Controllare la successione di Bashar al Assad ecco perchè l'Iran ha smesso di appoggiare il suo alleato in Siria
Testata: Il Foglio Data: 10 settembre 2011 Pagina: 1 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «Perché Teheran scommette sulla caduta degli Assad»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 10/09/2011, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Perché Teheran scommette sulla caduta degli Assad".
Mahmoud Ahmadinejad, Bashar al Assad
Roma. L’Iran prende le distanze dall’alleato siriano, per controllare la successione a Bashar el Assad, sul quale ormai nutre poche speranze. Mentre Onu, Stati Uniti e Unione europea continuano a mostrarsi incapaci di impedire i massacri in Siria – quaranta morti giovedì, decine ieri nel 26esimo venerdì di protesta, 2.400 le vittime da marzo – Mahmoud Ahmadinejad si propone come mediatore tra opposizione e regime. “Assad dovrebbe fermare la repressione e trattare con l’opposizione – ha detto il presidente iraniano – una soluzione militare non sarà la risposta giusta, i problemi vanno risolti col dialogo”. La situazione è surreale: il responsabile della “soluzione militare” che ha soffocato nel sangue la rivolta dell’Onda verde iraniana nel 2009 ora dà lezioni di dialogo all’alleato siriano. La novità, però, ha una spiegazione: il regime di Teheran, che ha terminali profondi nei gangli del potere a Damasco e che ha messo i suoi pasdaran al fianco dei generali siriani nella repressione più dura, sente che Assad sta per crollare. Già il 28 luglio, il quotidiano Jomhouri Eslami, specchio fedele delle posizioni dell’ayatollah Ali Khamenei, scriveva che “la questione cui Assad e i suoi devono rispondere è semplice: quanto a lungo possono reggere un confronto militare? Può una violenza à la Gheddafi convincere il popolo siriano a smetterla di manifestare?”. E’ ormai chiara la volontà iraniana di mettere un’ipoteca sul futuro politico della Siria, che potrebbe portare Teheran sino al punto di stimolare un putsch militare o una congiura di Palazzo che salvaguardi – in raccordo con qualche oppositore – una partnership di rilievo strategico. La Siria, integrata nel meccanismo militare iraniano, ha un’economia largamente dipendente dagli aiuti di Teheran (almeno tre miliardi di dollari per la raffineria di Banias, una fabbrica di automobili e cooperazione per telecomunicazioni, edilizia e progetti agricoli). Damasco, in cambio, offre a Teheran una piattaforma indispensabile per la sua politica di potenza regionale. L’Iran sta costruendo una base navale militare al porto di Latakia, di fianco a quella che stanno ultimando i russi. A Damasco c’è la centrale operativa – cui fanno riferimento i terroristi di Hamas, Fplp e Jihad islamico – che i pasdaran usano per le operazioni estere. Soltanto la Siria, infatti, può fare da “porto franco” per i traffici bloccati dalle sanzioni dell’Onu. Se anche i governatori scappano Dalle notizie che filtrano in occidente si comprende che il punto debole di Assad è proprio l’esercito: i disertori manifestano in molte città, il nuovo governatore militare di Hama, Mohammed al Bakkour, è fuggito all’estero, portando con sé documenti sulle stragi che intende presentare al tribunale dell’Aia. Anche il governatore di Deir Ezzor ha disertato. Il tenente colonnello Hussein Harmush, che disertò a giugno, sarebbe a capo di una brigata di centinaia di ufficiali ribelli che dalla Turchia appoggiano le proteste (per vendetta, ieri, suo fratello Mohammad è stato arrestato e ucciso). Un quadro di dissoluzione del regime confermato dall’ultimo ordine di Assad, che, stando al quotidiano al Qods, avrebbe proclamato lo “stato di guerra”, mobilitando tutte le truppe contro “la minaccia terrorista”. Riconoscendo, così, l’ingovernabilità del paese.
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