Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 01/09/2011, a pag. 45, l'articolo di Alberto Stabile dal titolo " Tra il popolo delle tende d'Israele che fa tremare il governo Netanyahu ".
Alberto Stabile descrive le proteste a Tel Aviv e scrive : " Il popolo delle tende è stato finora molto attento a non lanciare slogan o indicare scelte che potrebbero minare il clima di unità nazionale che s´è creato intorno alla "rivoluzione". Ma come si può ignorare che l´occupazione dei Territori, discutibile sul piano morale e illegale secondo la legislazione internazionale, è costata finora a Israele oltre 60 miliardi di dollari? ". Che cosa c'entra la presunta occupazione? I manifestanti non sono scesi in piazza per questo, lo scrive Stabile stesso. Ma Stabile non poteva perdere l'occasione per un attacco al governo Netanyahu.
Ecco l'articolo:
Bibi Netanyahu, la protesta a Tel Aviv
È come se i giovani israeliani rifiutassero il Paese dei loro genitori e volessero piuttosto riportare in vita l´Israele che fu dei loro nonni. Un Paese forgiato col ferro e col sangue, ma dove, ha scritto Amos Oz, «la povertà non era acuta e la ricchezza non era ostentata». Un Paese dove ognuno era tenuto a dare sulla base di quello che aveva, ma chi dava di meno riceveva comunque abbastanza da poter condurre una vita dignitosa. Un Paese, certo, molto più fragile e insicuro di quello attuale, così fermamente assiso sulla propria potenza militare e sul proprio benessere da poter convivere, ormai da molti decenni, con la mancanza di una vera pace. E tuttavia, un Paese, basato su quei principi di solidarietà e di giustizia sociale che il tempo e una classe politica poco lungimirante hanno spazzato via. E precisamente queste, "solidarietà" e "giustizia sociale", per quanto impalpabili, sono le molle che hanno fatto scattare la più grande protesta che la società civile israeliana abbia mai vissuto.
Bisogna andare sul Rothschild Boulevard, la più antica strada di Tel Aviv, per rendersi conto da vicino dei molti strati che, uniti dallo stesso sentimento riassunto nello slogan "Israele sta rinascendo", hanno dato vita al movimento che da metà luglio scuote la scena israeliana e mette in agitazione il governo di destra guidato da Benjamin Netanyahu. Qui, dove la studentessa di Cinema e video editor (per mantenersi) Dafne Leef, ha provocatoriamente piantato la sua "canadese" dopo essersi resa conto di non potersi permettere l´affitto di una casa, le tende sono ormai oltre duemila (3.383 in tutto il paese) e l´accampamento corre tra gli alberi del Boulevard per più di un chilometro e mezzo.
All´ombra di un tetto di iuta che può proteggere dal sole feroce, ma non può far nulla contro l´afa opprimente del primo pomeriggio, Gaya Or, classe 1955, ex combattente, prima nell´Aviazione poi nella Marina, della Guerra del Kippur (1973) presidia la tenda della "rivoluzione", la parola dirigenza essendo stata bandita. E la scritta: "Rivoluzione 2011", in caratteri neri, spicca sulla sua maglietta bianca. «Lei si chiederà che ci fa qui signora come me. Le risponderò che appartengo alla generazione che ha portato sulle spalle il peso della guerra del 1973, e ne è uscita traumatizzata. Tutto il vertice sapeva quello che stava per succedere, ma siamo stati lasciati soli, poco più che adolescenti, sotto il peso di un´enorme responsabilità: salvare il Paese. Hanno preteso tutto da noi, ma in cambio non ci hanno dato niente. Oggi, però, i giovani che vede qui, i nostri figli, hanno capito che i governanti, tranne forse Rabin, non hanno fatto altro che proteggere il sistema. E così noi che paghiamo le tasse, invece che una scuola efficiente e non costosa e prezzi giusti nei supermercati e affitti accettabili e salari decenti, abbiamo avuto i tycoon, gli oligarchi, che decidono i prezzi di tutto quello che viene importato in questo paese, dal formaggio alle automobili, perché, ognuno di loro nel proprio settore opera in regime di monopolio. Venti famiglie che posseggono il 64 per cento del prodotto interno lordo. Le sembra uno sviluppo equilibrato?».
Nell´Arca di Noè della protesta, sotto lo slogan che invoca "giustizia sociale", c´è posto per tutti. Dagli impiegati dei ministeri ai medici degli ospedali, dagli studenti ai tranvieri, agli insegnanti delle scuole statali: tutti uniti nello stesso malessere provocato da un sistema fiscale rapace, dal caro affitti e da una lievitazione insostenibile dei prezzi al consumo. Anche i poliziotti, all´inizio delle manifestazioni, si sono avvicinati, con animo lacerato, dicono, alla tendopoli di Rothschild Boulevard. Poi hanno lasciato perdere. E, naturalmente, nell´Arca c´è spazio per ogni tipo di antagonismo: da quello pacifista e ragionato dei "Medici per i diritti umani", alla dialettica soavemente qualunquista dei kabbalisti raccolti sotto le insegne di "Arevut-Nè destra né sinistra".
E´ questa miscellanea di ideologie marginali e di bisogni disparati che ha fatto tremare il governo di destra di Bibi Netanyahu. Il quale ha prima tuonato, in privato, contro quello che gli appariva come un «complotto dell´estrema sinistra per abbattere un governo», poi ha abbracciato il movimento, riconoscendo la fondatezza di alcune sue rivendicazioni, infine ha istituito una commissione di 18 componenti. «Un modo per guadagnare tempo», hanno tagliato corto quasi tutti gli osservatori.
Domanda: ma se si tratta di riequilibrare il sistema fiscale, finora assai generoso nei confronti delle imprese e degli "oligarchi" e, di contro, molto severo verso la classe media, se si tratta di reintrodurre certi aspetti dello stato sociale che lo stesso Netanyahu, nel suo liberismo intransigente ha ridotto all´osso, dove lo stato troverà le risorse necessarie?
Il popolo delle tende è stato finora molto attento a non lanciare slogan o indicare scelte che potrebbero minare il clima di unità nazionale che s´è creato intorno alla "rivoluzione". Ma come si può ignorare che l´occupazione dei Territori, discutibile sul piano morale e illegale secondo la legislazione internazionale, è costata finora a Israele oltre 60 miliardi di dollari? Yariv Oppenhaimer, il segretario di Peace Now, ha denunciato che nel 2011, il governo israeliano sborserà per gli insediamenti due miliardi di Shekels, pari a 600 milioni di dollari, senza contare le agevolazioni fiscali e i molti benefici di cui godono i coloni.
Apriti cielo. Sul Rothschild Boulevard è piombata come un fulmine l´accusa di "politicizzazione". «Accusa infondata - risponde Assif, 30 anni, ingegnere informatico e cuoco volontario nelle cucine dell´accampamento - perché non c´è alcuna connessione tra la rivendicazione di una maggiore giustizia sociale e l´occupazione dei Territori. La fine del conflitto è un problema che non riguarda soltanto Israele ma l´intera comunità internazionale, mentre la giustizia sociale è il più grave dei nostri problemi. E quanto alle risorse necessarie, io penso che lo Stato abbia abbastanza denaro per rispondere alle nostre richieste senza toccare gli insediamenti».
In realtà, sono stati i ministri dell´estrema destra a politicizzare la protesta a loro uso e consumo. Vedi il caso del ministro dell´Interno Eli Yishai (Partito ultra ortodosso sefardita, Shas) il quale, dopo aver dato il via a 1600 nuovi appartamenti nel quartiere gerosolimitano di Ramot Shlomo, situato nella parte araba della città, e annunciato progetti a Gerusalemme Est per altre 2700 case, ha fatto dire al suo portavoce che la decisione di rilanciare l´edilizia nei territori era causata dalla crisi degli alloggi in Israele. «Si tratta di una scelta di natura economica, non politica». Come dire, riecheggiando lo slogan dei coloni che hanno cercato di unirsi alla protesta delle tende, che «la soluzione al problema della casa è in Giudea e Samaria». Vale a dire più insediamenti, più case nei Territori.
Ma questo non è ancora tutto. Intoccabile, appare anche l´altra "vacca sacra" della società israeliana, il popolo degli haredim, gli ultra ortodossi che non producono, non pagano tasse e non fanno il sevizio militare, cioè non contribuiscono al funzionamento della casa comune se non con le loro preghiere, ma in cambio incidono pesantemente sul bilancio dello Stato. È il prezzo del consenso dei partiti ultra ortodossi ai vari governi del paese, in nome di un contratto sociale che i dimostranti di Rothschild Boulevard vogliono ridiscutere.
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