Sul FOGLIO di oggi, 03/09/2011, a pag.3, con il titolo " La politica estera europea si sfalda davanti a Siria e Palestina ", una analisi che registra non solo la confusione che regna a Bruxelles per quanto riguarda una (im)possibile politica estera comune, ma, soprattutto quanto la richiesta palestinese del riconosciamento dello stato trovi consenziente la maggior parte degli stati. Il riferimento finale al Vaticano, in una interpretazione che non è quella del FOGLIO, ovviamente, ma nostra, sottolinea una vicinanza che ha le sue origini nella mai tramontata ostilità della Santa Sede nei confronti di Israele.
Catherine Ashton, alla guida della politica estera europea
Ecco l'articolo:
Bruxelles. Per il presidente francese, Nicolas Sarkozy, l’Ue è pronta a sostituire gli Stati Uniti nella geopolitica mediorientale. Con la cacciata di Muammar Gheddafi da Tripoli, “gli europei hanno dimostrato di essere capaci di intervenire in modo decisivo in un conflitto alle loro porte”, ha detto Sarkozy giovedì. “Il mondo sta cambiando” e, visto che l’impegno militare americano si sposta verso l’Asia, gli europei sono pronti ad assumersi “le loro responsabilità”. Ma a giudicare dal Gymnich – il vertice informale dei ministri degli Esteri dell’Ue, in corso a Sopot, in Polonia – la politica estera europea, senza leadership americana, rimane una chimera. Prevalgono divisioni, contraddizioni e incoerenze, ben al di là dell’intervento libico (al quale la maggioranza dei paesi Ue non ha partecipato). L’Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, ieri ha potuto annunciare un embargo petrolifero sulla Siria per togliere al regime di Bashar el Assad un’importante fonte di finanziamento. Ma l’Ue si è mossa soltanto dopo intense pressioni americane e ci sono volute più di due settimane ai diplomatici dei Ventisette per trovare un compromesso accettabile per tutti. “Il divieto è su acquisto, importazione e trasporto di petrolio e altri prodotti petroliferi dalla Siria. Nessun servizio finanziario e assicurativo può essere fornito per queste transazioni”, dice il comunicato. In realtà, l’embargo partirà subito soltanto il 15 novembre, perché l’Italia ha messo il veto a sanzioni immediate contro Assad. Vittime dell’embargo petrolifero sulla Libia di Gheddafi, le società italiane si sono dovute rivolgere ad altri regimi sanguinari per compensare le mancate forniture: secondo i dati di Unione petrolifera, tra aprile e maggio, le importazioni dalla Siria sono crescite del 30 per cento, quelle dall’Iran del 56 per cento. In luglio, metà del greggio esportato da Damasco è finito nei porti italiani, destinato alle raffinerie di Eni, Ies e Saras. Così, quando si è visto recapitare la richiesta di un altro embargo dannoso, il governo italiano ha preteso il rispetto delle scadenze dei contratti attuali: 30 novembre. Alla fine, per spirito di compromesso, la data di entrata in vigore è stata anticipata di 15 giorni. Ma, secondo il ministro degli Esteri finlandese, Erkki Tuomioja, sarà “troppo tardi” per fermare la repressione: “Se fossimo seri, dovremmo agire immediatamente”. Nel frattempo, i trader petroliferi europei continuano a fare affari con la Siria. Eni, Ies e Saras non smentiscono i loro approvvigionamenti. Mercoledì, una nave di Royal Dutch Shell ha attraccato a Banias per caricare petrolio.Diverse petroliere stanno facendo rotta verso i porti siriani per esportare greggio o scaricare prodotti raffinati. Secondo Reuters, almeno due cargo dovrebbero consegnare alla Siria benzina proveniente da raffinerie italiane, spagnole e francesi. Le società petrolifere credono “che Assad vincerà e che dovranno continuare a relazionarsi con lui”, spiega un diplomatico occidentale. La svizzera Vitol, una delle protagoniste del trading con la Siria, aveva fatto l’opposto con la Libia, collaborando con la Libyan Oil Cell del premier britannico David Cameron per tagliare la benzina a Gheddafi e rifornire i ribelli. Al Gymnich, i Ventisette si stanno scontrando sulla richiesta dell’Autorità palestinese di essere riconosciuti dall’Onu. Belgio, Cipro, Grecia, Irlanda, Malta, Portogallo, Spagna e Svezia sono entusiasti. Francia e Regno Unito sono più prudenti, anche se orientati per il “sì”. Germania e Italia hanno detto che si opporranno, chiedendo il ritorno ai negoziati di pace. Secondo Ashton, il problema è soltanto “ipotetico”, perché la risoluzione all’Onu non è ancora stata scritta. In realtà si cerca un compromesso, anzi, spiegano i diplomatici, un’“opzione vaticana”: riconoscere la Palestina come stato, ma non come membro a pieno titolo dell’Onu, come con il Vaticano.
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