Libia, al Qaeda ben infiltrata tra i ribelli Analisi di Pio Pompa, redazione del Foglio
Testata: Il Foglio Data: 31 agosto 2011 Pagina: 5 Autore: Redazione del Foglio - Pio Pompa Titolo: «Se al Qaida e servizi segreti lavorano fianco a fianco a Tripoli - Obama intensifica la presenza della Cia in Libia per mettere le mani sul quadrante bollente delle rivolte - Prima grande crepa dentro la leadership della nuova Libia. Le rappresaglie contr»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 31/08/2011, a pag. I, l'articolo di Pio Pompa dal titolo " Se al Qaida e servizi segreti lavorano fianco a fianco a Tripoli ", gli articoli titolati " Obama intensifica la presenza della Cia in Libia per mettere le mani sul quadrante bollente delle rivolte " e " Prima grande crepa dentro la leadership della nuova Libia. Le rappresaglie contro i nemici si fanno più violente ".
Pio Pompa - " Se al Qaida e servizi segreti lavorano fianco a fianco a Tripoli "
Pio Pompa al Qaeda
Gli scenari che si stanno delineando nel contesto della crisi libica e della sua gestione da parte della coalizione internazionale assumono ogni giorno di più contorni paradossali ed estremamente contraddittori concorrendo a determinare, in quel paese, una sorta di retrovia dell’impossibile. Dopo Abbottabad e l’uccisione di Osama bin Laden chi poteva immaginare che al Qaida e la Cia avrebbero finito con l’avere un obiettivo comune, cioè lo scardinamento del regime libico e la cattura o l’eliminazione fisica dell’ex rais libico, Muammar Gheddafi? Fonti arabe, le stesse che da tempo segnalavano la deriva islamista tra i ribelli di Bengasi e all’interno del Cnt, confermano la notizia del ruolo fondamentale svolto, nella battaglia di Tripoli, da consistenti forze qaidiste, nelle quali sarebbe confluito anche il movimento dei combattenti islamici libici raccolti nel Libyan Islamic Fighting Group (Lifg), composte da oltre diecimila unità (sarebbero stati proprio gli uomini di questo gruppo i primi a penetrare a Bab al Aziziyah, il compound di Gheddafi a Tripoli). Fatto è che a capo di tali forze figura un noto membro di al Qaida, Abd al Hakim Belhadj, veterano dell’Afghanistan catturato nel 2003, in Malesia, dalla Cia che dopo sei anni provvide a estradarlo in Libia dove finì nelle carceri del rais. Oggi è un uomo libero alla guida dell’ala più integralista dei ribelli libici e si è autoproclamato “comandante del consiglio militare di Tripoli”. Se non che, nella serata di domenica scorsa, avrebbe riunito i suoi più stretti seguaci affidando loro, come principale obiettivo, l’uccisione di Gheddafi e lo sterminio della sua famiglia con l’intento di “sottrarre ai crociati della Cia e delle truppe speciali britanniche, francesi, giordane e del Qatar” l’iniziativa sul campo e i meriti di una eventuale cattura del dittatore libico. Le medesime fonti arabe riferiscono inoltre, a conferma dell’assunto che la Libia sia divenuta una retrovia dell’impossibile, dell’afflusso nella capitale di “studenti del Corano” appartenenti al network jihadista. I nuovi alunni starebbero offrendo i propri servigi a varie agenzie di intelligence occidentali, che stanno disperatamente tentando di redigere uno screening attendibile della composizione delle forze ribelli, nel tentativo di sviarne l’attenzione dai nuclei qaidisti che si stanno infiltrando pesantemente nei neocostituiti centri di potere libici.
Redazione del Foglio - " Obama intensifica la presenza della Cia in Libia per mettere le mani sul quadrante bollente delle rivolte "
Barack Obama, Cia
Con il colonnello Gheddafi assediato ma non vinto e le truppe lealiste che si ritirano in modo “ordinato” per riorganizzarsi – come ha spiegato ieri il portavoce della missione Nato in Libia – le forze della coalizione cercano strade alternative per intercettare il rais prima che possa mettere in pratica i suoi propositi di resurrezione. In conformità alla dottrina della guerra liberal propugnata da Barack Obama – bilanciare il “leading from behind” pubblico con massicce dosi di forze speciali, droni, incursioni, contractor e intelligence militarizzata – l’Amministrazione ha dato disposizione ai team della Cia sul suolo libico di stringere ulteriormente i legami con i ribelli per evitare che la fuga di Gheddafi verso sud dilati ulteriormente i tempi del conflitto. E per piazzare un’altra bandierina sul medio oriente che ribolle. E’ da marzo che diverse fonti segnalano la presenza di squadre dell’agenzia sul territorio: l’obiettivo è quello di dare consistenza alle sgangherate forze dei ribelli e allo stesso tempo assicurarsi che l’America mantenga un ruolo dominante nella transizione del potere libico senza ammetterlo esplicitamente. Si tratta soprattutto di contractor assunti dalla Cia ad hoc per lo scenario libico. Mischiati ai ribelli ci sono anche agenti dei servizi francesi e inglesi, oltre a soldati della legione straniera. Gli Stati Uniti stanno riproponendo una tecnica simile a quella utilizzata in Iraq per acciuffare Saddam Hussein, ma quello del 2003 era uno sforzo imparagonabile in quanto a numeri e investimenti (e lo stesso ci sono voluti mesi per trovare il dittatore in una catapecchia vicino a Tikrit, zona battuta in lungo e in largo da quattromila soldati). Il numero di agenti sotto copertura in Libia è sufficiente per raccogliere e trasmettere informazioni, non per sostenere una caccia all’uomo fra le dune impenetrabili del deserto e poi sulle montagne. Secondo una fonte dell’Associated Press, gli americani stanno ragionando soprattutto sui precedenti per anticipare le mosse di Gheddafi: durante il bombardamento americano del 1986 sulle città di Tripoli e Bengasi, il rais si è rifugiato nella città di Sabha, fra le montagne del sud, e quella è l’area dove probabilmente Gheddafi ha deciso nuovamente di ripiegare. Le forze d’intelligence hanno anche il compito di intercettare telefonate e segnali radio; quest’ultima tecnologia non era ancora perfettamente collaudata ai tempi della caccia a Saddam. Sulla strategia di controllo delle comunicazioni si è consumato un paradosso raccontato in esclusiva dal Wall Street Journal. Lunedì i giornalisti del quotidiano americano sono entrati in una delle sedi dell’intelligence di Gheddafi, un seminterrato ingombro di scartoffie vidimate e scatoloni. E’ da lì che la polizia segreta del colonnello ascoltava le vite degli altri, registrando, appuntando e segnalando all’apparato della comunicazione qualsiasi conversazione sospetta. Non soltanto i telefoni erano controllati – tecnologia ovvia dai tempi della Ddr – ma anche chat, email, sms e Skype. Il rais manteneva il controllo del paese anche grazie all’intenso monitoraggio dei flussi comunicativi; a ogni parola sospetta corrispondeva una punizione certa. Quello che il Wall Street Journal ha svelato è che a permettere a Gheddafi l’orwelliano centro di raccolta delle informazioni era tecnologia di provenienza occidentale. L’azienda francese Bull Sa provvedeva ai sistemi di sicurezza per il monitoraggio delle conversazioni, mentre il governo di Tripoli aveva acquistato da Narus – azienda di proprietà dell’americana Boeing – un avanzato sistema che consentiva di controllare conversazioni e chat su Skype. Il regime controllava i flussi di accesso a Internet, oscurava contenuti sconvenienti e convogliava gli utenti secondo percorsi prestabiliti. Un avanzatissimo sistema di intelligence importato anche dall’America che ora gli uomini della Cia potrebbero usare a loro vantaggio.
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Muhammar Gheddafi
I ribelli libici cominciano a mostrare i primi preoccupanti segni di una frattura interna. Lunedì scorso il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) ha deciso di nominare come capo della sicurezza di Tripoli Albarrani Shkal, controverso ex generale di Gheddafi. La decisione non è piaciuta a tutti: a Misurata, poco dopo l’annuncio, cinquecento persone hanno occupato piazza dei Martiri, la principale della città, per protestare contro la decisione di Bengasi. A sua volta il Consiglio temporaneo di Misurata si è schierato con i manifestanti, dichiarando che se la nomina di Shkal sarà confermata, le unità ribelli della città “si rifiuteranno di eseguire gli ordini del Cnt”. Le ragioni per non fidarsi dell’ex generale gheddafiano sono numerose: primo, Shkal ha disertato tardi, a maggio inoltrato, quasi tre mesi dopo l’inizio della rivolta. Secondo: l’ex generale era uno dei più importanti comandanti della 32esima brigata controllata dal figlio del rais libico, Khamis Gheddafi, che, un mese prima, ha preso parte nelle operazioni militari contro Misurata. Nell’attacco, secondo i racconti degli abitanti della città, furono bombardati interi quartieri e centinaia di persone furono uccise. E’ dunque comprensibile che a fidarsi di Shkal siano in pochi anche dopo le assicurazioni del Cnt, secondo cui l’ex generale ha portato con sé a Bengasi informazioni preziose per l’avanzata ribelle. Le garanzie però non sono bastate e per tutta la durata di lunedì, come riporta il Guardian, a Misurata si sono levati slogan contro il leader del Cnt, Mahmoud Jibril, e raffiche di fucile sono state sparate in aria per esprimere la crescente frustrazione con Bengasi. A Misurata, città situata nella zona berbera del paese, sono in molti a pensare che a Bengasi i loro sforzi siano stati considerati poco: sono stati i berberi della così soprannominata brigata Tripoli, a entrare per primi nella capitale, anticipando gli uomini di Bengasi. Ora vogliono la loro parte e non sono disposti ad accettare le imposizioni del Cnt senza ottenere qualcosa in cambio. Appare sempre più che le ragioni di un’alleanza tra i diversi gruppi di ribelli sia soltanto l’antagonismo a Gheddafi (ieri i ribelli hanno alzato la voce lanciando un ultimatum agli ultimi lealisti, intimando di deporre le armi entro quattro giorni) e con la cacciata del rais, a essere unita nel sostenere il Cnt potrebbe rimanere soltanto la comunità internazionale. Il segretario alla Difesa britannico, Liam Fox, come il presidente americano, Barack Obama, hanno fatto appello, in diverse occasioni, per “un governo libico inclusivo”. Nelle capitali occidentali, dopo un intervento Nato distintosi più per la lentezza che per l’efficacia, lo scenario più temuto è un pantano in stile iracheno dove la purga postconflitto del Baath, il partito di Saddam Hussein, creò un vuoto di potere e scatenato una guerra civile latente e sanguinosa.Le proteste di Misurata sono l’ultimo segno di un contrasto sempre più accentuato tra i ribelli dell’est e dell’ovest che rischia di trasformarsi in un conflitto. L’occidente ha invitato il Cnt a non permettere rappresaglie anche se gli appelli sono andati a vuoto: nelle ultime settimane i racconti macabri di pile di cadaveri, trovate sparse per la capitale, si sono moltiplicati. Lo stesso presidente dell’Unione africana, Jean Ping, ha denunciato che i ribelli confondono “i migranti africani con i mercenari di Gheddafi”. Il Cnt non ha ancora risposto all’appello di Ping (probabilmente per ripicca al mancato riconoscimento del Cnt da parte dell’Ua) e non sembra intenzionato a farlo lasciando cinicamente che la base sfoghi i suoi sentimenti antigheddafiani e allo stesso tempo includendo ai suoi vertici figure legate al vecchio regime. Il risultato è paradossale: un’inclusione politica concepita per unire le élite del paese sta dividendo il resto della Libia in fazioni e gettando i semi di un futuro showdown in stile iracheno, lo scenario più temuto.
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