Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/09/2011, a pag. 61, la risposta ad un lettore di Sergio Romano dal titolo "La Turchia di Erdogan, il ritorno di una potenza".
Sergio Romano, Recep Erdogan, Mustafà Kemal Ataturk
Non entriamo nel merito dell'analisi dei rapporti fra Turchia e Israele di Sergio Romano se non per una frase : " La vittoria del partito di Erdogan non ha oscurato, almeno per ora, l'eredità laica di Kemal ". Nulla di più lontano dalla realtà. Il piano di islamizzazione di Erdogan ha funzionato, l'eredità laica kemalista è stata completamente spazzata via, 'grazie' alle limitazioni che Erdogan ha fatto al potere dei militari, unici garanti della laicità dello Stato. Si aggiunga l'imposizione del velo a tutte le donne che lavorano nel settore pubblico, con il licenziamento se si oppongono.
Ecco lettera e risposta:
Il tour di Recep Erdogan tra le capitali della «Primavera araba» ha suggellato plasticamente le ambizioni neo-ottomane della sua nuova Turchia demo-
islamica. E tuttavia, la differenza fondamentale rispetto all'Impero Ottomano del passato, di cui lo storico Franco Cardini sottolinea il feeling secolare con il mondo ebraico, risiede proprio nel diverso atteggiamento assunto da Ankara nei confronti di ciò che una volta era il sionismo — alleato della Turchia in funzione antirussa nella Grande Guerra — e che dal 1948 in poi ha assunto le forme dello Stato di Israele, fino a non molto tempo fa partner privilegiato delle sfere militari turche. Quanto di questa «rivoluzione copernicana» impressa alla politica estera da Erdogan risponde a motivi contingenti (in primis l'aggressione israeliana alla Freedom Flotilla) e quanto, invece, deriva da una precisa visione strategica e ideale?
Emanuele Ciabattini
emanuelekarol@yahoo.it
Caro Ciabattini,
N on credo che la Turchia possa essere considerata «uno storico alleato del sionismo». Il documento che maggiormente contribuì alla legittimità internazionale del movimento sionista fu la «dichiarazione di Balfour», dal nome del ministro degli Esteri britannico, che prometteva una home (da noi la parola fu tradotta «focolare») agli ebrei desiderosi d'installarsi in Palestina. Quella dichiarazione fu firmata durante la Grande guerra, nel novembre del 1917, ed è per molti aspetti l'esatto parallelo delle offerte che la Gran Bretagna aveva fatto alle aspirazioni indipendentiste delle province arabe governate dall'Impero ottomano: due politiche difficilmente compatibili, ma utili, in quel momento, per allargare in Medio Oriente il fronte anti-turco.
L'alleanza turco-israeliana degli ultimi decenni ha altre motivazioni. La Stato laico creato da Kemal Atatürk non vedeva di buon grado il nazionalismo e il panarabismo di Nasser e dei suoi imitatori. Diffidava delle politiche nazionali ispirate dalla comune appartenenza alla fede musulmana. Sentiva sulle sue frontiere orientali il peso minaccioso della presenza sovietica. Considerava gli Stati Uniti la sola potenza capace di garantire la sua sicurezza. Vedeva in Israele un partner utile sul piano economico (un intercambio, recentemente, pari a tre miliardi e mezzo di dollari) e soprattutto su quello della collaborazione militare.
La situazione oggi è alquanto diversa. L'Urss ha cessato di esistere, la guerra fredda è finita, il vecchio spazio sovietico intorno alla Turchia è popolato da Stati minori con cui il governo di Ankara può avere utili rapporti soprattutto, ma non solo, nel campo energetico. La vittoria del partito di Erdogan non ha oscurato, almeno per ora, l'eredità laica di Kemal, ma ha restituito al Paese una identità islamica che può essere molto utile alla sua politica estera in Medio Oriente, nel Caucaso e nella penisola balcanica. In una piccola opera collettiva dedicata alla Turchia e pubblicata dall'editrice Vox Populi di Trento, il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu non ha esitato a scrivere che il «fondamento dell'azione politica della Turchia nei Balcani sono le comunità musulmane, eredità dell'epoca ottomana». Questo significa che la nuova Turchia vuole essere in sintonia con le aspirazioni delle società arabe e islamiche. Mi sembra che queste considerazioni bastino a spiegare perché la Turchia difenda i palestinesi di Gaza e consideri i suoi rapporti con Israele molto meno importanti del ruolo che intende avere nel grande Medio Oriente.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante