Sharia, il futuro dell'Egitto post Mubarak in mano ai Fratelli Musulmani Cronaca di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 09 settembre 2011 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Fratelli indistruttibili»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 09/09/2011, a pag. 1-4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Fratelli indistruttibili".
Giulio Meotti
Roma. Nel 2007 Foreign Affairs, organo ufficiale dell’establishment americano di politica estera, fece scoppiare un caso pubblicando un saggio di Robert Leiken e Steven Brooke. I due studiosi chiedevano al Dipartimento di stato americano di avviare un dialogo con i Fratelli musulmani, definiti “moderati”, sulla base della loro “evoluzione non violenta”. Leiken e Brooke descrivevano il maggiore gruppo egiziano come una macchina pragmatica che l’occidente non doveva temere. Il Foglio ne trasse un’inchiesta in tre puntate per capire se ci fosse del vero. Adesso Foreign Affairs fa marcia indietro e pubblica un dossier di venti pagine dal titolo emblematico: “Gli indistruttibili Fratelli musulmani”. Sottotitolo: “Le pessime prospettive per un Egitto liberale”. Il dossier è costruito su trenta interviste a membri della Fratellanza, dati per favoriti in autunno alle elezioni, le prime dopo la caduta di Hosni Mubarak. Scrive Eric Trager, autore dell’inchiesta, che “i manifestanti che hanno guidato la rivolta in Egitto erano giovani e liberali. Lungi dall’emulare l’ayatollah Ruhollah Khomeini, si abbeveravano da Thomas Paine, chiedevano libertà civili, uguaglianza religiosa e fine della dittatura. La loro determinazione ha alimentato l’ottimismo che la Primavera araba fosse finalmente esplosa e che il medio oriente non sarebbe più stato una eccezione autocratica in un mondo democratico. La transizione politica seguita alla rivolta ha soffocato l’ottimismo”. I Fratelli musulmani stanno dominando il processo politico seguito alla fine di Mubarak. La Fratellanza “non tempererà la propria ideologia”, dice Foreign Affairs, perché per diventare un “fratello” si deve superare un percorso di otto lunghissimi anni, “in cui gli aspiranti membri sono osservati da vicino nella loro lealtà e indottrinati all’ideologia della Fratellanza”. “Quando emergerà in autunno con un potere elettorale, se non con una aperta maggioranza dei voti, la Fratellanza userà la posizione conquistata per spostare l’Egitto in una direzione teocratica e antioccidentale”. Foreign Affairs racconta il reclutamento della Fratellanza che inizia addirittura “con i bambini di nove anni”. Il ciclo si apre con il “muhib”, il seguace, che entra in una “usra”, famiglia, guidata da un “naqib”, un capitano. Poi si diventa “muayaad”, un sostenitore, quindi “muntasib”, membro, si passa a “muntazim”, un organizzatore, concludendo il noviziato con il titolo di “ach ‘amal”, fratello. “Nessun altro gruppo egiziano può contare sulla stessa rete”, spiega Foreign Affairs. “Dopo la caduta di Mubarak, la Fratellanza ha continuato a dimostrare la propria capacità unica di mobilitare i sostenitori”. Foreign Affairs sfata il mito della rivolta solo “laica”. Scrive invece che la Fratellanza ha avuto un ruolo “pivotal”, centrale. “La Fratellanza all’inizio ha evitato un coinvolgimento nelle manifestazioni, iniziate il 25 gennaio, a causa della minaccia di arresto di Mohammed Badie, Guida suprema della Fratellanza. Ma il giorno dopo il bureau ha reso ‘obbligatoria’ la partecipazione alle proteste del 28 gennaio. Sebbene la maggioranza dei dimostranti non fossero affiliati a partiti politici, l’ordine della Fratellanza ha catalizzato il trionfo sulle forze di sicurezza. Non appena finivano le preghiere nelle moschee, attivisti stazionavano all’ingresso e ordinavano un confronto con la polizia di Mubarak. Molti erano Fratelli musulmani”. Secondo l’organo del Council on Foreign Relations, uno dei più prestigiosi think tank di politica estera, “la Fratellanza si appresta a vincere la grande maggioranza dei seggi in cui si presenta”. Il progetto è chiaro: “L’islamizzazione della società egiziana”. Politicamente, “Washington deve guardare con preoccupazione l’ascesa della Fratellanza, perché nonostante l’insistenza dei Fratelli secondo cui i loro obiettivi sono ‘moderati’, loro definiscono il mondo in modo diverso dall’occidente”. La Fratellanza cercherà di “incrementare i legami con la grande nemesi americana, l’Iran, e di denigrare gli accordi di Camp David con Israele”. La Casa Bianca dovrebbe aumentare “gli aiuti ai liberali”, “deve promettere che riconoscerà il risultato elettorale soltanto se chi vincerà si impegnerà a non partecipare in conflitti fuori dai confini egiziani” (riferimento a Israele) e “deve parlare a nome dei cristiani ogni volta che sono attaccati”. “I 600 mila Fratelli sono devoti a idee non moderate. Gli Stati Uniti devono concentrarsi sugli altri 81 milioni di egiziani. La Fratellanza può conquistarli se gli Stati Uniti non agiranno velocemente per un’alternativa – la visione liberale per la quale i giovani di piazza Tahrir hanno combattuto valorosamente”.
Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante