passare tra i suoi per «pupazzo» dell’Occidente, Mr «Yes, sir» che stavolta ha messo in scacco con una mossa Netanyahu, Washington e l’arcinemico Hamas.

«Non ci avremo guadagnato ma lo sconfitto oggi è Hamas», afferma Victor Batarseh, sindaco cristiano di quella Betlemme consegnatasi alle ultime elezioni nelle mani del partito islamico. Racconta di un fiume di gente pacifica scesa in strada dopo aver sentito in tv le parole del «raiss»: «Abu Mazen aveva un consenso minimo. Invece si è espresso in modo costruttivo e ha entusiasmato, se tornassimo a votare Hamas non vincerebbe più». Certo, due suoi concittadini sono stati feriti ieri dai soldati israeliani, prova della tensione ancora alta. Ma in barba ai pronostici gli incidenti sono stati pochi e la parola d’ordine palestinese resta «soft power».

«Per capire a fondo bisogna osservare le manifestazioni di questi giorni, un clima da prima e non da seconda intifada indifferente alla tentazione delle armi», osserva Abdel-Naser Najjar, docente di media all’università di Birzeit, a Ramallah. I sondaggi rivelano che la popolarità in ascesa del presidente Abu Mazen è inversamente proporzionale a quella di Hamas e i suoi studenti lo confermano: «In aula discutiamo, Hamas aveva scommesso erroneamente sull’indifferenza palestinese alla sfida di Abu Mazen che invece si è dimostrato un nuovo Arafat».

Sebbene l’illusione non abiti più da tempo in Terra Santa, è nelle roccaforti religiose che s’intuisce il cambiamento del vento. «Il pugno di ferro di Hamas ci ha forse liberato da Israele, come speravamo? Abu Mazen invece ha portato la nostra bandiera all’Onu e per un’ora, davanti al mondo, siamo stati fieri di essere un popolo», spiega da Hebron lo studente di legge Khalil Hauriri. Il paradosso è che oggi, nella sua città, a masticare amaro il successo del presidente palestinese sono solo gli uomini di Hamas e «i loro avversari speculari», alias gli 800 coloni irriducibili che vivono asserragliati a ridosso della tomba dei patriarchi.

Il futuro è cupo, ammonisce lo storico palestinese Shafiq Kanani: «Nonostante la gloria dubito che Abu Mazen si sia rafforzato, i problemi restano, a cominciare dalla divisione tra Hamas e Fatah».

Tanto rumore per una mera vittoria di Pirro? E’ possibile. Intanto però, ammette il professor Hussein K., Abu Mazen passa all’incasso anche a Gaza: «Politicamente Hamas mastica amaro, tanto che qui da noi nessuno è potuto andare in piazza a festeggiare. Eppure so che anche tra i suoi membri c’è stato chi si è emozionato...».

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