Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 13/09/2011, a pag. 33, l'articolo di Tiziana Barrucci dal titolo " C’è un complotto per far fallire le idee della rivoluzione". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 20, l'articolo di Karima Moual dal titolo " Quelle piazze arabe ostili ad Israele ".
Ecco i due articoli, preceduti dai nostri commenti:
L'UNITA' - Tiziana Barrucci : "C’è un complotto per far fallire le idee della rivoluzione"
Ala al Aswany, che non si è mai contraddistinto per correttezza e onestà intellettuale, specie per quanto riguarda Israele, sostiene che la 'primavera araba' sia in parte fallita in Egitto per via di un complotto di militari e islamisti. Giusto, ma più corretto ancora sarebbe che la 'primavera araba' non è mai esistita in senso democratico, è stata abilmente manovrata dai Fratelli Musulmani fin dall'inizio. Ma, ovviamente, non poteva mancare una critica a Israele : " E anche Israele teme ancora troppo il cambiamento. «Per la prima volta dopo decenni l'Egitto sta agendo secondo il suo interesse nazionale». Sta ad esempio trattando la vendita di gas a Tel Aviv per un prezzo giusto e non basso come era l'accordo stilato dal regime di Mubarak, ed è riuscito a far firmare la riconciliazione alle fazioni palestinesi. Ma Israele ha già fatto sapere di non gradire queste novità. «Non ha neanche chiesto scusa per l'uccisione dei sei poliziotti egiziani alla frontiera - conclude lo scrittore - comportamento bizzarro per un Paese democratico.". La capitale di Israele è Gerusalemme, non Tel Aviv. La riconciliazione fra Hamas e Fatah è stata un totale fallimento, come tutte quelle precedenti, e, per Israele, comporta il rischio di vedere un futuro Stato palestinese governato anche dai terroristi della Striscia. Aswany, poi, evita di specificare che i rapporti con l'Egitto si sono raffreddati 'grazie' alle mosse di quest'ultimo, le dichiarazioni dei Fratelli Musulmani, l'attacco all'ambasciata israeliana, il permesso alle navi da guerra iraniane di transitare nel canale di Suez.
E' questa l' 'intelligenza moderata araba' ?
Ecco l'articolo:
Ala al Aswany
Ridefinire i rapporti, le relazioni internazionali è tanto importante come difendere il nuovo Egitto dalle derive islamiste: nel giorno della visita del premier turco Erdogan al Cairo, lo scrittore pro-rivoluzione egiziano 'Ala al-Aswani detta la sua ricetta perun nuovo Paese delle Piramidi. «C’è un complotto in corso perché l’Egitto precipiti nel caos – dice a l’Unità nella hall dell’albergo romano che lo ospita per presentare il suo nuovo libro sulla rivoluzione egiziana – obiettivo è spianare la strada ai progetti dei nemici della rivoluzione ». Un filo rosso unisce così l’attacco all’ambasciata israeliana al Cairo di venerdì scorso col processo contro Hosni Mubarak e con la visita di Erdogan: «Nonostante io resti ottimista - avverte - prendo atto che l’esercito si sta mostrando sempre meno interessato ad un vero cambio della guardia». Insomma, messo da parte il vecchio faraone non si vuole mettere da parte il suo regime. Che l’Egitto sia governato ancora dai vecchi nomi è cosa nota,maper Aswani c’è una novità in più: quei pilastri, in carcere in attesa di giudizio o all’estero, sono pronti a spendere milioni pur di vendicarsi di chi li ha rimossi e riprendersi il potere. «Quasi ogni giorno ci sono provocatori che attaccano la vita degli egiziani ma la polizia, da sempre fedele all'establishment, non fa nulla perché con il Paese allo sbando ripristinare il vecchio ordine sarebbe più semplice. Per questo nonostante qualche settimana fa poliziotti egiziani abbiano sparato su un uomoche voleva entrare illegalmente nell’ambasciata israeliana, non hanno invece mosso un dito o quasi nelle ore dell'attacco organizzato venerdì scorso. Per questo ospedali, tribunali, centri di polizia, e addirittura chiese sono quotidianamente bersagli di delinquenti senza scrupoli che operano indisturbati. Eppure la stessa polizia è sempre sollecita nell’arrestare manifestanti inermi che finiscono davanti ai tribunali militari ». Un complotto, quello delineato da al-Aswani, di cui fanno parte anche i partiti islamisti, oltre a «potenze straniere». I Fratelli musulmani sono uniti da un patto di sangue con la vecchia nomenclatura che in cambio dovrebbe assicurare loro una fetta di potere. E anche Israele teme ancora troppo il cambiamento. «Per la prima volta dopo decenni l'Egitto sta agendo secondo il suo interesse nazionale». Sta ad esempio trattando la vendita di gas a Tel Aviv per un prezzo giusto e non basso come era l'accordo stilato dal regime di Mubarak, ed è riuscito a far firmare la riconciliazione alle fazioni palestinesi. Ma Israele ha già fatto sapere di non gradire queste novità. «Non ha neanche chiesto scusa per l'uccisione dei sei poliziotti egiziani alla frontiera - conclude lo scrittore - comportamento bizzarro perun Paese democratico. Eppure Tel Aviv ha bisogno della pace con l'Egitto così come noi con lei. È che il rapporto oggi dovrebbe diventare di parità, come sta tentando di fare la Turchia. Ci riusciremo? ».
Il SOLE 24 ORE - Karima Moual : " Quelle piazze arabe ostili ad Israele "
Come scrive Moual, con le rivolte nei Paesi arabi, è riesploso con violenza l'antisemitismo islamico, un antisemitismo che è sempre esistito.
Un'analisi corretta che, purtroppo, Moual rovina con una citazione di Zygmunt Bauman " I politici israeliani sono terrorizzati dalla pace. Tremano, col terrore della possibilità d'una pace. Perché senza guerra e senza una mobilitazione generale, non sanno come vivere. Israele non vede come un male i missili che cadono sulle cittadine lungo i confini. Al contrario: i politici sarebbero preoccupati, perfino allarmati, se non piovesse questo fuoco ". Un'assurdità che Moual riporta senza commenti, ne deduciamo che la condivide.
Altrettanto incredibile è la conclusione dell'articolo: "I sei egiziani uccisi alla frontiera per sbaglio o gli attivisti turchi della Flottilla non sono più errori da fare, ma vite umane che vanno onorate. Questo ha voluto dire la Turchia. Iniziare dalle vite a ristabilire chi siamo.". Se le piazze arabe odiano Israele un po' è anche colpa sua, della sua 'arroganza' e dei suoi 'errori' o presunti tali.
Prendere spunto dalle parole della Turchia, che ha perpetrato il genocidio degli armeni e rifiuta di riconoscerlo, sull'importanza della vita ha del ridicolo.
Ecco l'articolo:
Karima Moual
«Riesplode il vecchio odio tenuto a bada da Mubarak. La primavera araba, porta a frutto una rinascita dell'odio verso Israele e la rabbia antisemita». Se volessimo fare una sintesi dei commenti all'assalto all'ambasciata isareliana al Cairo con tanto di fuga dell'ambasciatore, non ci potrebbe essere una migliore di questa per rendere l'opinione di chi ha già battezzato la primavera araba come l'inverno dell'Occidente.
Ma quell'odio è vecchio e si è accresciuto negli anni con l'odio verso i dittatori. L'avversione a Israele non monta dal nulla, e non riesplode da un giorno all'altro. Si cova nell'intimo, e lo sa bene solo chi vive e nasce da quelle parti. E chi segue i dibattiti in arabo di intellettuali opinionisti e politici che nei salotti di al-Jazeera vanno avanti e indietro.
La polvere sotto il tappeto è stata nascosta per molto tempo, così come l'odio per i dittatori al potere da decenni. Che hanno fatto finta di esser riusciti o di riuscire a sedare gli animi in cambio di niente. Sono le due facce della stessa medaglia. Lo sapeva bene Israele, che è stata attaccata ai dittatori e non alla piazza che chiedeva più democrazia fino all'ultimo. La democrazia condivisa può ridisegnare i giochi e ridimensionare interessi e questo fa paura. Altro che l'avanzata islamista.
Sia chiaro, la questione palestinese non è nell'agenda di chi vuole davvero ridisegnare l'Egitto dopo la tempesta che ha travolto Mubarak, ma la questione palestinese, si sa, è un nervo scoperto, è la questione irrisolta che viene meglio sbandierata da sempre per avere consensi nella piazza. Il divario tra la piazza e gli intellettuali arabi che cercano di analizzare questi eventi è infatti abissale. I manifestanti davanti alle telecamere di al-Arabiyya urlano contro l'arroganza israeliana che deve fare la fine dei dittatori, compreso l'accordo di Camp David. Mentre c'è chi come Tareq al hamid su asharq al awsat fa parlare da solo il titolo del suo editoriale: «Si prova a incendiare l'Egitto».
Il vicino Israele, per chi usa la testa e non i sentimenti, si prova a tenerlo lontano. La preoccupazione ora è la ricostruzione del Paese. Sono queste le analisi e le opinioni arabe "pensanti".
La percentuale però dei pensanti non è alta quanto quella dei sentimentali. Ma la malattia incontrollabile della violenza si cura solo con la giustizia e il realismo.
Si sa che purtroppo non sono parole che vanno di moda in questi tempi, ma non si può chiedere solo il sostegno dei pensatori arabi per calmare le acque. Lo hanno capito bene anche i molti intellettuali israeliani di fama internazionali che si sono mossi nella direzione del dialogo.
Uscite come quella di Zygmunt Bauman che ha destato non poche polemiche: «I politici israeliani sono terrorizzati dalla pace. Tremano, col terrore della possibilità d'una pace. Perché senza guerra e senza una mobilitazione generale, non sanno come vivere. Israele non vede come un male i missili che cadono sulle cittadine lungo i confini. Al contrario: i politici sarebbero preoccupati, perfino allarmati, se non piovesse questo fuoco».
La piazza che sbaglia si alimenta anche di quella che chiamano «l'arroganza israeliana», che sbaglia ma non paga mai. I sei egiziani uccisi alla frontiera per sbaglio o gli attivisti turchi della Flottilla non sono più errori da fare, ma vite umane che vanno onorate. Questo ha voluto dire la Turchia. Iniziare dalle vite a ristabilire chi siamo.
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