Cambio della guardia alla frontiera tra Libano e Israele. L'incarico torna all'Italia ? Ecco una breve cronaca di Maurizio Molinari sulla STAMPA di oggi, 22/09/2011, a pag.16, seguita dal commento di Vittorio Emanuele Parsi, a pag.37, sullo stesso quotidiano, preceduto da un nostro commento.
Maurizio Molinari: " L'Italia prenda la guida dei caschi blu in Libano"
Le Nazioni Unite hanno recapitato all’Italia la richiesta di assumere la guida del contingente dei caschi blu schierato nel Libano del Sud dall’indomani del conflitto che oppose Israele ed Hezbollah nell’estate del 2006. Al momento il comando del contingente è della Spagna, che ha in campo 1100 uomini, ma Madrid non ha intenzione di chiedere un rinnovo mentre la Francia, che vanta il numero di truppe più numeroso con oltre 2000 unità, preferisce evitare la guida delle operazioni in una nazione che è stata una sua ex colonia. Da qui la richiesta recapitata al governo di Roma nonostante la dichiarata intenzione dell’Italia di ridurre le proprie truppe in Libano da 1800 a 1100 uomini. Proprio l’Italia d’altra parte guidava la missione dei caschi blu prima della Spagna. Fonti diplomatiche al Palazzo di Vetro assicurano che Ban Ki-moon «spera di ricevere un assenso italiano in tempi stretti».
Vittorio Emanuele Parsi: " Libano, una chance per l'Italia "
Vittorio Emanuele Parsi
Scrive Parsi che "Hezbollah è diventato il principale azionista del nuovo esecutivo libanese", forse era più chiaro se scriveva che il movimento terrorista Hezbollah, così definito non da noi ma da Onu e UE, è il vero padrone del Libano, così avrebbe aiutato i lettori a farsi un'idea più chiara dei problemi che Israele ha con il confinante Libano. Scrive poi, equiparando la democrazia israeliana con il regime libanese "il perdurante controllo politico esercitato da Hezbollah sull’area, il non smantellamento della sua struttura militare e le provocazioni israeliane (i jet di Tel Aviv sorvolano spesso i cieli di Beirut). ", dove l'arsenale di armi nelle mani di Hezbollah diventa un 'non smantellamento della sua struttura militare', mentre i controlli di Israele al confine diventano 'provocazioni'. Con quel Tel Aviv che Parsi potrebbe evitare di scrivere, se proprio Gerusalemme non gli va, scriva almeno Israele.
Potrebbero ricordarglielo, con parole gentili ma ferme, i nostri lettori, rivolgendosi direttamente a Mario Calabresi, direttore de La Stampa:
direttore@lastampa.it.
Ecco l'articolo:
La proposta che l’Onu avrebbe avanzato al governo italiano di tornare ad assumere il comando complessivo dell’operazione Unifil 2 è senza dubbio una notizia positiva. In tempi in cui lo standing internazionale dell’Italia è messo a rischio dagli scandali nostrani, dalle risse continue tra poteri dello Stato e persino dal declassamento del nostro debito sovrano, si tratta di un autorevole riconoscimento alla professionalità e alle capacità dei nostri militari, che contribuisce a nutrire quel sentimento di fiducia nel futuro del Paese senza il quale, come ricorda di continuo il presidente Napolitano, è impossibile coltivare anche solo la speranza di qualunque «riscossa». Cionondimeno, non è per nulla detto che l’offerta venga accettata, se solo ricordiamo che proprio dall’interno della maggioranza (sponda padana) sono arrivate numerose critiche circa l’opportunità di proseguire tout court nella partecipazione a una missione partita nell’agosto 2006. Fu proprio la disponibilità mostrata da Italia e Francia a consentire il varo e la concreta attuazione della Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza, relativa al dispiegamento tra Israele e Libano, di una forza di interposizione, il cui compito fosse anche quello si assistere le autorità libanesi (su loro espressa richiesta) nello sforzo di riaffermare la sovranità nazionale in una zona da decenni sottratta al controllo del governo di Beirut, a causa delle ripetute invasioni israeliane (l’ultima risalente all’agosto 2006, appunto) e per il potere esercitato localmente da movimenti politico-militari di diversa natura (prima le formazioni palestinesi dell’Olp di Arafat, poi i movimenti sciiti di Amal e Hezbollah).
In cinque anni il quadro nazionale e regionale è decisamente cambiato: Hezbollah è diventato il principale azionista del nuovo esecutivo libanese, la Siria è scossa da una rivolta che dura da sette mesi, il vento delle rivoluzioni arabe soffia impetuoso dal Maghreb al Levante. La sola condizione immutata è la tensione tra Israele e i suoi vicini, che semmai si è accresciuta, stante il peggioramento sostanziale dei rapporti tra Tel Aviv e gli ex (tiepidi) alleati di Egitto e Turchia.
Ma, allora, serve ancora stare lì? In termini di prestigio nazionale, tanto più in momenti come questi, la risposta l’ho fornita all’inizio. L’obiezione finanziaria non sta in piedi. Che le missioni internazionali costino è indubbio, ma è arcinoto che solo grazie al budget stanziato per loro viene ormai realizzata gran parte della necessaria attività addestrativa senza la quale le Forze Armate diventerebbero inservibili. Venendo al contributo alla stabilizzazione dell’area, dal dispiegamento di Unifil 2 non si sono registrati incidenti maggiori sul confine libanese, nonostante il perdurante controllo politico esercitato da Hezbollah sull’area, il non smantellamento della sua struttura militare e le provocazioni israeliane (i jet di Tel Aviv sorvolano spesso i cieli di Beirut). E però, la principale ragione della presenza di Unifil 2 oggi è un’altra e risiede nel contributo che essa fornisce ad impedire che chiunque abbia interesse a scatenare un conflitto regionale pur di chiudere l’esperienza della Primavera araba possa farlo «a prezzi di saldo» sfruttando quel tradizionale focolaio di tensione. È una ragione politica che formalmente «eccede» i limiti del mandato, ma che appare di importanza cruciale. Sarebbe incomprensibile che mentre il Mediterraneo diventa sempre più un’area critica, l’Italia si sfilasse. E allora, se restare è necessario, molto meglio farlo «in comando».
Tanto più che la Francia (molto esposta nelle critiche al regime di Assad e poco amata dal nuovo governo libanese) e la Spagna (ormai rinunciataria a qualunque ruolo internazionale) si sono tirate indietro, con il risultato che l’Italia è l’unico grande Paese rimasto a rappresentare l’impegno dell’Europa per la stabilizzazione del Levante.
Per inviare alla Stampa la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.