Il suono dei nostri passi Ronit Matalon
Traduzione di Elena Loewenthal
Atmosphere Euro 18,50
Ospite del Festival internazionale di letteratura ebraica, la scrittrice israeliana Ronit Matalon presenta lunedì 19 settembre a Roma il suo primo romanzo tradotto in Italia, “Il suono dei nostri passi” che la casa editrice Atmosphere manda in libreria in questi giorni.
E’ la storia di una di quelle famiglie ebree cacciate dall’Egitto, quasi da un giorno all’altro, dall’allora presidente Gamal Abdel Nasser dopo la nazionalizzazione del canale di Suez nel 1956: fu un momento drammatico per molti ebrei che sancì la fine di una presenza millenaria e continuativa, fin dai tempi delle Piramidi. Dopo l’avvento al potere di Nasser le condizioni politiche, sociale e culturali che si determinarono resero impossibile per le famiglie ebree che vivevano in Egitto lo svolgimento di regolari attività economiche, mettendo anche in pericolo la sopravvivenza stessa della comunità ebraica. Fu così che una collettività di circa 80.000 ebrei dovette trovare una nuova destinazione: Alcuni si trasferirono in America, in Francia, in Belgio e anche in Italia; e fra questi ultimi vi fu Carolina Delburgo autrice dello struggente memoir, Come ladri nella notte edito da Clueb e recensito in queste pagine nella sezione Letti & Commentati.
Altri, come la famiglia di Ronit Matalon, presero la decisione di fare alyah lasciando al Cairo un mondo di affetti e amicizie oltre che un’esistenza consolidata, ma una volta giunti in Erez Israel si trovarono a vivere una quotidianità tutt’altro che facile.
Nata nel 1959 a Ganei Tikva, l’autrice de “Il suono dei nostri passi” ha studiato letteratura e filosofia all’Università di Tel Aviv, lavorando poi come giornalista per il quotidiano Haaretz e occupandosi di Gaza e della West Bank negli anni della prima Intifada. Impegnata in ambito sociale ha partecipato a dimostrazioni organizzate dall’Associazione per i diritti civili in Israele e attualmente è docente di letterature comparate all’Università di Haifa e alla Sam Spiegel Film School dove insegna scrittura creativa.
Scrittrice anche di libri per bambini, in Italia è stata apprezzata per un bellissimo racconto dal titolo “Fratello piccolo” contenuto nell’antologia “Israeliane” edita da Stampa alternativa: una raccolta di voci nuove accanto ad autrici ormai parte della tradizione letteraria d’Israele che offre uno straordinario spaccato della società israeliana ritratta dallo sguardo attento di un variegato universo femminile.
Nel romanzo “Il suono dei nostri passi” l’autrice sceglie una bambina, Toni, come voce narrante e fin dalla prime pagine ci offre una visione triste e complessa di una realtà disagiata, una quotidianità che si dispiega fra sacrifici e duro lavoro.
La madre, Levanah in ebraico, è il fulcro attorno al quale ruotano i personaggi: una donna instancabile, dallo spirito indomito e dalle mani, con il dorso bruciato dal sole, perennemente in movimento. (“…metteva sempre ovunque le mani: nella terra friabile o secca, nell’argilla, nel gabinetto del bagno otturato, nell’impasto, nella montagnola di cous cous, nel fertilizzante…”).
Attorno alla madre si muovono gli altri figli che arricchiscono con storie e immagini suggestive il quadro di questa famiglia originale proveniente dal Cairo e alle prese con un mondo tutto nuovo: Corinne dal viso magnifico di una finezza evasiva che lavora come parrucchiera, Sami che si adatta a qualsiasi lavoro, ma trova anche il tempo di dedicarsi alla “bambina” leggendole libri di animali, Maurice, il padre, un uomo poco incline ad assumersi le sue responsabilità, una persona strana, cresciuta per le vie del Cairo con una madre mezza pazza e una casa nel totale disastro. Maurice, guida politica all’interno della Sokhbah, l’organizzazione che si occupa delle questioni relative alle comunità orientali e alla loro situazione, trascorre la vita sovrastato da un profondo senso di emarginazione, sia come individuo, sia come parte di quella comunità sefardita che per molto tempo è stata esclusa dalla dirigenza del paese.
In questa esistenza difficile e precaria fanno capolino i ricordi dei momenti piacevoli trascorsi al Cairo, piccole pennellate di colore che ripercorrono i fasti di una vita diversa.
Il romanzo di Ronit Matalon non si declina in una trama strutturata e il ritmo narrativo è pacato, a volte enigmatico: una particolarità che può rendere impegnativo per il lettore seguire il filo del racconto. L’autrice racconta la storia di questa famiglia “per bozzetti” fissando in immagini magistralmente ritratte, sullo sfondo dell’Israele degli anni cinquanta e sessanta, la difficile realtà sociale, politica e culturale di quell’epoca con uno sguardo acuto e sensibile alla psicologia dei personaggi, agli oggetti accuratamente descritti che li circondano e alla casa dove vivono “…il prefabbricato che avevano depositato, semplicemente depositato sulla sabbia…”, dimora e unico rifugio per chi è stato cacciato via dal proprio paese, dai propri affetti e con le proprie forze deve ricostruirsi una vita dignitosa per se e i propri figli.
E’ un libro sofisticato, enigmatico e contemporaneamente uno dei più umani della nuova letteratura israeliana, supera la barriera dell’intelligenza analitica per colpire direttamente quella emotiva.
Giorgia Greco