Sul CORRIERE della SERA di oggi, 21/09/2011, Sergio Romano, non essendo in grado di rispondere alla lettera del lettore Fauso Gnesotto, anche perchè i ragionamenti del lettore sono inoppugnabili, svicola e tira in ballo i tribunali rabbinici, che c'entrano come i cavoli a merenda. Essi infatti non sostistuiscono alcun tribunale, nè civile nè penale, avendo una funzione del tutto interna a questioni che riguardano la comunità ebraica.
Una ennesima dimostrazione della disinformazione nei confronti dei lettori del quotidiano milanese.
Sergio Romano
La sua risposta sul multiculturalismo (Corriere, 8 settembre) mi è sembrata un po' elusiva del vero nocciolo della questione. Il problema del multiculturalismo infatti non sta nel come concedere spazi a nuove culture sociali e religiose (fattore di semplice multietnicità), aperture ammissibili e anzi auspicabili in un regime liberale e democratico quale quello occidentale; bensì nell'opportunità o meno di ammettere la proliferazione di «isole» di cultura giuridica o politica divergenti (il vero multiculturalismo), imposte da ospiti che non intendono adeguarsi alle norme degli ospitanti, norme storicamente formulate in loco sulla base di regole democratiche e maggioritarie; e ciò col rischio che i nuovi venuti si chiudano in gruppi autoreferenziali, ossia in ghetti, coercitivi all'interno e pericolosi all'esterno. In sostanza, una società può esprimere molti punti di vista, ma uno Stato deve fondarsi su un solo diritto; e, se democratico, sulle leggi proposte dalla cultura della maggioranza della sua popolazione in quel dato momento storico, cui tutti i presenti devono attenersi, anche gli ospiti o i nuovi cittadini.
Fausto Gnesotto
fausto.gnesotto@alice.it
Caro Gnesotto,
P er le comunità ebraiche della Gran Bretagna e degli Stati Uniti esiste un Beth Din (casa del giudizio) a cui vengono sottoposte controversie religiose, finanziarie e commerciali, conflitti del lavoro, litigi contrattuali, questioni di proprietà e di famiglia. Sono corti arbitrali, costituite da uno o più rabbini, che in Gran Bretagna risalgono all'epoca di Cromwell, quando agli ebrei venne nuovamente consentito di risiedere in Inghilterra. Fu questa la ragione per cui l'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, in una contestata allocuzione del 2008, disse di ritenere che il diritto britannico avrebbe dovuto inevitabilmente incorporare alcuni elementi delle legge coranica (Sharia). Se gli ebrei possono godere da tempo di una giurisdizione speciale, sosteneva implicitamente Williams, non si comprende perché i musulmani, molto più numerosi, non debbano avere gli stessi diritti.
In realtà esistono già in Gran Bretagna cinque succursali del Muslim Arbitration Tribunal (tribunale arbitrale musulmano). Sono a Londra, Manchester, Bradford, Birmingham, Nuneaton e funzionano sulla base di una legge, l'Arbitration Act del 1999. Le questioni trattate sono generalmente finanziarie o familiari e divengono valide se approvate da un tribunale nazionale. Ma negli ultimi anni questi tribunali coranici si sarebbero diffusi sull'intero territorio britannico e sarebbero, secondo il Daily Mail, non meno di 85. Si teme che le loro decisioni, anziché passare al vaglio di un tribunale civile del Regno Unito, vengano imposte dalle pressioni della comunità alla parte più debole della controversia e che le persone maggiormente esposte a questo rischio, soprattutto per le questioni di famiglia, siano le donne. Il governo conservatore di David Cameron è molto meno aperto di quello laburista a questa forma di multiculturalismo giudiziario. Ma neppure i conservatori, probabilmente, vorranno rimettere in discussione la prassi dell'arbitrato, vale a dire una forma di sussidiarietà che rientra fra i principi dell'Unione europea. Il problema può essere risolto soltanto con una chiara distinzione fra le questioni che concernono i principi fondamentali della cultura giuridica nazionale e quelle che possono essere pragmaticamente lasciate alle consuetudini e alle tradizioni di una comunità distinta da particolari caratteristiche culturali e religiose. Ma bisognerà garantire sempre alla parte soccombente il diritto di ricorrere contro il lodo arbitrale di fronte a un tribunale dello Stato.
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