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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.09.2011 Sergio Romano intervista Amr Moussa
ma dimentica di scrivere che nella costituzione egiziana è già prevista la sharia

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 settembre 2011
Pagina: 23
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Amr Moussa: 'Inserire gli islamici nel processo democratico egiziano'»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 20/09/2011, a pag.23, con il titolo "Amr Moussa: 'Inserire gli islamici nel processo democratico egiziano' ", Sergio Romano riporta il colloquio con Amr Moussa.  Romano non contraddice il proprio stile, tra le molte domande poste, una è saltata, come mai non fa cenno al fatto che la nuova costituzione, redatta dal Consiglio Supremo Militare, prevede l'instaurazione della sharia ? Sarebbe bastata questa citazione per mandare all'aria tutte le affermazioni "moderate" del candidato alla presidenza Amr Moussa. Ma Romano si è ben guardato dal fargliela.

Sergio Romano     Amr Moussa

In una sera di settembre di due anni fa, mentre pranzavo a Cernobbio con Amr Moussa, allora segretario generale della Lega Araba, e Moisés Naím, in quel momento direttore della rivista americana Foreign Policy, il primo disse sorridendo che il suo cognome era una versione araba di Mosè e che a quella tavola, quindi, i Mosé erano due. Se i nomi fossero davvero presagi, come afferma un detto latino, il Mosè egiziano, fra qualche mese, potrebbe essere chiamato a guidare il suo popolo, dopo la caduta del faraone Mubarak, attraverso il Mar Rosso della crisi verso una nuova repubblica, alquanto diversa da quella che Gamal Abdel Nasser aveva fondato nel giugno 1953. Non conosciamo né la data delle elezioni presidenziali, né il nome di tutti coloro che saranno candidati, ma sappiamo che i due maggiori saranno Amr Moussa e Mohammed ElBaradei. Ambedue vengono da lunghe esperienze internazionali. Il primo è stato diplomatico, ministro degli Esteri dal 1991 al 2001 e segretario generale della Lega Araba dal giugno del 2001 al giugno del 2011. Il secondo è stato direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica e Premio Nobel per la pace nel 2005. Il primo ha assistito alle prime manifestazioni del Cairo da un palazzo della Lega che si affaccia su piazza Tahrir ed è sceso fra i dimostranti, dopo qualche giorno, per segnalare la sua simpatia per folla. Il secondo è molto noto per avere cercato di evitare la guerra americana in Iraq, è rientrato in patria dall'estero dopo l'inizio delle manifestazioni e ha usato anch'egli la piazza come una sorta di passerella politica. Ma dei due quello che sembra avere maggiori possibilità di successo è Moussa. Piace agli americani, ma anche ai palestinesi (di cui ha sempre difeso la causa) e ha il merito, per la Francia e la Gran Bretagna, di avere pilotato la Lega Araba nei giorni in cui l'organizzazione ha approvato la creazione di una zona d'interdizione aerea nei cieli della Libia, vale a dire la misura che ha spianato la strada all'intervento militare. Di questi avvenimenti e soprattutto di ciò che accadrà al Cairo nei prossimi mesi ho parlato a lungo con Moussa di fronte al Lago di Como durante il Forum Ambrosetti di Villa d'Este.
Gli ho detto che durante un viaggio al Cairo, prima dell'estate, ho avuto una serie di conversazioni in cui il tema era sempre il calendario della transizione, vale a dire la sequenza degli avvenimenti che dovrebbero scandire la vita politica egiziana nei prossimi mesi: elezioni parlamentari, elezione del presidente della Repubblica, formazione dell'Assemblea costituente, approvazione della costituzione con un referendum popolare. Molte delle persone con cui ho parlato non vorrebbero cominciare dalle elezioni parlamentari perché ritengono che i partiti democratici nati negli scorsi mesi non siano ancora pronti ad affrontare una prova elettorale e temono che una buona parte dei voti andrebbe in tal caso alla Fratellanza musulmana. Amr Moussa è d'accordo ma osserva che i nuovi partiti si muovono con troppa lentezza e che la scadenza elettorale li costringerebbe ad organizzarsi più rapidamente. Quanto alla Fratellanza, Moussa è d'accordo. Sarebbero i Fratelli, probabilmente, a trarre maggiore vantaggio da una elezione indetta prima della fine dell'anno. Ma il rinvio delle elezioni potrebbe avere l'effetto di congelare una situazione che dovrebbe essere invece temporanea. E' meglio quindi votare in novembre per il Parlamento e successivamente per il presidente.
Ma non sarebbe giusto, gli chiedo, eleggere il capo dello Stato dopo l'approvazione di una nuova costituzione? Mi risponde che esiste già una dichiarazione sui principi costituzionali della nuova repubblica. E' stata emanata dal Consiglio militare negli scorsi mesi e basterebbe integrarla con poche clausole, una delle quali dovrebbe consentire al presidente soltanto due mandati. Ciò che maggiormente conta, a suo avviso, è fare un altro passo, il più rapidamente possibile, verso la normalizzazione della situazione del Paese. Non nasconde di essere personalmente favorevole a un sistema presidenziale di tipo francese, il più adatto, secondo lui, alle esigenze dell'Egitto.
Gli dico che nel corso del mio viaggio al Cairo, parlando con un esponente della Fratellanza musulmana ho avuto l'impressione che i Fratelli vogliano vincere senza fare troppo baccano e suscitare troppo preoccupazioni. Dichiarano di non volere la maggioranza dell'Assemblea parlamentare, ma riconoscono al tempo stesso d'essere pronti a sostenere candidati amici, di orientamento non ostile ai principi di cui sono i difensori. Vincerebbero, insomma, senza dare l'impressione di avere vinto. Aggiungo che, secondo alcuni dei miei interlocutori egiziani, i militari e la Fratellanza starebbero per concludere una sorta di compromesso storico. Il Consiglio militare vuole continuare a godere dei diritti conquistati negli ultimi decenni, ma non intende esercitare il potere in prima persona ed è alla ricerca di una forza politica con cui concludere un patto di convivenza. Moussa dice di avere registrato le stesse voci, ma preferisce ricordare che la Fratellanza esiste, è bene organizzata, gode di un certo seguito nel Paese, e che non vi è altra soluzione, a suo avviso, fuor che quella di inserirla nel processo democratico dandole lo spazio a cui ha diritto. Non è tutto. Pensa anche che l'elezione del presidente della Repubblica creerà nel Paese un polo di potere civile. Con chi dovrebbe parlare l'Unione europea, quando vorrà parlare con l'Egitto, se non con il presidente della Repubblica egiziana?
Molte di queste considerazioni appartengono naturalmente alla strategia di un uomo politico che è stato rappresentante del suo Paese all'Onu, ministro degli Esteri per un decennio, segretario generale della Lega Araba per un altro decennio e che intende ora presentare la sua candidatura alla presidenza della Repubblica. Non glielo chiedo perché ho l'impressione che sarebbe inutilmente imbarazzante, ma credo che Moussa ritenga di potere essere la base di un triangolo composto dai militari e dalla Fratellanza, e quindi il garante dell'Egitto di fronte alle democrazie occidentali.
Parliamo della questione palestinese. Come in passato Moussa continua e pensare che un accordo sia necessario agli equilibri politici dell'intera regione medio-orientale. Durante il mio viaggio in Egitto, nella tarda primavera, ho parlato della questione con Nabil El Arabi, allora ministro degli Esteri, oggi successore di Moussa alla carica di segretario generale della Lega araba. Era molto soddisfatto dell'intesa raggiunta qualche giorno prima, con la mediazione dell'Egitto, fra Hamas e l'Autorità palestinese di Mahmoud Abbas. Più recentemente mi è stato detto che l'accordo, in realtà, era già stato raggiunto all'epoca di Mubarak grazie al lavoro di Omar Suleiman, capo dell'Intelligence egiziana. Ma era rimasto nel cassetto sino a quando la Siria, dopo la caduta di Mubarak, aveva finalmente autorizzato Hamas a sottoscriverlo. Sembrava che l'intesa avrebbe spianato la strada alla formazione di un nuovo governo palestinese gradito ai fratelli separati della Cisgiordania e della Striscia. Ma la macchina si è nuovamente inceppata quando Hamas ha rifiutato di accettare come Primo ministro Salam Fayyad, forse il migliore riformatore palestinese degli ultimi anni. Moussa crede comunque che Netanyahu non abbia alcuna intenzione di negoziare e che a Mahmoud Abbas resti aperta soltanto la strada dell'Onu, dove l'Assemblea generale, prima della fine di settembre, potrebbe votare per il riconoscimento dello Stato Palestinese. Dopo, si vedrà.
Resta il capitolo della Siria. Moussa ha l'impressione che i giorni del regime siano contati. Gli chiedo quali sarebbero, se lo Stato della famiglia Assad crollasse, i vincitori. Le folle arabe dell'Africa del nord hanno detronizzato tre autocrati e potrebbero detronizzarne un quarto. Ma il potere, per il momento, è in mano di altri: i notabili in Tunisia, i militari in Egitto e, per quanto possibile, i maggiori alleati dei ribelli in Libia. Chi prenderà il potere a Damasco? Moussa allude alla possibilità di un colpo di Stato, da cui emergerebbero nuovi leader, ma ammette di non saperlo e osserva che vi sono momenti in cui bisogna avere il coraggio di lasciare alle circostanze il compito di sciogliere i nodi di una situazione troppo imbrogliata. Mi sembra tuttavia convinto che la stabilizzazione della regione cominci da quella dell'Egitto e che di questa egli possa essere protagonista.

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