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Stato, democrazia, elezioni
Cari amici, non trovate che le elezioni siano proprio una bella invenzione, quasi come l'Ipod? "Contare le teste invece che tagliarle" (Luigi Einaudi), prendersi il gusto di cambiare il governo che non ci piace senza il bisogno di sprecare benzina e proiettili dei mezzi militari, senza rompere vetrine, così con un segnetto sulla carta... magari influire anche sulle politiche del governo: grande idea e anche "tranquillizzante", come cantava Giorgio Gaber. Non sarà tutta la democrazia, ma le dittature, anche quando sono andate al potere con le elezioni (capita) e anche quando sapevano di avere un grande consenso nel paese, hanno sempre fatto in modo di abolirle, magari sostituendole con una farsa di qualche tipo, col partito unico, con le schede non segrete, con la falsificazione pura e semplice. Bene, immaginate che Obama l'anno prossimo decida che, essendo lui in difficoltà, l'election day di novembre è spostato a data da destinarsi, magari nel 2027. Che Merkel e Sarkozy, che devono affrontare pure loro il giudizio dell'elettorato, stabiliscano di astenersi – non loro, voglio dire, gli elettori. Che lo faccia Berlusconi, dopo l'ennesimo litigio con la Lega. Come chiamerebbero queste cose i giornali? Colpo di stato, attentato alla democrazia, dittatura. E andremmo tutti in piazza. Immaginatevi ora che succeda in Israele, dove tutti sanno che la democrazia è in pericolo, che comanda una destra "estremista e antidemocratica", se non di peggio... Quante bandiere di Israele bruciate, quanti pensosi editoriali sul sogno sionista svanito, quanti appelli all'Onu, all'Unione Europea, alla Croce Rossa, all'ENPA (Ente Nazionale Protezione animali, per chi non lo sapesse) a intervenire. Tutto belle e tutto giusto, la democrazia è una, va difesa dappertutto, la mia libertà dipende dalla libertà degli altri. C'è però un'eccezione. L'altro giorno quell'ometto che governa, si fa per dire, quell'ometto che chiacchiera a Ramallah e vive dell'elemosina dell'Occidente – voglio dire Muhammad Abbas, l'unico "presidente" del mondo ad avere anche un "nome di guerra", Abu Mazen, ha rinviato per l'ennesima volta le elezioni nei "territori palestinesi". Non le elezioni vere, per carità, quelle che dovrebbero sostituirlo, dato che il suo mandato "è scaduto ufficialmente il 9 gennaio 2009", due anni a mezzo fa (http://it.wikipedia.org/wiki/Conflitto_Fatah-Hamas#L.27operazione_.22Piombo_Fuso.22_e_la_scadenza_del_mandato_di_Mahmud_Abbas) e neppure il parlamento, eletto il 25 gennaio 2006 (prime elezioni palestinesi più o meno regolari, ma probabilmente anche le ultime) e dunque anch'esso scaduto da un anno e mezzo. No, più banalmente le elezioni municipali, che servono a eleggere un centinaio di sindaci eletti il 23 dicembre 2004, e dunque ampliamente fuori limite anche loro. Non contano niente e quindi le elezioni amministrative non sono affatto importanti, ma che volete, è meglio non dare tentazioni al popolo. Nel bel mezzo della "primavera araba" (che volete, non ci sono più le stagioni di una volta), il 10 febbraio 2011 il presidentuccio di Ramallah decise di concedere al popolo la possibilità di esprimersi almeno sui sindaci il 9 luglio successivo (http://www.mediterraneomarnero.it/joomla/index.php?option=com_content&task=view&id=934&Itemid=62). Poi cambiò idea e stabilì che novembre era meglio, dato che, scrive una fonte palestinese molto ufficiale, "Non vi sarebbe, infatti, tempo a sufficienza per registrare tutti gli aventi diritto al voto nella Striscia di Gaza, pertanto, il rischio è quello di non riuscire a garantire le elezioni in entrambe le aree palestinesi." (http://www.infopal.it/leggi.php?id=18379). Eh già, che difficile fare le registrazioni degli elettori. Perché ora sono rinviate a data da destinarsi (http://www.washingtonpost.com/world/middle-east/abbas-postpones-palestinian-municipal-elections-without-setting-a-new-date/2011/08/22/gIQAqFE9VJ_story.html) vale a dire "finché non siano disponibili migliori condizioni", dice sua eccellenza. Insomma, fino a che la riunificazione con Hamas non sia effettiva. Ma non avevano fatto la pace? Un rappresentante di hamas spiega: "Abbiamo concordato che tutte le elezioni, locali e parlamentari, avvengano dopo che si sarà formato il nuovo governo". Il quale non si forma, perché Hamas e Fatah non riescono a mettersi d'accordo sul nuovo presidente del consiglio, cioè in sostanza su chi deve comandare. Ma non avevano fatto la pace? Fatti loro, direte voi. Sì, ma anche fatti nostri, visto che come i due poliziotti degli interrogatori nei film, uno fa il cattivo e sparacchia razzi e l'altro fa il buono e rifiuta di andare alle trattative. Come se ci fosse una gran differenza. Forse avevano fatto la pace, dopotutto. Un'ultima considerazione. Avete visto voi le proteste, le bandiere bruciate, gli editoriali pensosi, l'intervento dell'Unione Europea e della Protezione Animali? Ha parlato il buon Obama che ama tanto la democrazia islamica? Avete visto la notizia sui giornali? No, tutti zitti, nisba. Ma chiedete pure a Sergio Romano, Gad Lerner, alla Camusso, al Ferreo, insomma quelli lì: quale democrazia è in pericolo in medio oriente? Quella Israeliana, ovviamente. E per una volta dò loro ragione. Perché una cosa che non c'è non può essere in pericolo. Magari, come suggerisce un sito americano (http://www.weeklystandard.com/blogs/first-tripoli-then-ramallah_591332.html?page=2) , dopo aver procurato la promessa di elezioni al Cairo e a Tunisi e ora anche a Tripoli, potrebbe essere interessante che la "primavera araba" si occupasse di Ramallah
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