Israele,Egitto,Turchia: nulla di nuovo sotto il sole
di Zvi Mazel
(traduzione di Angelo Pezzana)
(questo articolo esce oggi in contemporanea sul Jerusalem Post)
Zvi Mazel
Nei giorni scorsi molti commentatori hanno descritto Israele come un paese isolato, dimenticando che non è successo nulla di nuovo.
Gli eserciti arabi avevano già cercato di distruggere il neonato Stato nel 1948; altre volte ci hanno riprovato, senza successo.
Gli stati arabi si cono comportati con l’esistenza dello Stato ebraico come qualcosa che dovesse essere cancellato, eliminato. E’ vero che Israele ha firmato la pace con l’Egitto e poi con la Giordania, ma è stata una pace tra governi, non tra popoli. L’ostilità contro lo Stato ebraico non è mai cessata, trovando un terreno fertile nelle menti dei giovani, ai quali viene insegnato fin dalla culla che gli ebrei sono i nemici dell’islam e che verranno sterminati nel giorno del giudizio.
Ne rimasero fuori gli accordi legati a interessi specifici della politica.
Nel 1949, la Turchia è stato il primo paese musulmano a riconoscere Israele. Ataturk era morto da appena un decennio e il paese era avviato con convinzione sulla strada di una moderna laicità. Le relazioni subirono alti e bassi – nel 1980 Ankara ridusse la presenza diplomatica al solo secondo segretario come oggi – ma i rapporti commerciali ammontavano a 4.5 miliardi di dollari, mezzo milione di israeliani andavano in vacanza in Turchia ogni anno, e Israele riforniva la Turchia di armi e tecnologia.
A quei tempi, l’episodio della Flotilla – non solo non si sarebbe mai verificato - ma sarebbe stato risolto con facilità.
Invece i leader di oggi, spinti da fervore religioso e dal sogno della restaurazione dell’impero ottomano, hanno preferito prendere un’altra strada, con l’aiuto fattivo del Ministro degli Esteri Davutglu, autore di un libro nel quale sostiene che la Turchia ha il diritto di rivendicare il suo ruolo egemonico nel Medio Oriente.
La crisi attuale ha le sue radici nelle elezioni che nel 2002 diedero la vittoria a Erdogan e al suo partito islamico, noto a tutti per la sua ostilità verso gli ebrei. Erdogan ha smantellato, una dopo l’altra, tutte le strutture costruite da Ataturk, il padre della Turchia moderna, affinché il paese rimanesse laico.
Con l’aiuto di un alleato inaspettato, l’Unione Europea, che vedeva nella forza e nel potere dell’esercito una minaccia alla democrazia e un ostacolo all’ingresso in Europa della Turchia, Erdogan nominò alle più alte cariche gli ufficiali a lui fedeli, mentre mise in prigione 400 alti ufficiali senza un regolare processo, con l’accusa di avere complottato contro il regime.
Quando il capo di stato maggiore e gli ufficiali dei gradi più alti si dimisero per protesta, Erdogan accettò subito le loro dimissioni e li sostituì con altri militari legati al suo partito.
Così venne neutralizzato l’esercito, e finì la cooperazione con Israele.
Erdogan si è accanito anche contro il potere giudiziario, modificando leggi, cancellando tutti i progressi realizzati da Ataturk per garantire la laicità del paese.
Con le forze laiche senza più alcun potere, laTurchia è diventata sempre più islamista, mentre l’Europa continuava a vederla come un modello di islam moderato. Nessuno fece caso al fatto che la rivoluzione che aveva portato la Turchia ad essere un paese forte come lo è oggi era ormai fallita, mentre la rivoluzione islamista di Erdogan sta facendo grandi passi in avanti.
L’attuale ostilità contro Israele va vista in questo contesto.
Erdogan ha poi cercato di creare un fronte strategico sotto la sua guida rafforzando i legami con Siria e Iran. Le rivolte popolari in Siria e la separazione dell’Iran dall’Occidente e il suo appoggio alla Siria, sono la dimostrazione della fragilità di queste alleanze.
La Turchia ha drammaticamente cambiato condotta. Su richiesta dalla NATO, la Turchia ne è un membro importante, accettò di poter installare sul suo territorio delle basi per controllare i missili iraniani, che potevano essere lanciati contro l’Europa o Israele.
Sebbene la Turchia non avesse alleati nella regione, Erdogan affermò che l'influenza e il potere della Turchia nella regione doveva essere riconosciuto.
Le sue dichiarazioni contro Israele e il sostegno ai palestinesi vanno visti nel tentativo di porsi alla guida del mondo arabo, un mondo composto da paesi con enormi problemi interni e divisi al loro interno.
Malgrado ciò, è arrivato in Egitto, per verificare se poteva nascere una alleanza strategica con un paese che fino ad oggi era stato suo rivale. La visita non è stata un grande successo. Anche sa ha firmato alcuni accordi commerciali, anche se ha ricevuto l’applauso delle folle, il Supremo Consiglio Militare non ha preso impegni ufficiali.
L’Egitto ha già sufficienti problemi in casa propria da voler prendere decisioni che potrebbero danneggiare i rapporti con gli Stati Uniti.
Anche i Fratelli Musulmani, da sempre alleati con Erdogan, si sono sentiti offesi dalla affermazione che l’Egitto deve diventare uno Stato democratico laico, tanto da replicare che la Turchia deve occuparsi dei propri affari.
In poche parole, la Turchia non solo è isolata, ma si trova di fronte a gravi problemi. La sua alleanza con Iran e Siria è alla fine, visto quel che succede al loro confine. La minoranza curda lotta sempre per l' indipendenza ; conflitti con Armenia e Grecia sono all’ordine del giorno. Le relazioni con Cipro sono tese da quando la Turchia ha imposto alla parte che occupa di rivendicare i diritti sullo sfruttamento del gas sottomarino, anche se la sua occupazione della parte nord di Cipro non è riconosciuta a livello internazionale.
Questa minaccia ha impedito al Libano di firmare un accordo con Cipro sui rispettivi confini marittimi.
Anche Stati Uniti e Russia giudicano negativamente la Turchia per il suo comportamento nel mediterraneo. Secondo quanto scritto da defencenet.gr – come ha riportato un portavoce del Ministro degli Esteri- la Russia ha inviato due sottomarini nucleari per controllare le acque mediterranee intorno a Cipro, nel tentativo di garantire all’isola l’esplorazione e lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio nelle acque territoriali.
E’ dunque questo il paese che sfida Israele. 40 volte più vasto, 10 volte il numero di abitanti, un esercito poderoso. Non ci sono confini comuni tra Turchia e Israele e Israele non rappresenta alcuna minaccia per la Turchia, anzi, cerca ancora di avere buone relazioni che in passato hanno avuto effetti positivi per entrambi. La Turchia, poi, non ha reclami seri con Israele, aldilà di una retorica estremista religiosa.
Potrà la ragione trionfare sulla passione ?
La situazione con l’Egitto è diversa. Israele e Egitto sono legati da un trattato di pace garantito dagli Usa e hanno in comune un confine molto esteso. Governato oggi dall’esercito, l’Egitto ha davanti a sé un lungo periodo di instabilità prima che nuove istituzioni vengano elette e che l’economia possa riprendersi. Un processo che richiederà almeno due anni. L’islam estremista potrà ottenere una vittoria ed entrare a far parte del nuovo governo. Potranno nascere rivolte, anche violente, a causa della frustrazione della popolazione egiziana che Importa il 50% del grano, insufficiente al bisogno interno.
Il turismo, la voce più importante nelle entrate, è in crisi, tanto da scoraggiare investimenti stranieri. Con una popolazione di 83 milioni, la metà vive con 2 dollari al giorno, l’Egitto dipenderà tra breve dagli aiuti stranieri per sopravvivere. 32 anni di pace con Israele, e con i confini condivisi, hanno permesso all’Egitto stabilità e un aiuto sostanziale. L’Egitto non ha dunque interesse a modificare la situazione, né l’esercito vuole confrontarsi militarmente.
Purtroppo la crescita dell’estremismo islamico e anni di propaganda attraverso i media, non controllata dal governo, hanno creato le premesse dell’ostilità degli egiziani verso i vicini. Israele è un facile capro espiatorio, a giustificazione del fallimento degli attuali capi della rivoluzione.
Anche qui, riuscirà la ragione a trionfare sulla passione ?
Turchia, Egitto – ma anche la Giordania – tre vere sfide per Israele, insieme al voto per l’autodeterminazione alle Nazioni Unite.
In tutta onestà, la crisi non ha nulla di nuovo. Gli interessi politici, strategici ed economici della regione non sono cambiati. Possiamo solo sperare che non prevalgano le teste calde e che lo Stato ebraico affronti l’attuale tempesta come ha fatto negli anni passati.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Romania,Egitto e Svezia.
Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs.
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